Ciao pa’

Finalmente il mio amore è arrivato
i miei giorni solitari sono finiti
E la vita è come una canzone

Finalmente i cieli sopra sono blu
Il mio cuore era avvolto nel trifoglio
La notte in cui ti ho guardato

Ho trovato un sogno con cui parlare
Un sogno che posso chiamare mio
Ho trovato un brivido a cui appoggiare la mia guancia
Un brivido che non ho mai conosciuto

Hai sorriso, hai sorriso
Oh, e poi l’incantesimo è stato lanciato
Ed eccoci in Paradiso
Perché tu sei finalmente mio.

Predico bene, razzolo demmè

“Mi contraddico? Ma certo che mi contraddico! Sono vasto, contengo moltitudini” (Walt Whitman)

Ma insomma, che volete da me? Coerenza? E vi pare semplice? Coerenza: sostantivo femminile, intima connessione e interdipendenza fra fatti e parole. Ma io con le interdipendenze non ci vado d’accordo. Vanno bene i legami, sono favorevole ai legami, ma le dipendenze no, anzi io sono per il 4 luglio, sono assolutamente per l’indipendenza, di qualsiasi genere.

E ancora. Coerenza: costanza logica o affettiva nel pensiero e nelle azioni. E qui è la costanza che mi frega. Perché né fra i mie pregi (pochi), né fra i miei difetti (molti) c’è posto per la costanza. Sono troppo pigro per essere costante. Sono troppo creativo per essere costante. Sono troppo smemorato per essere costante. Quindi torno da capo, che volete da me?

D’altra parte, l’ho già scritto in precedenza su questo blog, valesse la coerenza, fosse importante l’assoluta coincidenza fra quel che si dice e quel che si fa, poteva reggere per duemila anni la religione cristiana? Va bene l’esempio dei santi, va bene il sangue dei martiti, ma per il resto “quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra?». (Luca 18,1-8) anche a Lui era venuto qualche dubbio. Perché Lui sì che era coerente, mica come noi!

Ma poi, se ci pensate bene, è da sempre così! Quante volte abbiamo trovato discordanza fra quello che ci insegnavano e quello che poi mettevano in pratica i genitori, i maestri, i professori, gli uomini saggi di ogni tipo e di ogni tempo. Ma il fatto che loro non riuscissero a metterlo in pratica personalmente, non dovrebbe svalutare quello che dicevano. Come invece a volte capita che qualcuno dica stronzate, ma poi alla prova dei fatti vada dritto al punto e raggiunga l’obiettivo.

Che pretendete dunque? Perché sembrate tutti così convinti che invece io possa essere coerente? Che vi ho fatto? Tutt’al più difondo luce e dolcezza e già questo mi sembra un obiettivo sfidante. Fate quel che dico non quel che faccio. Oppure, fate quel che faccio, non quel che dico. Anzi, ancora meglio, fate come vi pare. E ascoltatevi una bella canzone

Nel frattempo

Nel frattempo aspettiamo. Come quando stai seduto sulla spiaggia e vedi all’orizzonte dei nuvoloni viola che fanno un’ombra lunga sull’azzurro del mare. Sai che arriverà il temporale. Potrebbe essere un uragano o solo un banale acquazzone estivo e che fai nel frattempo? Azzardi una passeggiata o prendi le tue cose e torni a casa?

Nel frattempo scorre il tempo. In quel fra che sta in mezzo tra l’ora e il dopo. Un fra che potrebbe anche essere molto lungo oppure brevissimo e tu non lo sai. Non lo sai se vale la pena iniziare una cosa nuova o se addirittura non avrai il tempo per finirne una vecchia.

Nel frattempo succedono delle cose. E le nuvole all’orizzonte potrebbero dileguarsi, spinte da un vento nuovo, che tu proprio non immaginavi. “Mi compro un gelato o non vale la pena, che poi tocca fare una corsa prima del diluvio“, ti domandi perplesso mentre arriva un amico che non vedevi da tempo. E allora chissene importa dei nuvoloni viola, dai prendiamoci un aperitivo.

Perché nel frattempo – esattamente proprio in quel fra – la vita va avanti e non ti aspetta. E allora che senso ha aspettarla tu?

