L’altro giorno ascoltavo su Radio Capital una ricercatrice italiana che si è trasferita in Giappone e raccontava un’espressione onomatopeica utilizzata nel Paese del Sol levante che ha significati plurimi, anche molto differenti fra loro. Trascrivendolo in lettere latine potremmo tradurlo come “goro goro”.
Letteralmente significherebbe rotolare. A partire da questo significato originario, viene utilizzata ad esempio dai bambini quando dopo il lampo sentono in lontananza un tuono che rimbomba: il cielo fa goro goro. Ma non solo: un gatto che fa le fusa fa goro goro o il cane che si mette a pancia sotto e aspetta le grattatine.
Quando ci sdraiamo su un prato a guardare le nuvole che corrono nel cielo stiamo facendo goro goro. E anche quando in riva al mare guardiamo le onde che si infrangono sulla spieggia. Facciamo goro goro quando la mattina appena svegli rimaniamo ancora un po’ sotto le lenzuola e pure quando di notte tiriamo su il naso per vedere le stelle che cadono
Goro goro significa trascorrere il tempo godendosi il tempo che scorre. E c’è forse un modo migliore per passare il tempo?
We rolled across the high plains Deep into the mountains Felt so good to me Finally feelin’ free
Senza musica la vita sarebbe un errore. Friedrich Nietzsche
Era tanto che volevo scrivere un post così. La musica non è un elemento accessorio della mia vita, ma ne fa parte in modo essenziale, non mi lascia mai, mi accompagna in ogni situazione. Probabilmente è la cosa più bella che esiste, la più bella che l’uomo abbia mai inventato, ammesso che l’abbiamo inventata noi. Se mi guardo indietro ogni tempo ha avuto la sua musica, ogni sentimento, ogni situazione e non c’è nulla di più concreto e di più immediato di una canzone per far tornare alla mente le sensazioni provate, il passato, il presente e il futuro. E queste sono le mie dieci canzoni: le più belle, le più significative. Le mie!
Thunder Road. E’ la canzone del coraggio di vivere e del rialzarsi sempre. Non importa quanto sei stanco, non importa quanto non ti va: il Boss dice che si può fare, che ce la posso fare, basta volerlo. E se lo dice il Boss, chi sono io per contraddirlo?
Baba O’Reily. L’età adulta, la scelta di abbandonare un passato certo, per un futuro diverso, di chiudere definitivamente delle porte per poterne aprire delle altre. La paura e la speranza. Soprattutto, la certezza che fatto qual passo indietro non si torna.
Wish you were here. La nostalgia per chi non c’è più. Non riesco a farci i conti con questa canzone ed in generale con i Pink Floyd. Di una bellezza inaudita, ma troppo dolore, troppo.
The Pretender. La sicurezza. E’ la canzone della calma dopo la battaglia, quella del ritorno a casa, dei lunghi viaggi in macchina nella notte. Una notte brillante di stelle, che arriva dopo un giorno faticoso, ma pieno di soddisfazioni.
Goodbye Stranger. L’adolescenza. Ne avrei potute scegliere molte altre, ma questa è certamente la più significativa, quella che più di tutte mi fa ripiombare indietro di trent’anni. Quella che mi fa risentire i profumi, i sapori, le voci degli anni del liceo, dei pomeriggi spensierati, ma insieme pieni di pensieri. Degli anni delle grandi scelte, perché ancora era tutto da scegliere. Per inciso oggi è la suoneria della sveglia.
We’ve got tonight. I percorsi perduti, i sentieri interrotti della vita, non per forza scelte sbagliate, ma certamente quelle non portate avanti. Senza rimpianti. Quelle strade che avremmo potuto seguire, che ci sarebbe piaciuto seguire, ma che abbiamo deliberatamente scelto di non continuare a percorrere.
Blackbird. La tristezza. Quella con cui impari a convivere, quella che sta sempre insieme a te, anche nei momenti più belli, anche nelle gioie più grandi, quel senso di incompiutezza, di nodi irrisolti, di questioni aperte. Ma insieme anche quella tristezza tenera, a cui ti abbandoni, certo che lei non ti lascerà mai, a cui in fondo hai imaparto a voler bene.
With or without you. Le contraddizioni, i conflitti, il giusto e lo sbagliato insieme. L’andare quando bisognava fermarsi, il dire quando bisognava tacere. La vita in fondo, cos’altro?
Powderfinger. La forza. La certezza di farcela. E’ un passo in più di quella del Boss: andrebbero ascoltate insieme, una dopo l’altra, perché dove finisce quella comincia questa. Se vogliamo, forse questa potrebbe essere la canzone del domani.
Firth of Fifth. Semplicemente la bellezza della vita. Ancora oggi mi incanta. Dovessi sceglierne una da ascoltare sempre, da qui all’eternità, non potrei non scegliere lei.
Ne mancano moltissime. Non c’è la “nostra” canzone, perché quella è di Ale e mia e basta. Non ci sono canzoni che hanno dietro dei ricordi precisi ed indelebili: non necessariamente grandi canzoni, ma che certamente hanno fatto parte della colonna sonora della mia vita. Penso ai Spandau o agli ELO, ai Queen o ai Dire Straits. Non c’è molto presente, non ci sono i Rem o i Green Day, i Pearl Jam, i Counting Crows, tutti gruppi che accompagnano le mie giornate oggi e in un recente passato. Ma non si possono ricordare tutti. Non ci sono canzoni italiane, semplicemente perché pur essendocene di molte belle e anche molto significative, nessuna, almeno nella mia personalissima opinione, può competere con queste.
Sarà difficile, ma spero sempre che la più bella sia quella che ancora dev’essere scritta.