Il giorno delle possibilità

Per i viaggi musicali di oggi rimaniamo negli States, all’incirca nello stesso arco temporale dei REM, ma soprattutto nella loro stessa scia. I Counting Crows sono un gruppo di nicchia rispetto ai precedenti, ma racchiudono nelle loro canzoni l’essenza della musica a stelle e strisce: quel magico miscuglio di country, rock, soul che riesce a farti sentire lungo le Highway in mezzo al deserto, anche se magari in quel momento sei bloccato nel traffico della tangenziale.

Il loro primo album, August and Everything After del 1992, resta probabilmente il loro capolavoro, ma nessuno dei lavori successivi fa comunque rimpiangere il costo sostenuto per acquistarli. Adam Duritz, leader e voce solista, ha un timbro inconfondibile e uno stile che si riconoscono dalle prime note.

Troppo facile quindi segnalarvi Mr. Jones, brano che li ha resi famosi in tutto il mondo: piuttosto invece vi faccio ascoltare un brano tratto da “Somewhere Under Wonderland” (loro penultimo album, del 2015). In effetti dopo questo lavoro sono spariti dai radar e qualcuno parlava di una possibile separazione. Invece proprio quest’anno hanno pubblicato nuovi brani inediti e sono partiti per una tournè che li vedrà anche nel nostro Paese (per chi fosse interessato, saranno a Roma il 4 ottobre all’Auditorium…io ci sarò!).

Il brano scelto è Possibility Days, una canzone bellissima, che parla dell’inevitabile certezza della speranza e sul fatto che né la tristezza, né le possibili sciagure che possono capitarci sono una sentenza definitiva, perché appunto ci saranno sempre giorni pieni di nuove possibilità.

Buon ascolto!

In quasi tutte le domeniche mattina

Insieme alla mia cara amica E. assidua vaggiatrice ermeneutica, si discuteva sui recenti casi di condivisione della malattia da parte di personaggi pubblici. In modi molto differenti fra loro, seguendo non proprio una moda, quanto piuttosto un modello culturale che ormai ha abbattuto i confini di pubblico e privato, Fedez e Mihajlovic hanno deciso di raccontare a tutti dello loro lotta contro il tumore.

Dicevo in modi differenti. Fedez ci ha raccontato passo dopo passo malattia, intervento chirurgico e conseguente cura, Sinisa si è limitato a rendere pubblico il ritorno della malattia, lanciandogli un pubblico guanto di sfida: “ha coraggio questa malattia a ripresentarsi contro uno come me”. Ognuno ha la sua modalità di reagire e se da una parte la condivisione passo passo, dall’altra il paragone della lotta, sono due atteggiamenti che aiutano e rincuorano nella difficoltà, allora niente da dire.

Ma non farei mia nessuna delle due. Non credo mi sarebbe d’aiuto la “socializzazione” di un percorso difficile com’è quello delle cure. Ma ancora di più, non mi piace questa retorica del guerriero, della lotta alla malattia come fosse un nemico da sconfiggere con coraggio ed ardore. Perché poi non vorrei sottintendere che la guarigione sia una vittoria conquistata sul campo. E chi invece non ce l’ha fatta? Significa che era debole? Che non era capace o peggio che non si è meritato di guarire?

Che la malattia – e questa come e più di altre – non sia una punizione mi sembra assodato. Non vorrei però che si pensasse che la guarigione sia un premio. Caro Sinisa, bravo tu se riesci a fare la voce grossa contro il tumore e se è quello che ti serve e che ti aiuta ad affrontarlo, bene così. Ma non vale per tutti. E soprattutto, non è che questo ti renda “migliore” (più bravo, più capace, più meritevole) di altri. Malattia e guarigione dipendono certo dai nostri comportamenti, ma solo fino ad un certo punto. Un punto che la medicina sposta sempre più avanti, grazie alla prevenzione e alle cure. Ma guarire non è meritocratico, non è la medaglia per chi è stato bravo, perché altrimenti sai quanti ce l’avrebbero fatta!

Purtroppo non è così invece e non sappiamo come o perché si guarisca. E’ come una domenica mattina: speri ci sia il sole e (almeno a Roma) per fortuna quasi sempre è così. A volte invece piove e scombina i nostri piani e non ci possiamo fare nulla. Per quanto lo avremmo voluto, non ci possiamo proprio fare nulla. Ma come dicevo con F. (altro amico fraterno anche di E.) un giorno il Principale lassù ce ne dovrà di spiegazioni!