Spiaggia di Vardano Parghelia, estate 2021

Merdoledì

Il merdoledì si presenta con quella tipica gnagnerella di maggio, simpatica come la sabbia nelle lenzuola ed inistente come un venditore di aglio a Val Melaina. Noi a Roma viviamo la pioggia come una specie di affronto, una catitveria senza senso, immotivata ed ingiustificabile: non solo tutto questo, pure la pioggia? Ma allora ce l’hai con noi, ammettilo, che ti abbiamo fatto? Inoltre, per noi proprietari di amici a 4 zampe, portare fuori il cane quando piove è un’esperienza che può farti sembrare gradevole persino la sabbia nelle lenzuola, che almeno non puzza come il cane bagnato.

Come ogni mattina controllo con waze il percorso migliore per arrivare in ufficio e secondo la famosa teoria di Leibniz il migliore di percorsi possibili mi dice che partendo subito, alle 8:00 arriverò a destinazione alle 9:20 un’ora e venti minuti dopo. In quel tempo potrei arrivare a l’Aquila, fermandomi anche a prendere un caffè in autogrill. Per dare un’idea, qualcuno arriverebbe da Verona a Trento, qualcun altro da Bari a Taranto e potrei continuare.

E così lancio il cuore oltre l’ostacolo e decido di andare con i mezzi. Lo so, prendere la metro può far sembrare gradevole anche il cane sotto l’acqua e la puzza e su per giù la stessa, ma almeno possiamo pensare di contribuire alla diminuzione dello smog e poi arriverò in ufficio prima. Sulla questione ecologica mi resterà il dubbio, su quella oraria posso certificare di aver timbrato alle 9:25. In treno avrei fatto prima ad arrivare a Napoli, con lo stesso tempo sarei arrivato a Firenze.

Ma in fondo, volete mettere che esperienza? Aspettare 18 minuti la metropolitana – che a quel punto, considerate le condizioni metereologiche, è diventata un’oleogramma dell’Arca di Noè – ti fa scorrere il tempo in maniera alternativa, facendoti riconsiderare anche le attese telefoniche per prenotare un appuntamento alla Asl. Però in fondo c’è ancora il viaggio di ritorno stasera, chissà magari nell’attesa potrebbero organizzare dei corsi di ballo.

Coltivando una piccola speranza

Sono un po’ assente dal blog. Questo è e rimane il mio luogo, un posto dove mi rifugio e dove mi sento a casa, a volte scrivendo, a volte anche semplicemente rimanendo in silenzio. E adesso forse è il momento di tacere. Un momento difficile, dove giorno dopo giorno le cose possono evolvere, nel bene e nel male, anche in modo impercettibile, mentre coltiviamo una piccola speranza.

Come una piantina fragile, esposta agli eventi atmosferici, che sappiamo potrebbe sfiorire da un momento all’altro oppure continuare a resistere. Non ti ci puoi aggrappare, non ti può sorreggere, né puoi contare su di lei. Perché al contrario è lei che conta su di te. E’ nell’ordine delle cose che potrebbe non farcela, ma capisci che è lei che si appoggia e cresce su di te, come un rampicante delicato. Non sai in che direzione crescerà, magari in maniera totalmente inaspettata, su sentieri imprevisti ed impensabili.

Non puoi saperlo prima. Speri, ma così facendo comprendi che i piani si sono invertiti e paradossalmente, la sua unica speranza sei proprio tu.

Guarda la stella, invoca Maria. Seguendo lei non puoi smarrirti, pregando lei non puoi disperare. Guarda la stella, invoca Maria. Se lei ti sorregge non cadi, se lei ti protegge non cedi alla paura, se lei ti è propizia raggiungi la meta. Guarda la stella, invoca Maria (San Bernardo da Chiaravalle)

In quasi tutti i momenti che viviamo

Dovremmo essere bravi. Dovremmo esserlo davvero, anche se nessuno ce lo insegna. Nessuna scuola al mondo, nessun maestro, nessun libro: ma se anche ce lo insegnasse qualcuno difficilmente rimarrebbe con noi il tempo necessario per diventare parte di noi. Non ce lo insegnano, non lo impariamo, ma paradossalmente ce l’abbiamo sotto gli occhi in quasi tutti i momenti che viviamo.

