Chissà cosa pensano i cani, quando ci guardano uscire e gli diciamo “stai buono che noi torniamo subito”. La mia ha quell’aria un po’ offesa e un po’ interrogativa, si fida e non si fida, è contenta così se ne va a dormire, ma le dispiace rimanere sola. Rimane in quella terra di mezzo in cui non sai bene se conviene andare avanti o restare indietro. Come quando esci fuori e metti la mascherina. Da una parte ti rompe, ti appanna gli occhiali, ti sembra che ti tolga il respiro, dall’altra però ti protegge, come la coperta di Linus, con la mascherina sei invincibile, non ti può capitare nulla.
Sono due bugie e tu lo sai, però ti piace crederci lo stesso: non ti protegge da tutto, ma neanche ti soffoca, ti appannano gli occhiali, non il cervello, per questo ti rendi conto che è giusto portarla e sono scemi quelli che non lo fanno. Atti di fiducia ragionata li chiamo io. Se il governo prolunga lo stato di emergenza fino al 31 gennaio non può certo farci piacere, ma in cuor nostro sappiamo che alternative non ce ne sono. E così, come Rose se ne va a dormire quando usciamo, perché nonostante una percezione del tempo sicuramente diversa dalla nostra, comunque in cuor suo sa che torneremo, così dobbiamo fare anche noi.
Ce ne andiamo a dormire, in attesa che qualcuno ritorni, in attesa che finisca gennaio, come il settembre dei Green Day. Nel frattempo il salsiccione dal ciuffo biondo si sarà tolto dai piedi, sarà arrivato Natale e avremo visto i botti di capodanno, chissà magari indossando mascherine, che non ci impediranno però di brindare ad un nuovo anno. Passerà anche gennaio e ci sveglieremo e continueremo a farci domande senza risposta: chissà cosa pensano i cani, quando ci mettiamo la mascherina?
Summer has come and passed, the innocent can never last, wake me up when September ends
Non è tempo perso coltivare progetti irrealizzabili, solo perché non avremo mai il coraggio o i mezzi economici sufficienti per metterli in pratica. D’altra parte non è che tutti abbiamo la fortuna di incontrare il Re di Spagna che ti finanzia il tuo progetto assurdo e periglioso di attraversare l’oceano per dimostrare che la terra è rotonda. Non tutti avranno la possibilità di verificare se la terra è tonda, ma ognuno potrà coltivare questa idea.
Non è tempo perso sognare ad occhi aperti, disegnando i contorni di un’idea, masticandola piano per ore come fosse un chewingum, vagliandone i se ed i poi, immaginando le conseguenze, facendosi le domande e dandosi le risposte. E poi magari lasciarla andar via, ringraziandola della compagnia, ma decidendo che no, forse non ne valeva la pena.
Non è tempo perso resistere alla corrente che incanala le opinioni e le fa diventare verità come ha fatto Ilaria. Non tutti hanno la forza e la tenacia di gridare al mondo per nove anni una verità diversa, ma alla fine poi, comunque fosse andata a finire, non sarebbe stato no tempo perso.
Non è tempo perso impegnarsi in alcune battaglie perse. E lo so cosa state pensando! Se perdere le battaglie serve a vincere la guerra certo che non è tempo perso. Ma non è così. Le guerre non si vincono con le battaglie perse. E nemmeno con le battaglie vinte. Perdi tempo a fare le tue battaglie, se lo vuoi davvero, ma senza pensare al dopo. Perché alla fine le guerre in realtà non le vince nessuno.
Non è tempo perso aspettare il nostro personale Godot, anche se sappiamo bene che difficilmente arriverà. Ma in fondo non lo sappiamo mica, perché l’unica cosa che sappiamo per certo è quello che è già successo, ma su quello che deve ancora succedere un ragionevole (ma anche un irragionevole) dubbio possiamo sempre concedercelo.
Non è tempo perso stancarsi, se non altro per capire chi sarà lì a sostenerci piano, senza ingannevoli parole, per condividere la nostra fatica.
Non è tempo perso nemmeno perdere tempo, perché a volte è proprio quello di cui abbiamo bisogno. Anche solo il tempo di una canzone
“So take the photographs, and still frames in your mind, Hang it on a shelf of good health and good time. Tattoos of memories, and dead skin on trial. For what it’s worth, it was worth all the while.”