Quasi tutte le seconde volte

E sono ormai convinto da molte lune dell’inutilità irreversibile del tempo”

Le seconde volte hanno sempre un sapore diverso. C’è maggiore consapevolezza e minore magia, nel bene e nel male. La prima volta hai più aspettative o più paura, perché non sai come sarà, non sai esattamente quello che ti aspetta. Le seconde volte hanno il gusto del già vissuto, sei più certo dei tuoi passi, tutto quello che succede in qualche modo sarà solo una conferma, non ti troverà impreparato. I deja vu risvegliano la nostalgia dei tempi andati, che spesso rende bello anche quello che bello non era affatto.

Il secondo innamoramento, il secondo viaggio, la seconda colonscopia. Le belle esperienze speri sempre possano succedere nuovamente, anche se sai che non potranno essere belle come la prima volta. Al contrario le vicende negative, una volta superate, speri non ricapitino più, anche se sai che non saranno così orribili come avevi pensato la prima volta. Nel bene e nal male, le seconde volte hanno un’intensità minore, perché hanno perduto il fuoco della novità e rientrano nelle esperienze già vissute.

Ancora tu? Ma non dovevamo vederci più? Come sarà questo secondo lockdown? Mi auguro di non vedere di nuovo la caccia alle penne lisce nei supermercati e sono quasi certo che nessuno si metterà a cantare in balcone. Ci sarà più tolleranza verso i runner e meno pazienza per chi se ne va in giro senza mascherina. Ci arriviamo tutti più stanchi e probabilmente più fatalisti. Diciamo la verità, chi era così esageratamente ottimista da pensare che non sarebbe successo?

Ma la domanda vera è un’altra: sarà efficace? Riuscirà a fermare quest’incubo e a farci tornare alla vita normale? Perché invece l’altra sensazione già vissuta, è proprio l’inutilità, la paura che come la volta scorsa avremo molto da perdere e poco da guadagnare. Ma d’altra parte dipende da noi, esclusivamente da noi e come diceva il grande Marx (Groucho, ovviamente) “non vorrei mai far parte di un club che accettasse fra i suoi soci uno come me“.

Ricordati il caricabatteria

Leggevo il racconto di alcuni operatori del 118. Testimonianze drammatiche, storie che ti lasciano il segno: entrare nel dolore e nella paura, prima ancora che nelle case delle persone, non penso sia un’esperienza che potrai mai dimenticare. Uno dei volontari raccontava appunto che la prima cosa da fare è tranquillizzare il malato ed i familiari, diminuire la tensione, evitare il panico che può prendere chi si appresta a lasciare i propri cari verso un futuro incerto e pieno di paure.

Si ricordi di prendere il caricabatteria“. Questa è una delle frasi più ricorrenti: fra tutte le cose che conviene portarsi in ospedale, la cosa a cui molti non pensano è però essenziale, perché darà la possibilità di mantenere vivo l’unico contatto che avranno con l’esterno e con i propri cari.

Ma in effetti, al di là di questa drammatica circostanza, capita spesso così. Come quando da piccoli portavamo in vacanza la radio, ma dimenticavamo le pile, oppure prendevamo le biciclette e lasciavamo a casa la pompa per gonfiare le ruote. Succede, perché c’è sempre qualcuno che si prende la scena, che per scelta o per natura è destinato a stare sotto i riflettori, ad essere il protagonista. Ed è giusto così.

Io invece ho sempre subito il fascino discreto di chi nella sua indispensabilità riesce a stare un passo indietro: chi è condizione di possibilità, la chiave per far azionare il meccanismo. E lo fa con naturalezza, senza prendersi la copertina, fondamentale senza darlo a vedere, essenziale anche lontano dalla luce dei riflettori. E bella come l’ultima traccia di un album.

 

Dagli una possibilità

Devi dargli una possibilità al sogno chiuso in un cassetto. Perché finché starà chiuso lì dentro sarà solo un’ipotesi dell’assurdo, un ladro nella notte, che come un tarlo continuerà a bussare senza speranza. Se lo lasci andare potrebbe forse evaporare come fumo profumato diventando una strada verso il nulla. Oppure potrebbe essere la strada verso il domani. Potrebbe.