Basta tirare su la testa e fermarsi a guardare l’azzurro del cielo e le nuvole che gli scorrono intorno come fotogrammi di un film. Il vento che accarezza l’erba di un prato come un pettine su i capelli, gli alberi mossi dal vento, la risacca del mare che spinge la schiuma sulla riva e poi ritorna indietro. Una carezza, uno sguardo d’intesa, il silenzio complice, la parola giusta, la presenza discreta, una risata spensierata.

La bellezza del momento, del momento esatto in cui assaporiamo la vita, spesso ci sfugge. Persi nei pensieri, nelle attese o nelle preoccupazioni, sentiamo senza ascoltare, guardiamo senza vedere, respiriamo senza assaporare. Sorvoliamo, diamo per scontato, confondiamo e a volte banalizziamo. Insomma, non cogliamo il momento, ma in realtà non lo perdiamo del tutto, perché inconsciamente si deposita nella memoria. E diventa ricordo. Resta con noi quando non ce l’abbiamo più. Ma forse non potrebbe andare diversamente.

E, comunque andrà,
l’addio non è una possibilità.
Non è una possibilità

A proposito di cose irreparabili

Il bello delle storie è che quasi sempre non finiscono. Non finiscono mai del tutto, perché dopo una cocente sconfitta ci sarà sempre un’altra partita in cui potrai rifarti. Dopo una disfatta elettorale, ci saranno nuove elezioni che potranno ribaltare la situazione. Quando ti bocciano ad un esame, sai che ci sarà un nuova sessione per recuperare. E se il sabato mattina ti svegli con l’influenza, pensa che comunque ci sarà un altro week end di sole.

Insomma, il più delle volte, la vita ci dà una nuova possibilità, un’opportunità ulteriore da sfruttare. Bisogna pazientare, aspettare il momento opportuno, ma prima o poi la nuova occasione arriva e ti dà modo di recuperare quello che avevi perduto, a volte anche con gli interessi. E quindi, se è brutto perdere, l’idea di una possibile rivincita ci rende meno amara la sconfitta, così come quando perdiamo qualcosa (o qualcuno) possiamo sempre avere la speranza prima o poi di ritrovarlo.

Ognuno di noi però ha fatto esperienza anche della irreparabilità delle cose: alcune storie finiscono in modo inconfutabile. Poi magari ce ne saranno altre, ma quella determinata situazione è finita, terminata, conclusa. E cercare di prolungarla, affannarsi per dargli una nuova possibilità è del tutto inutile. Anzi, dannoso! Il rimedio in quei casi può essere peggiore del male. Bisogna arrendersi all’irreparabile, letteralmente, quello che non può essere riparato. Bisogna imparare a convivere con le situazioni che non sono andate come avremmo voluto, dobbiamo avere la forza di voltare pagina, senza indugio e senza troppi rimpianti.

L’altra sera sono rientrato tardi e per cena mi sono preparato un piatto di spaghetti: un po’ la fame, un po’ la fretta di preparare, ho dimenticato di mettere il sale nell’acqua. Non so come la pensiate voi, ma la pasta sciapa è una di quelle sciagure, tipo salire in ascensore con uno che ha mangiato un quintale d’aglio, oppure avere La Russa come seconda carica dello Stato. E aggiungere un po’ di sale dopo non risolve il problema, anzi se possibile lo accentua, rendendola ancora più immangiabile. Ecco, la pasta sciampa è irreparabile, non si può aggiustare: ci saranno altre pastasciutte, ovvio, ma quella lì devi mangiarla così com’è, fino in fondo, senza soluzione.

E’ vero, qualcuno potrebbe dirmi, possiamo buttarla nella spazzatura e cercare in frigorifero un po’ di affettati. Ma perché, qualcuno pensava seriamente che stavo parlando di cucina?

L’amore al tempo dei rompicoglioni

L’altro giorno la mia saggia amica Sonia concludeva un bel post nel suo blog con un’affermazione perentoria che ha in sé una grande verità: “quando si ama è un po’ come quando si è felici: non si rompono i coglioni agli altri“. A parte che conosco gente apparentemente felice, che si diletta a fracassare il prossimo come se non ci fosse un domani, sul discorso dell’amore bisognerebbe intendersi.

