Avatar di Sconosciuto

L’ultimo desiderio

La vicenda delle gemelle Kessler e la loro scelta di essere insieme fino alla fine ha lasciato il segno in ognuno di noi. C’è chi la difende, chi la critica, chi è d’accordo però, chi si indigna e chi non giudica. In ogni caso non lascia indifferenti, forse per la notorietà dei soggetti, forse per il fatto che sia stata una scelta condivisa da due persone (se fossero stati due coniugi forse sarebbe stato lo stesso), per l’assenza di un qualche motivo medico accertato, o semplicemente per la lucidità e la lunga pianificazione che l’ha preceduta (si erano premunite persino di dare disdetta delle utenze!).

Se sia per questi motivi o per altri, in ogni modo, una scelta che non può lasciare distaccati. Che anche nel doveroso (a mio avviso) rispetto, ti porta inevitabilmente a prendere una posizione. Ovviamente abbiamo letto penso tutti le filippiche di parte, di chi esalta la libera scelta consapevole e di chi al contrario si appella alla inviolabile sacralità della vita. Ma volendo fare un’estrema sintesi delle varie argomentazioni per l’uno o per l’altro schieramento, di fondo potremmo ridurci a una semplice domanda. Siamo gli assoluti ed esclusivi padroni della nostra vita? Pur con le dovute sfumature, dalla risposta a questa domanda si decide con quale schieramento riconoscersi.

Possiamo discutere sul significato della vita in sé, sul valore di una vita che non è più performante, che non è più utile. Sul senso della malattia, sulla fatica della sofferenza, sul peso (inteso come importanza, ma anche al contrario, di fardello, di affanno) che possiamo arrecare alla società e a chi ci circonda. Ma alla fine, è inevitabile, si ritorna a quella domanda lì. E probabilmente ognuno di noi, in cuor suo ha una risposta.

Per me la risposta è negativa. Non siamo padroni della nostra vita, non abbiamo scelto noi di esserci, nessun altro animale sulla terra penserebbe mai di esserlo: per ogni altro animale la morte è una possibilità, un evento naturale, mai una scelta. Non lo siamo per coloro che ci circondano, perché anche l’uomo più solo su questa terra sarà sempre un noi, prima di essere un io. Non lo siamo perché non siamo solamente un cumulo di cellule destinate a dissolversi.

Ma questo è quello che penso io. E allo stesso modo qualcun altro che la pensa in modo diverso avrà le sue ragioni che vanno rispettate come vorrei lo fossero le mie.

Mi rimarrà una curiosità. In punto di morte i condannati esprimevano un ultimo desiderio: nessuno dovrebbe avere come ultimo desiderio quello di morire perché l’ultimo desiderio è l’ultima risorsa per restare attaccati alla vita. E chissà quale sarà stato il loro.

And you can see them there, on Sunday morning. They stand up and sing about what it’s like up there.
They call it paradise, I don’t know why. You call someplace paradise. Kiss it goodbye