E così anche questo 2016 volge al termine. Terremoti, attentati, incidenti, crisi di governo…se guardo quello che è successo nel mondo non posso che confermare il detto “anno bisesto anno funesto”. Ma infatti l’ideale sarebbe non leggere i giornali, né guardare la televisione e magari concentrarsi sui propri confini: non per egoismo o per menefreghismo. Al contrario. Con la convinzione che le nostre singole storie siano piccoli tasselli della Storia con la S maiuscola. E se miglioriamo loro, le nostre realtà quotidiane, contribuiamo a costuire un insieme diverso. E allora, dal mio punto di vista, questo duemilasedici non è mi dispiaciuto per niente.
La tradizione del blog vuole che questi siano i giorni dei bilanci, delle classifiche delle cose più belle dell’anno trascorso: sui libri ormai vi intrattengo periodicamente con i consigli di lettura quindi non mi dilungo. Dovessi dire un solo titolo fra la trentina abbondante che ho letto quest’anno, direi che il podio va al solito Lansdale, con Paradise Sky romanzo storico bellissimo su uno dei più famosi sceriffi di colore nella storia degli Stati Uniti a cavallo fra 800 e 900 (non era nella collana dei “consigli” e quindi ve lo suggerisco ora!).
Sulla musica poco da segnalare: bello Revolution Radio dei Green Day, ma niente di trascendentale, sui loro livelli, comunque secondo me sempre elevati. Una menzione per A Headfull of Dreams dei Coldplay e soprattutto 57th & 9th di Sting, perché avevo perso le speranze per entrambi: invece hanno tirato fuori due CD di buon livello. Certo, se devo emozionarmi con la musica, per fortuna c’è sempre il boss: mi hanno regalato The Ties that Bind, cofanetto che racchiude tutto il lavoro edito e soprattutto inedito di The River e debbo dire che ne è davvero valsa la pena.
E il concerto del Boss di luglio è stato sicuramente l’evento dell’anno. Insieme ai vari festeggiamenti per le ricorrenze che sono cadute lungo questi 366 giorni: i miei 50 anni, i 18 della mia principessa, i 30 anni insieme alla mia dolce metà. Tante ricorrenze, tanti festeggiamenti, tanti viaggi: ermeneutici, ma non solo. In giro per l’Italia, in giro per il mondo: Monaco, ma soprattutto Cuba, su cui però già vi ho ampiamente raccontato. Adesso ricominciamo a mettere i soldi da parte per i prossimi!
Cosa augurarsi per questo 2017? Libri da leggere, musica da ascoltare, viaggi da organizzare (e da scrivere). Ma soprattutto grandi, grosse, grasse risate. Alle spalle di chi non coglie l’ironia, alla faccia di chi si crede chissà chi, ma soprattutto insieme agli amici più cari. Quelli a cui non riesci a smettere di pensare, quelli dalle mille parole e quelli dai silenzi condivisi, quelli delle buonanotte e dei buongiorno, quelli vicini, ma soprattutto quelli lontani (che a volte sono i più vicini), quelli da tirare su e quelli con cui lasciarsi andare. Quelli con cui è impossibile litigare, quelli che sai puoi anche insultare quando ti gira storto, tanto sai che non se la prendono. Gli amici di sempre e quelli per sempre. Gli amici, senza altri aggettivi.
E’ il 17 febbraio 1983. Il piccolo Billie Joe compie 11 anni e questa notte ha fatto un sogno: un super eroe lo ha salvato da un pericolo mortale, ed ora svegliandosi la mattina si aspetta grandi cose. Chissà come lo festeggeranno la mamma e i suoi fratelli e le sue sorelle! Billie è il più piccolo dei sette, il cucciolo di casa. Non c’è più Andy, il papà camionista e musicista part time, morto qualche mese prima per un brutto male, sarà un compleanno più triste del solito, però la vita va avanti e Billie Joe vuole essere felice, almeno per oggi.
Si è alzato presto, sperando di trovare già qualche regalo in cucina, ma in casa c’è solo Ollie, la mamma che gli sta preparando la colazione, mentre la radio è accesa sulla solita stazione che trasmette musica rock.