Sarebbe bello se avesse ragione Sonia! Purtroppo però è senza dubbio possibile rompere i maroni alla persona amata: penso che ognuno di noi faccia questa esperienza (sia come soggetto attivo “che rompe”, sia come soggetto passivo “a cui vengono rotti”). Anzi arrivo a dire che forse proprio le persone che amiamo di più sono quelle più in grado di frantumarci gli zebedei (che nonostante l’assonanza non sono i figli di Zebedeo). Quindi, paradossalmente, la vera domanda potrebbe essere l’esatto contrario: possiamo dire di amare veramente qualcuno se almeno ogni tanto non ci dilettiamo a ballare il tip tap sul suo apparto riproduttivo?

Il discorso si ampia. Cosa intendiamo per amare? Volere il bene dell’altro? Allora, se è questo, io proprio perché ti voglio bene ti rompo i coglioni: quando vedo che sbagli, quando vedo che non ti vuoi bene, per cercare di migliorarti, per tirar fuori la migliore versione di te stesso. Questo ci raccontiamo, così giustifichiamo lo sfracagnamento a cui a volte sottoponiamo il nostro amato.

Tempo fa mi ero soffermato a ragionare su una presunta Regola dell’amore, che però apre più domande di quante risposte possa chiudere. Non esiste, né può esistere una regola o una definizione di amore. Forse quella che ci si avvicina di più la diede un algerino del 4 secolo dc, ai più noto come S. Agostino: ti amo significa voglio che tu sia come sei.

Allora forse davvero le cose sono più semplici (o più complicate?) di quanto si pensi. Aveva ragione Sting e i suoi Police: se ami qualcuno lo lasci libero. E quindi ha ragione anche la mia amica Sonia. Puoi inventarti (e crederci pure!) tutte le giustificazioni di questo mondo: ma se ami qualcuno, se davvero lo ami, evita di rompergli i coglioni!

L’insostenibile pesantezza della sostenibilità

Ci sono mode anche nelle parole. Desueto, ad esempio, è un aggettivo che non si usa più, non va di moda. E’ desueto, di nome e di fatto. Sostenibile invece va molto di moda. La moda sostenibile, l’energia sostenibile, l’economia sostenibile, lo sviluppo sostenibile. Che poi, ovviamente, quando qualcosa diventa così popolare, travalica, si moltiplica, diventando qualcosa di diverso da ciò che era inizialmente.

Cos’è sostenibile? Originariamente, qualcosa che si può sostenere, che si può “portare sopra” o anche sop-portare, senza fare troppo sforzo. Non necessariamente è una cosa che si porta piacevolmente: ci sono disturbi, fastidi, rotturedicoglioni sostenibili. E si differenziano proprio da quelli insostenibili, perché nonostante non siano proprio il massimo per noi, però ci si riesce a convivere.

Capite quanto siamo lontani dal senso comune che ha assunto il termine? Che nella sua forma sostantivata è diventata la panacea di tutti i mali. La sostenibilità sembra essere la meta ambita da tutti, la nuova America da scoprire e raggiungere con tutti i mezzi. Anzi, pardon, solo con quelli sostenibili. La sostenibilità è diventata sinonimo di lotta agli sprechi, energia pulita, ricircolo, crescita intelligente, opposto di tutto ciò che è invece esagerato, fuori controllo, eccessivo, smodato.

Dovremmo orientare tutta la nostra vita alla sostenibilità. Dovremmo lavorare, riposare, mangiare, divertirci in modo sostenibile. E allo stesso modo, dovremmo stancarci, annoiarci, arrabbiarci in modo sostenibile. Ma come si fa? Come si riesce, nel bene e nel male, a controllare le emozioni senza fargli oltrepassare la soglia di guardia? E poi, siamo sicuri che sarebbe un bene riuscirci? Ad esempio, si può amare, ci si può innamorare in modo sostenibile? E al contrario, non è proprio l’insostenibilità di certe situazioni negative che ci porta a reagire, a cambiare, a voltare pagina?

Insomma, non facciamo prendere troppo dalle mode, non anestetizziamo i sentimenti, perché un po’ come Venezia, la sostenibilità è bella, ma non ci vivrei.