Devi dargli una possibilità all’amico di sempre, che fa sempre gli stessi errori, sempre nello stesso modo, ad ogni occasione, con lo stesso tempismo di una scoreggia ad un pranzo di nozze. Devi dargliela perché forse la prossima volta ti stupirà. Forse.

Devi dargli una possibilità al giorno che arriva. Perché nessun giorno è uguale all’altro, i colori dell’alba sono simili e allo stesso tempo diversi da quelli del tramonto. La tavolozza delle sfumature non ha fine e in un solo giorno a volte succede quello che hai aspettato da anni. A volte.

Devi dargli una possibilità a quella faccia ormai ben nota che ogni mattina, con l’aria assonnata e l’espressione un po’ così, ti guarda dallo specchio del bagno. Sì, è sempre lo stesso, non ci sono dubbi, ma in realtà ha voglia di sognare così forte da farsi uscire sangue dal naso. Magari ti stupirà. Magari.

Devi dargli una possibilità allo sconosciuto che incontri per caso ad un pranzo di amici e fra tutti i presenti comincia a parlare proprio con te. Prendendola un po’ alla lontana, cerca di fare buona impressione e ti chiede se può riaccompagnarti a casa. Chissà che non sia proprio lui quello giusto. Chissà.

Potrebbe, forse, a volte, magari, chissà. Il condizionale è d’obbligo. Ma se non gli dai una possibilità, non lo saprai mai.

L’alfabeto delle canzoni

E ce l’ho fatta anche io! Mica potevo mancare…quando il mio amico Zeus chiama non ci si può tirare indietro (veramente anche Papillon mi aveva solleticato un giochino analogo, basato sui titoli dei film, ma mi mancano troppe lettere!) Il giochino è quello di ripercorrere l’alfabeto citando titoli di canzoni. Poi lo sapete che le liste di qualsiasi cosa, soprattutto se minchiona, mi fanno impazzire. Tanto per rendere la cosa un po’ meno minchiona (mica tanto eh!) ho cercato di mettere dentro una sola volta a testa, tutti i miei gruppi e cantanti preferiti. Potreste dirmi, va be’ ma a noi che ce frega? Lo so, invece a me il giochino è piaciuto assai, anche perché riuscire a far partecipare alla cosa i best 25, ti costringe a pensare e poi a scegliere. Certamente qualcuno manca, ma le lettere a disposizione erano finite!

As Tears go by – Rolling Stones. Gli Highlander. Li ho sentiti dal vivo l’anno scorso al Circo Massimo e davvero cominci a pensare che in fondo la droga non sia poi così nociva.

Baba o’ Reily – The Who. Una canzone che bisognerebbe sentire ogni mattino, a palla di cannone, appena alzati, così tanto per ricordarci quant’è bella la vita

Cowgirl in the sand – Neil Young, come cantante lui è nella mia top five, la canzone in questione è straziante e bellissima come solo lui potrebbe cantare

Desperado – Eagles, loro sono bravissimi e la canzone merita assolutamente, al pari di molte altre (fra l’altro ce n’è un’altra, sempre con la D che mi piace un sacco, ma già l’ho usata per altri post e non volevo ripetermi)

Easy does it – Supertramp, loro sono il “mio” gruppo. Non i preferiti in assoluto, ma quelli che sento più miei, come fossero miei amici, come li conoscessi da trent’anni, un po’ come i compagni di scuola. E in fondo un po’ è anche vero.

Fat bottomed Girls – Queen. Altro gruppo storico nei miei ascolti e l’omaggio alle ragazze culone penso sia uno dei loro pezzi più significativi, per ironia, ritmo, spontaneità. Secondo me un po’ troppo sottovalutati.

Good Riddance – Green Day fra le nuove generazioni forse i più ascoltati. Questa canzone in particolare la trovo bellissima.

Horizons – Genesis. ecco dovessi scegliere un solo gruppo, non avrei dubbi, sono loro. Ho scelto volutamente un pezzo minore, brevissimo, solo strumentale, perché basta anche solo questo per far capire secondo me che quando fra trecento anni studieranno la storia della musica del 900, loro saranno nei libri di testo.