As soon as you’re born they make you feel small By giving you no time instead of it all Till the pain is so big you feel nothing at all A working class hero is something to be A working class hero is something to be
Auguri piccolo mio! Sbrigati che si fredda.
Mamma, chi è l’eroe della classe operaia?
Non esiste Billie! Non perdere tempo che altrimenti fai tardi a scuola. Gli eroi esistono solo nella fantasia e nei fumetti…
Non è vero mamma! Gli eroi esistono ed esaudiscono i nostri desideri!
Amore mio…
E poi di corsa giù fra le strade di Berkeley, all’angola della sesta per il solito appuntamento con Mike, per andare insieme a scuola. Mike è solo al mondo, ma per lui è più di un fratello: faranno grandi cose insieme, magari metteranno su una band e diventeranno famosi in tutto il mondo. Billie ha con sé la sua chitarra perché dopo la scuola, come sempre, si fermeranno a suonare da qualche parte. Ma ecco, là in fondo i teppisti di Down Town, quelli che gliele hanno promesse.
Scappa Mike, scappa!
Le gambe corrono più veloci del pensiero, sono senza fiato, ma quelli sono di più e in un attimo gli sono addosso. Calci, pugni, purtroppo, nessun eroe è venuto a salvarli ed in più hanno anche rotto la chitarra, bastardi maledetti!
Eccovi serviti. Non fatevi più vedere! E tu stai lontano da Adrienne
Te lo puoi scordare! Io un giorno la sposerò!
Sì, sogna, sogna…
Poi arriva la sera, la cena, la festa per lenire le ferite e riaccendere le speranze
Billie Joe, sono sicura che papà avrebbe voluto darti questa. Apri, questo è il suo regalo di compleanno!
E dentro la custodia c’è “Blue”, la Fender Stratocaster a lungo sognata dal piccolo Billie. Ma allora forse è vero: gli eroi non sono coloro che ci salvano, ma quelli che realizzano i nostri sogni. Anche se sono semplici eroi della classe operaia.
Billie Joe Armstrong e Mike Dirnt sono ancora amici: per inseguire i propri sogni non hanno terminato le scuole A 22 anni Billie si è sposato con Adrienne, hanno due figli. In compenso Billie e Mike hanno fondato i Green Day, vendendo oltre 60 milioni di dischi in tutto il mondo. Neanche a dirlo, la canzone che chiude i loro concerti è un remake di Working Class Hero di John Lennon.
E ce l’ho fatta anche io! Mica potevo mancare…quando il mio amico Zeus chiama non ci si può tirare indietro (veramente anche Papillon mi aveva solleticato un giochino analogo, basato sui titoli dei film, ma mi mancano troppe lettere!) Il giochino è quello di ripercorrere l’alfabeto citando titoli di canzoni. Poi lo sapete che le liste di qualsiasi cosa, soprattutto se minchiona, mi fanno impazzire. Tanto per rendere la cosa un po’ meno minchiona (mica tanto eh!) ho cercato di mettere dentro una sola volta a testa, tutti i miei gruppi e cantanti preferiti. Potreste dirmi, va be’ ma a noi che ce frega? Lo so, invece a me il giochino è piaciuto assai, anche perché riuscire a far partecipare alla cosa i best 25, ti costringe a pensare e poi a scegliere. Certamente qualcuno manca, ma le lettere a disposizione erano finite!
As Tears go by – Rolling Stones. Gli Highlander. Li ho sentiti dal vivo l’anno scorso al Circo Massimo e davvero cominci a pensare che in fondo la droga non sia poi così nociva.
Baba o’ Reily – The Who. Una canzone che bisognerebbe sentire ogni mattino, a palla di cannone, appena alzati, così tanto per ricordarci quant’è bella la vita
Cowgirl in the sand – Neil Young, come cantante lui è nella mia top five, la canzone in questione è straziante e bellissima come solo lui potrebbe cantare
Desperado – Eagles, loro sono bravissimi e la canzone merita assolutamente, al pari di molte altre (fra l’altro ce n’è un’altra, sempre con la D che mi piace un sacco, ma già l’ho usata per altri post e non volevo ripetermi)
Easy does it – Supertramp, loro sono il “mio” gruppo. Non i preferiti in assoluto, ma quelli che sento più miei, come fossero miei amici, come li conoscessi da trent’anni, un po’ come i compagni di scuola. E in fondo un po’ è anche vero.
Fat bottomed Girls – Queen. Altro gruppo storico nei miei ascolti e l’omaggio alle ragazze culone penso sia uno dei loro pezzi più significativi, per ironia, ritmo, spontaneità. Secondo me un po’ troppo sottovalutati.
Good Riddance – Green Day fra le nuove generazioni forse i più ascoltati. Questa canzone in particolare la trovo bellissima.
Horizons – Genesis. ecco dovessi scegliere un solo gruppo, non avrei dubbi, sono loro. Ho scelto volutamente un pezzo minore, brevissimo, solo strumentale, perché basta anche solo questo per far capire secondo me che quando fra trecento anni studieranno la storia della musica del 900, loro saranno nei libri di testo.
Knockin’ on Heavens Door – Bob Dylan. Che vogliamo dire su quest’uomo e su questo pezzo. Silenzio e alziamo il volume
Inbetween Days – Cure. Torniamo alla mia adolescenza con questo gruppo di matti che però in questa canzone diedero veramente il massimo. Pezzo monumentale, un altro di quelli da ascoltare la mattina per darsi la carica
Love Boat Captain – Pearl Jam. Pensavo ad un certo punto che il rock avesse già detto tutto quello che aveva da dire. Loro e il gruppo che segue a due distanze mi hanno fatto ricredere. I Nirvana sono l’emblema, loro la sostanza, fra i due, a mio avviso, c’è un abisso.
Mother – Pink Floyd. Questi certo non potevano mancare. Li ho consumati a furia di ascoltarli: probabilmente hanno scritto brani molto più belli di questo, ma ultimamente l’ho riascoltato casualmente e mi è venuto da piangere
Nightswimming – Rem. E questo è l’altro gruppo che mi ha fatto pensare che effettivamente ancora è presto per fare il de profundis al rock. Grande gruppo, grande pezzo!
On almost sunday morning – Counting Crows. Anche loro appartengono alla nuova generazione, ma per intensità dei pezzi, meritano di essere nell’olimpo. Spero di riuscire ad andarli a vedere a luglio!
Police on my back – The Clash. Nuovo salto all’indietro per un gruppo che mi ha sempre fatto impazzire. Come fai ad ascoltarli senza che ti venga voglia di salire su un tavolo e metterti a ballare?
Queen of Supermarket – Bruce Springsteen. A parte che trovare una canzone con la Q non era proprio facilissimo, ma lui è lui…il Boss, unico e solo. Insieme ai Genesis, nella mia classifica, sempre al primo posto.
Revolution – Beatles. Loro sono la storia, il porto sicuro in cui torni ogni volta che hai bisogno di sentirti a casa. Possono anche passare mesi senza ascoltarli, ma tu sai che loro sono lì. Una certezza.
Stay – Jackson Browne. Un altro dei miei preferiti, un altro di cui ho consumato gli LP quando ancora non c’era l’elettronica che ti veniva incontro. E quindi quando finiva la prima facciata toccava alzarsi, rigirare il disco e rimettere su il braccio, calcolare la traccia e abbassare la levetta.
Tunnel of Love – Dire Straits. Ultimamente li ho citati in un ricordo di qualche anno fa. Nei favolosi eighteen loro non mancavano mai. Questa, per la cronaca, è nella colonna sonora di Ufficiale Gentiluomo, film cult di quegli anni.
Uptown Girl – Billy Joel. Un altro di quei cantanti di cui ho la discografia completa. Sparito ormai da qualche anno dalle scene, ma questo testimonia una volta di più la sua grandezza. Se non hai più niente da dire, perché continuare a rompere i timpani? Non sarebbe meglio tacere? Grande Billy!
Valencia – The Decemberists. Dei gruppi nuovi o comunque emergenti questi sono quelli che forse mi piacciono di più. Un mix molto interessante di rock, country, prog. veramente notevoli!
With or Without you – U2. I loro primi 5 dischi li pongono nell’Olimpo dei più grandi di tutti. Poi si sono persi e difficilmente si ritroveranno. Ma arrivare a certe vette non è da tutti!
Xanadu – Elo. Insieme ai Supertramp l’altro gruppo che sento mio, perché fa parte dell’adolescenza in maniera pervasiva. La prima facciata di Discovery è forse in assoluto il disco che ho ascoltato di più. Anche in questo caso, forse, anzi sicuramente, ne hanno scritte di più belle, ma trovatemi un’altra canzone con la X?
Your song – Elton John. Un altro gigante che in una classifica del genere non può mancare. Canzone struggente e bellissima.
Zombie – Cranberries. Loro sono un grande gruppo, che hanno saputo dire qualcosa di nuovo, poi la voce di Dolores O’ Riordan è una di quelle che ti fanno fare pace col mondo.
L’autobus mi lasciava abbastanza lontano da casa. Ma ero contento, perché almeno potevo fare due passi dopo esser stato seduto tutto il giorno. E così tutti le sere camminando lungo quel viale, ripercorrevo le mie giornate, ripensando ai fatti, alle persone, alle situazioni. E soprattutto alle occasioni. Quante ne avevo fatte scivolare via!
“Sai Guido noi abbiamo dei buoni stipendi, ma i soldi veri, caro mio…o si rubano o si sposano“. Che stronzo il mio capo! Però mi sa che in quello aveva ragione. Io invece non rubavo, non avevo mai rubato nulla. Per di più ho sposato un angelo. Che come tutti gli angeli non aveva una lira. Forse per questo non siamo mai stati ricchi. Eppure sarebbe bastato chiudere un occhio una volta, fare finta di non vedere un’altra….e oggi anche io sarei ricco.
“Ma non ti vengono i rimorsi di prendere qualcosa non tuo?” “Ti rispondo facendo un esempio.Io adoro la marmellata di more. Certo ti restano i semi in mezzo ai denti, ma basta uno spazzolino e un po’ di dentifricio dopo pranzo e il gioco è fatto“. Per lui gli scrupoli e i rimorsi di coscienza sono come semi di mora in mezzo ai denti. Ma io un dentifricio capace di lavare la coscienza non lo conosco. E a dire il vero neanche vogli conoscerlo.
Calava l’umidità, insieme al freddo tipico dei giorni della merla. Tornavo a casa lungo quel viale, a passo svelto, riscaldandomi con i sogni che avrei potuto realizzare se fossi stato ricco: gli studi per i figli, le vacanze per tutta la famiglia, risistemare casa, cambiare la macchina. Ma il sogno più grande non dovevo rincorrerlo chissà dove. La mia onestà, il faro della mia vita, era il sogno più bello, quello che ero riuscito a realizzare, nonostante tutto e tutti. Altro che cambiare la macchina! Una macchina…a tutta velocità e un motorino. Mi risvegliai dai miei pensieri come se fossi dentro un film di azione, tutto avvenne in un istante: la macchina era della polizia e stava rincorrendo il motorino. Ormai gli stava addosso, il motorino provò ad accelerare ancora, una curva, una sbandata, il guidatore perse il controllo finendo sull’asfalto. Rapido come un fulmine si rimise in piedi, tirando su il motorino e riprendendo la corsa, lasciando in terra però una borsa.
La macchina continuò a stargli dietro e in una manciata di secondi erano già in fondo al viale e poi fuori dalla mia vista. La curiosità prese il sopravvento sulla prudenza. Nessuno in giro, mi chinai sulla borsa. Era piena di soldi. Soldi come ne ne avevo mai visti in vita mia, più di quanto si possa anche solo immaginare. Lo so, non erano miei, ma in fondo non era neanche rubare. Non proprio almeno. La nebbia scendeva sempre più fitta, rendendo tutto ovattato, come una bolla fuori dal tempo. Ripresi la strada di casa, lungo il solito viale, felici come forse non ero mai stato, canticchiando una canzone dei Green Day
Un’ altra svolta, un bivio sulla strada, il tempo ti afferra per il polso e ti dirige per la strada da prendere. Quindi fai del tuo meglio per superare questa prova e non chiederti il perché, non è una domanda, ma una lezione imparata con il tempo.
Perché non era andata bene con lei? Non lo so. Jenny era uno schianto. Erano mesi che non la vedevo e mentre mi parlava al telefono non riuscivo bene a concentrarmi sulle sue parole. Non ci riuscivo perché in realtà non la stavo ascoltando, perché volevo ricordarmi il motivo per cui era finita fra noi, forse prima ancora di cominciare. Allora? Me la dai una mano? Che avrei potuto rispondere? Non avevo assolutamente sentito quello che mi aveva detto, ascoltavo le sue parole, ma non riuscivo a metterle in fila in modo da fare un pensiero finito. Un po’ come quando ascolti una canzone inglese. Avevo seguito la musica, la melodia, il suono delle sue parole. Ma non avevo capito assolutamente nulla. Ma ad una domanda così, cosa avrei dovuto rispondere? Ma sì, certo che ti aiuto!
Avevo conosciuto Jenny in una discoteca a Testaccio una calda estate di un paio d’anni prima. Ci frequentammo molto per qualche mese, poi la storia finì, senza un motivo. O forse sì, ma quella sera non me ricordavo. E non era certo perché lei fosse una puttana. No, non era quello. Da cliente ero diventato amico, uscivamo insieme quando non lavorava, stavamo bene. Certo, pensavo che avrebbe meritato di meglio. Una con la sua testa e con il suo corpo avrebbe assolutamente meritato qualcosa di meglio. Ma allora perché ci eravamo allontanati? Forse, banalmente, perché non ci avevo creduto. E del resto, come si fa a fidarsi di una così?
E comunque la mano che mi chiedeva era molto più semplice e molto più complicata di quello che mi ero immaginato. Non si trattava di picchiare nessuno, non dovevo difenderla da chissà quale maniaco. Jenny non aveva protettori, se la cavava egregiamente da sola. Quindi, ho capito bene: devo venire a pranzo con te e fare finta di essere…tuo marito? Mi guardava con quell’espressione dolce ed irritata insieme, come una maestra che deve ripetere la lezione all’alunno un po’ tonto. Adesso non esageriamo. Basta che fai capire che sei il mio compagno. I miei sono all’antica, ma non credo se la berrebbero che sono addirittura sposata. Ah, a proposito, il mio nome vero è Carla. Vedi di non sbagliarti!
I suoi, due simpatici vecchietti abruzzesi, la vedevano poco. Da quanto mi aveva raccontato lei li andava a trovare al loro paese un paio di volte l’anno, ma loro non erano mai venuti a Roma. Lei gli aveva detto che lavorava in un call center che gli imponeva orari assurdi, con turni notturni che non le consentivano una vita normale. Ma quel fine settimana lei compiva trent’anni e non aveva potuto impedire loro di venire. Anche per fargli finalmente conoscere questo misterioso Michele. Che poi sarei stato io. E così mi trovai a passeggiare per il lungomare di Ostia, mano nella mano con Carla che se fosse stato possibile era ancora più bella di quanto ricordassi. E mi piaceva molto quella scena. Mi piaceva prendere l’aperitivo in quel baretto con il sole di maggio che già abbronzava e il profumo del mare portato dal vento. Mi piaceva chiacchierare con suo padre e mi piaceva il modo in cui ci guardava sua madre.
Stava andando tutto alla grande. Finito il pranzo la madre di Carla si alzò per andare in bagno, quando si avvicinò al nostro tavolo un coatto che forse avevo anche già visto da qualche parte. Quel che è certo è che lui avevo già visto la mia improvvisata fidanzata e con fare mellifluo cominciò a fare allusioni, neanche troppo velate, alle presunte abilità di Jenny. In altre situazioni avrei risposto a muso duro, pretendendo delle scuse. O forse avrei fatto qualche battuta ironica, consigliando il tipo di evitare l’alcol, se gli provocava dei palesi fraintendimenti come quello lì. Il problema è che non avrei potuto pretendere delle scuse, né mi venne alcuna battuta ironica. Così mi limitai ad alzarmi e a colpirlo con una capocciata sul naso, facendolo stramazzare al suolo. Nel parapiglia seguente Carla prese i suoi e uscì in fretta e furia, mentre io allungai un po’ di soldi al proprietario del ristorante per calmare la cosa.
Scusatemi, ho perso la calma. