I believe in Love

Per i viaggi musicali di oggi vi propongo una variazione sul tema. Non vi parlo di un gruppo o di una cantante, bensì di due canzoni: distanti nel tempo, ma collegate fra loro, come fossero l’una il seguito dell’altra sola, anche se in realtà molto differenti nella musica, nel testo, ma soprattutto nello spirito che le anima.

Nel 1970, appena terminata la fantasmagorica avventura con i Beatles, Lennon scrive il suo primo album solista, intitolato semplicemente John Lennon/Plastic Ono Band. L’album, con una vena malinconica e quasi disincantata contiene brani bellissimi, fra cui una sorta di canto di ribellione da tutto ciò che Lennon è stato e in tutto ciò in cui ha creduto, intitolato semplicemente God.

Un brano molto amaro, disincantato, in cui elenca tutto ciò in cui non crede più: Dio, Budda, lo Yoga, Bob Dylan, Elvis, i Beatles stessi: ero il tricheco (la maschera usata in un celebre video dei Beatles), ero il sognatore, ma ora il sogno è finito, ora sono rinato e credo solo in John. In John e in Yoko, la sua musa, la donna che, nel bene o nel male (chi può giudicarlo?) più di ogni altra ha determinato il suo cambio di vita.

Quindici anni dopo gli U2, che come racconta Bono cercarono a più riprese di contattare Lennon agli inizi della loro carriera, inviandogli registrazioni di brani, senza ricevere mai una risposta, nell’album Rattle & Hum, provano a dare un seguito, rispondendo al loro idolo con God Part 2.

Anche loro elencano tutto ciò in cui non credono, il successo, la droga, gli eccessi, le ricchezze, il rock ‘n roll, la violenza. E anche loro affermano di credere in una sola cosa. Quella che in inglese comincia con la L e finisce con OVE. Scontati? Forse, ma comunque convincenti. Perché a volte più importante di quello che canti è come lo canti. E non c’è alcun dubbio che come lo canta Bono, è più che convincente!

In ritardo per il cielo

Ci sono certi cantanti che, al di là dei meriti oggettivi, fosse solo per la voce che hanno, per la musicalità che li accompagna, per i ricordi che riescono a far rivivere, hanno un posto speciale nei nostri cuori. Per questo motivo, al di là (non direi né al di sopra, né al di sotto, ma in un’altra dimensione) dei mostri sacri, coloro che hanno scritto la storia della musica, gli autori che sentiamo nostri, come fossero vecchi amici, sono – almeno per quanto mi riguarda – esentati dalle critiche. Sì, certo, possono fare canzoni più o meno indovinate e riscuotere maggior o minor successo, ma non cambia la sostanza, perché ormai fanno parte, veramente come vecchi amici, della mia vita.

Jackson Browne appartiene a pieno titolo a questa categoria. I suoi primi 5 album, tutti usciti negli anni 70, li ho praticamente consumati, prima in vinile, poi in CD e ora con spotify. Se devo dare un consiglio direi Late for the Sky (1974), The Pretender (1976) e Running on Empty (1977): in quest’ultimo c’è fra le altre la famosa The Road, resa celebre anche in italiano da Ron (Una città per cantare). Dopo questi ho seguito tutta la sua produzione successiva, perché appunto, solamente il suono della sua voce, inconfondibile, risveglia una serie di sensazioni legate per lo più all’adolescenza e mi riesce sempre a rasserenare. Come una bibita fresca d’estate o il profumo del pane caldo d’inverno. Endorfine le chiamano e nulla più della buona musica, riesce a riattivarle!

Anche quando canta di un amore finito male, come in questa canzone che vi propongo oggi: “non hai mai saputo cosa ho amato in te, non so cosa tu amassi in me, forse l’immagine di qualcuno che speravi potessi essere“. Versi che mi sono tornati in mente a proposito della fine della storia di Totti e Ilary: magari riuscissero ad essere così teneri anche loro, ma tempo che invece finirà in maniera molto meno poetica.

Il suo impegno ecologista, portato avanti negli anni, la sua critica alle ingerenze americane nel centro america me lo rendono anche affine politicamente, ma se anche non fosse così non cambierebbe nulla. Insomma, non sarà Dylan, non sarà Neil Young, ma il buon Jack per me è sempre stata la voce dolce e chiara dell’America, nostalgica ed insieme aperta sul futuro, nonostante tutto.