Knockin’ on Heavens Door – Bob Dylan. Che vogliamo dire su quest’uomo e su questo pezzo. Silenzio e alziamo il volume

Inbetween Days – Cure. Torniamo alla mia adolescenza con questo gruppo di matti che però in questa canzone diedero veramente il massimo. Pezzo monumentale, un altro di quelli da ascoltare la mattina per darsi la carica

Love Boat Captain – Pearl Jam. Pensavo ad un certo punto che il rock avesse già detto tutto quello che aveva da dire. Loro e il gruppo che segue a due distanze mi hanno fatto ricredere. I Nirvana sono l’emblema, loro la sostanza, fra i due, a mio avviso, c’è un abisso.

Mother – Pink Floyd. Questi certo non potevano mancare. Li ho consumati a furia di ascoltarli: probabilmente hanno scritto brani molto più belli di questo, ma ultimamente l’ho riascoltato casualmente e mi è venuto da piangere

Nightswimming – Rem. E questo è l’altro gruppo che mi ha fatto pensare che effettivamente ancora è presto per fare il de profundis al rock. Grande gruppo, grande pezzo!

On almost sunday morning – Counting Crows. Anche loro appartengono alla nuova generazione, ma per intensità dei pezzi, meritano di essere nell’olimpo. Spero di riuscire ad andarli a vedere a luglio!

Police on my back – The Clash. Nuovo salto all’indietro per un gruppo che mi ha sempre fatto impazzire. Come fai ad ascoltarli senza che ti venga voglia di salire su un tavolo e metterti a ballare?

Queen of Supermarket – Bruce Springsteen. A parte che trovare una canzone con la Q non era proprio facilissimo, ma lui è lui…il Boss, unico e solo. Insieme ai Genesis, nella mia classifica, sempre al primo posto.

Revolution – Beatles. Loro sono la storia, il porto sicuro in cui torni ogni volta che hai bisogno di sentirti a casa. Possono anche passare mesi senza ascoltarli, ma tu sai che loro sono lì. Una certezza.

Stay – Jackson Browne. Un altro dei miei preferiti, un altro di cui ho consumato gli LP quando ancora non c’era l’elettronica che ti veniva incontro. E quindi quando finiva la prima facciata toccava alzarsi, rigirare il disco e rimettere su il braccio, calcolare la traccia e abbassare la levetta.

Tunnel of Love – Dire Straits. Ultimamente li ho citati in un ricordo di qualche anno fa. Nei favolosi eighteen loro non mancavano mai. Questa, per la cronaca, è nella colonna sonora di Ufficiale Gentiluomo, film cult di quegli anni.

Uptown Girl – Billy Joel. Un altro di quei cantanti di cui ho la discografia completa. Sparito ormai da qualche anno dalle scene, ma questo testimonia una volta di più la sua grandezza. Se non hai più niente da dire, perché continuare a rompere i timpani? Non sarebbe meglio tacere? Grande Billy!

Valencia – The Decemberists. Dei gruppi nuovi o comunque emergenti questi sono quelli che forse mi piacciono di più. Un mix molto interessante di rock, country, prog. veramente notevoli!

With or Without you – U2. I loro primi 5 dischi li pongono nell’Olimpo dei più grandi di tutti. Poi si sono persi e difficilmente si ritroveranno. Ma arrivare a certe vette non è da tutti!

Xanadu – Elo. Insieme ai Supertramp l’altro gruppo che sento mio, perché fa parte dell’adolescenza in maniera pervasiva. La prima facciata di Discovery è forse in assoluto il disco che ho ascoltato di più. Anche in questo caso, forse, anzi sicuramente, ne hanno scritte di più belle, ma trovatemi un’altra canzone con la X?

Your song – Elton John. Un altro gigante che in una classifica del genere non può mancare. Canzone struggente e bellissima.

Zombie – Cranberries. Loro sono un grande gruppo, che hanno saputo dire qualcosa di nuovo, poi la voce di Dolores O’ Riordan è una di quelle che ti fanno fare pace col mondo.

Classifiche dell’anno

E così, come ogni anno, questo è il periodo dei bilanci, di guardarsi indietro e fare una lista delle cose belle capitate nell’anno.

Cominciamo con i libri. Quest’anno ho letto più del solito: l’incidente prima, il riprendere la metropolitana poi, hanno alzato vertiginosamente la media annua. Ho letto davvero dei gran bei libri: molti di autori già frequentati come Lansdale, Mc Carthy, fra gli italiani Carofiglio e Piperno, però la mia classifica dei primi tre vede: al terzo posto di R. Mcliam Wilson “Eureka Street“, al secondo di P. Meier “Il Figlio“, al primo posto di J. Guenassia “La vita sognata di Ernesto G“. Tre libri che consiglio vivamente a tutti. Bellissimi!

Passiamo alla musica. A differenza dei libri non ci sono stati picchi eccelsi. A parte Somewhere under Wonderland dei Counting Crows (molto bello), stento a trovare Cd da ricordare. Coldplay e Kasabian non all’altezza dei precedenti, vecchi leoni tipo Jackson Browne o gli U2 abbastanza deludenti: forse l’unica altra bella conferma è Passenger (che ho visto anche dal vivo e ne è davvero valsa la pena), con Whispers. Fra gli italiani il trio Gazzé, Silvestri, Fabi, ma giusto per voler mettere qualcosa.

Passando agli eventi, di questo 2014, ricorderò senza dubbio il bel giro in Germania fatto a Pasqua. 3000 km in macchina su e giù con tutta la famiglia sono stati faticosi, ma divertenti. E a parte che ho scoperto di avere due Tamagochi al posto dei figli (fame, sonno, mi annoio, devo andare al bagno e poi si ricomincia, fame, sonno, ecc.), sicuramente è stata una bella vacanza.

Sul lavoro grandi cambiamenti. Non per me, almeno per il momento, ma senza dubbio, dopo 12 anni il cambio dei vertici aziendali ha portato una ventata di novità dopo tanto tempo. Vedremo cosa succederà nei mesi che verranno, ma certo la sensazione di essere ad un punto di svolta è abbastanza tangibile.

Dovendo scegliere una giornata da cancellare, ovviamente, dico l’11 settembre. Il mio undicisettembre! Il perone ha fatto crack e i due mesi successivi non sono stati niente di entusiasmante. Va be’ è passato, ci ho scritto in questo post e poi anche in quest’altro, è il caso di non rinvangare. Invece, se devo scegliere una sola giornata bella che sicuramente ricorderò, dico il 27 marzo. Ed è strano, perché in realtà quel giorno per me è il più brutto di tutti. 15 anni fa, proprio in quella data, se ne andava mia mamma. Ma quest’anno, contrariamente al solito, è stata invece una giornata inaspettatamente bella. Una giornata di lacrime, ma diverse dal solito, una giornata non ripiegata sula passato, anzi, al contrario, aperta sul futuro. Una giornata speciale, grazie ad una persona speciale, che ormai fa parte della mia vita.

In conclusione comunque un anno, che ricorderò con piacere. Ma ormai dovreste conoscermi, per me il bicchiere è sempre mezzo pieno…generalmente di qualcosa di alcolico. Perché come ho letto recentemente, l’ottimista è quello che guardando una foglia di mentuccia in automatico ci vede un bel mojito.

Buon Natale a tutti!

 

Quando la tempesta sarà finita

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Rompersi un osso è – lapalissianamente – un’esperienza traumatica.

Già quando era appena successo, sotto i fumi della morfina, avevo buttato giù qualche considerazione che andava al di là del mero fatto fisico (se ve l’eravate persi, esattamente qui). Perché in effetti la rottura ha in sé dei significati che vanno al di là, che metaforicamente alludono a situazioni diverse.

Quando qualcosa si rompe, rimani sempre senza parole. Fino a quel momento ci contavi, pensavi di poterci fare affidamento. Lo davi per scontato. Per questo può succedere che tu abbia esagerato, che anche involontariamente l’abbia caricato di troppi pesi, troppe responsabilità. In questi casi la rottura è preceduta da qualche scricchiolio, da qualche segnale di insofferenza. Che dovresti essere bravo a cogliere (se solo fossi meno distratto da tutto il resto, se solo fossi capace di concentrarti su quello che il mondo ti vuole dire).

Altre volte invece la rottura avviene in modo del tutto inaspettato. Senza alcun avviso. Dal tuo punto di vista anche senza alcuna ragione. Ma chi l’ha detto che ci debba sempre essere una ragione? In ogni caso sei lì, perso in tutt’altri pensieri, e lui si rompe. A quel punto è chiaro che forse la tua fiducia era stata mal riposta e sarai costretto a rivedere qualcosa. La miglior cosa di una giornata sbagliata è sapere che non sarà passata invano. Sapere che quando sarà finita tu avrai un giorno in più, non sarai più lo stesso e soprattutto ne avrai preso coscienza. Da domani saprai meglio su chi e su cosa contare.

In quasi tutti gli ultimi giorni

C’è un’intrinseca malinconia negli ultimi giorni delle cose. E’ quasi inevitabile. E neanche tutta l’aspettativa e l’attesa di quello che verrà dopo riesce a vincerla del tutto. Ricordo gli ultimi giorni di scuola, gli ultimi giorni di vacanza, gli ultimi giorni di un lavoro, gli ultimi giorni insieme a qualcuno. Anche se sai che domani sarà meglio, che la pagina che si va ad aprire sarà molto più bella di quella che si chiude, rimane questo senso di incompiutezza. Come mentre vedi scorrere i titoli di coda al cinema o quando accarezzi l’ultima pagina di un libro o ascolti le note dell’ultima traccia di un cd.

Quando arriva l’ultimo giorno puoi affrettarti quanto vuoi per cercare di fare il più possibile, puoi fare in modo che duri il più possibile, puoi centellinare quell’ultimo sorso, spremendolo fino alla fine, ma non arriverai mai a concludere quello che stai facendo con piena soddisfazione. Vorresti magari ci fosse un’altra scena, un’appendice alla storia, una traccia nascosta.

Ma invece sai che rimarranno i nodi irrisolti, i cerchi non chiusi, le questioni ancora aperte. Le rimanderai ad un altro inizio. Ma quello è concluso e sai – dentro di te lo sai benissimo – che tanto non basterebbe un giorno, un mese, un anno in più. E’ così!  Non te ne fai una ragione (perché mai dovremmo farcene una ragione?), no, continua a pungerti dentro, ma ci giri un po’ intorno, resti alzato fino a tardi, un po’ di più, vincendo la stanchezza e speri che domani almeno ci sia il sole.

 

Stima, affetto e una specie di analisi chimica dei sentimenti

Si può apprezzare una persona senza volerle bene? E si può voler bene ad una persona senza apprezzarla?

Così ci interrogavamo l’altro giorno con I., che come già sapete (https://giacani.wordpress.com/2014/01/05/i-il-rubinetto-della-doccia-e-la-domanda-kantiana/tp://)  ha l’indubbio merito di costringermi a vincere la pigrizia e a mettere momentaneamente da parte la minchioneria, per farmi diventare una persona seria. Alla prima domanda è facile rispondere sì. Stimare professionalmente qualcuno e magari detestarlo non è poi così raro. Anzi, c’è anche il detto, vizi privati e pubbliche virtù. A volte quelle caratteristiche che da un punto di vista professionale ci fanno apprezzare qualcuno, si portano quasi automaticamente appresso degli aspetti, delle particolarità che contrastano profondamente con il nostro sentire. E questo ci porta a dare giudizi completamente differenti, a volte contrastanti su determinate persone.

Anche alla seconda domanda è facile rispondere di sì. Capita con i familiari, che, come si sa, ci ritroviamo e certamente non ci possiamo scegliere. Capita anche con gli amici. Che effettivamente di solito ci scegliamo. Magari però quando li scegliemmo erano diversi da oggi: magari continuiamo a voler bene, però certo il giudizio su di loro nel tempo può cambiare, anche radicalmente.

Con le amicizie “adulte” è più difficile. “Da grandi” per voler bene a qualcuno penso sia quasi indispensabile stimarlo: bisogna condividere con lui un orizzonte ideale, dei valori, dei punti di vista comuni . Sarà anche per questo che però è così difficile e così raro che si riesca ad allacciare legami profondi? La realtà è che si diventa più esigenti. E d’altra parte non si ha quel vissuto insieme, quelle esperienze, spesso fatte negli anni più belli, che ti fanno passare sopra a tante cose, che ti fanno chiudere un occhio e a volte anche due, perché “lei (o lui) è fatto così, lo sai, è inutile incazzarsi, non cambierà mai…

Però quando accade che si riesce a trovare un comune sentire, quando la stima si intreccia anche ad un legame affettivo, se pensi sia talmente bravo che potrebbe fare la prima ballerina per radio e allo stesso tempo le vuoi così bene che la apprezzeresti anche come soprano in un film muto, per bacco! Allora sì! E’ difficile, ma può succedere. E di solito succede in modo del tutto accidentale, come dice Bach, “nel più importante dei modi. Per caso“.

E allora magari le vuoi così bene ed insieme la stimi così tanto che arrivi anche a sognare che ha i piedi più lunghi di quelli che ha.