Ed ecco a voi i Decemberini

Il viaggio musicale di oggi fa tappa a Portland, capitale dell’Oregon, musicalmente a metà strada fra Seattle e San Francisco. Il gruppo che vi propongo ha infatti le sonorità della west coast con qualche aggiunta di grunge, il tutto condito dal genio visionario del leader e voce principale Colin Meloy.

Io li ho scoperti con l’album The King is Dead, di una decina di anni fa, che secondo me è il loro capolavoro: un mix di rock, folk e musicalità indie. Da lì ho riscoperto gli album precedenti e poi li ho sempre continuati a seguire nei successivi, perché sono tutti ottimi lavori. Tra i gruppi del nuovo millennio secondo me sono decisamente al top.

Per farveli conoscere vi propongo una canzone del penultimo album, che in guarda caso si intitola A Beginning Song: quale miglior principio di una canzone d’inizio?

Quando verrà domani

Per il viaggio musicale di oggi andiamo sulle note degli Eurithmics. La voce di Annie Lennox è celestiale, una delle più belle della scena pop degli ultimi cinquant’anni e solo per quello varrebbe la pena avere la loro discografia intera, compresa quella da solista. Ma questo per me è un dettaglio, perché l’importanza di questa canzone travalica ogni aspetto puramente musicale. Di solito quando uno dice “quella è la nostra canzone”, è perché ha scelto quella canzone per la sua storia. Ci sono poi canzoni che al contrario hanno scelto noi. Esattamente 36 anni fa, in quell’estate dell’86, a nostra insaputa questa canzone ci ha scelto. Ha stabilito lei che doveva essere la nostra canzone e così è stato e così sarà anche in futuro, quando arriverà domani And you know that I’m gonna be the one, Who’ll be there when you need Someone to depend upon When tomorrow comes

Il giorno delle possibilità

Per i viaggi musicali di oggi rimaniamo negli States, all’incirca nello stesso arco temporale dei REM, ma soprattutto nella loro stessa scia. I Counting Crows sono un gruppo di nicchia rispetto ai precedenti, ma racchiudono nelle loro canzoni l’essenza della musica a stelle e strisce: quel magico miscuglio di country, rock, soul che riesce a farti sentire lungo le Highway in mezzo al deserto, anche se magari in quel momento sei bloccato nel traffico della tangenziale.

Il loro primo album, August and Everything After del 1992, resta probabilmente il loro capolavoro, ma nessuno dei lavori successivi fa comunque rimpiangere il costo sostenuto per acquistarli. Adam Duritz, leader e voce solista, ha un timbro inconfondibile e uno stile che si riconoscono dalle prime note.

Troppo facile quindi segnalarvi Mr. Jones, brano che li ha resi famosi in tutto il mondo: piuttosto invece vi faccio ascoltare un brano tratto da “Somewhere Under Wonderland” (loro penultimo album, del 2015). In effetti dopo questo lavoro sono spariti dai radar e qualcuno parlava di una possibile separazione. Invece proprio quest’anno hanno pubblicato nuovi brani inediti e sono partiti per una tournè che li vedrà anche nel nostro Paese (per chi fosse interessato, saranno a Roma il 4 ottobre all’Auditorium…io ci sarò!).

Il brano scelto è Possibility Days, una canzone bellissima, che parla dell’inevitabile certezza della speranza e sul fatto che né la tristezza, né le possibili sciagure che possono capitarci sono una sentenza definitiva, perché appunto ci saranno sempre giorni pieni di nuove possibilità.

Buon ascolto!

L’amore è una strana moneta

Dite che sono partito troppo in alto? In effetti se uno si mette in testa di aprire una rubrica musicale e parte con il top dei top, come si fa poi a proseguire senza scendere di livello? Quindi per non deludere i miei affezionati viaggiatori ermeneutici, mi sono chiesto, cosa vorresti ascoltare ora, cosa non ti stanchi mai di riascoltare ancora e ancora?

Come tutte le persone non più giovanissime sono esageratamente affezionato alla musica che ascoltavo da ragazzo. I cantanti e i gruppi con cui sono cresciuto, quelli che con le loro musica hanno scandito i momenti più importanti della mia vita, restano quelli che ascolto di più e più volentieri. Poi però ci sono delle tappe successive, autori che via via ho scoperto e apprezzato al punto da farli entrare nel mio personale Olimpo musicale.

Fra questi il posto d’onore ce l’hanno questi ragazzi della Georgia, che scoprii agli inizi degli anni 90 con l’album Out of Time e che poi non ho più lasciato finché hanno continuato a suonare insieme. Parliamo dei REM, una colonna del rock americano con una produzione impressionante di brani e di album, uno più bello dell’altro. Il vertice della loro produzione, a mio personalissimo giudizio, si trova nell’album già citato e nei due successivi, Automatic for the people (del 1992) e Monster (1994). E il brano che ho scelto è tratto proprio da quest’ultimo.

Strange Curriences, dove la “strana valuta” di cui parla la magica voce di Michael Stipe è l’amore. Un amore tormentato che lotta, che non si arrende, che ha bisogno di una possibilità e poi di un’altra e un’altra ancora, perché appunto è una strana moneta, che non può essere scambiata con nessun’altra cosa, non ci si può comprare nulla e l’unico valore che ha è sè stesso.

Buon ascolto!

The Streets of Love

Se vuoi fare un cosa nuova, falla bene. Con chi cominciare questa nuova rubrica del blog dedicata alla musica se non con i Rolling Stones? Perché iniziare con loro e non con i Beatles? In effetti, a differenza loro, dei 4 di Liverpool ho la discografia completa sia come gruppo, sia di John e di George (il mio preferito), oltre a gran parte di quella di Paul. D’altra parte scegliere fra i Beatles e i Rolling Stones è come dire, vuoi più bene a mamma o papà: non c’è una risposta giusta! E quando non c’è una risposta giusta significa che è la domanda ad essere sbagliata. Non Beatles o Rolling Stones, ma Beatles e Rolling Stones, come il sole e la luna, come il pollo e l’abbacchio, il mare e la montagna. Perché scegliere quando si possono avere entrambi?

Dunque oggi dedichiamoci agli Stones. Ma come scegliere una canzone sola nel lor sterminato repertorio? Sembrerebbe un’impresa impossibile, perché in oltre cinquant’anni di carriera hanno scritto pezzi immortali. A mio soggettivismo parere i quattro album scritti a cavallo degli anni 60/70 sono il vertice assoluto non solo della loro discografia, ma della storia del rock in generale: Beggars Banquet (1968), Let It Bleed (1969), Sticky Fingers (1971), Exile on Main St. (1972). Uno più bello dell’altro! Da ascoltarli in loop fino allo sfinimento, finché i vicini non vi bussano per dirvi, basta ormai la cantiamo anche noi a memoria!

Ma anche trovare un brano meno conosciuto di altri è molto arduo: per carità, anche loro qualche scivolone l’hanno fatto. E vorrei vedere, considerando che hanno pubblicato 35 album in studio e 18 live. Quale scegliere dunque? Come dice il mio amico Luca, gli Stones sono come il ragù di mamma. Lo puoi mangiare cento, mille, un milione di volte, sarà sempre buono e non ti stuferà mai. Sempre uguale a se stesso e sempre inimitabile, per quanti sforzi e tentativi tu possa fare. La voce di Mick, la chitarra di Keith, sempre uguali, sempre uniche.

Così ho deciso di proporvi un brano di un periodo tardivo, un brano bellissimo nella sua normalità, che come tanti altri ha però il marchio inimitabile ed inconfondibile delle pietre rotolanti, che alla soglia degli 80 anni continuano ad emozionare nei palchi di tutto il mondo (come si domandava qualcuno, vuoi vedere che la droga non fa poi così tanto male?)

Buon ascolto!

Viaggi musicali

Cosa sarebbe la vita senza la musica? Da sempre i miei “viaggi ermeneutici” hanno avuto un sottofondo musicale. Molto spesso, come sanno i viaggiatori più assidui, concludo i post con un brano che nella mia mente dovrebbe essere il migliore sottofondo a quello che si sta leggendo. Perché in effetti la mia vita è sempre stata accompagnata da note e canzoni: “come fai a studiare con la musica“! Era il refrain dei miei quando ero al liceo. Per loro era una cosa inconcepibile, in realtà niente come la musica riusciva a farmi concentrare, isolandomi da tutto il resto. Anche oggi, in macchina, in casa, a lavoro, appena posso accendo la radio o metto su un CD. Da qualche tempo poi con spotify non ci sono più limiti!

Forse è per questo che all’interno del blog non c’era una sezione dedicata, che adesso però mi è venuta voglia di creare. Come per la lettura, ci saranno quindi dei consigli musicali, (rigorosamente non richiesti), che cercheranno di tirar fuori canzoni un po’ meno note dei cantanti o dei gruppi che amo di più. Ne ho già in mente diverse, altre me ne verranno: magari qualche consiglio o qualche spunto me lo darete voi.

E quindi, oltre ad una buona lettura, concluderemo i post con un buon ascolto!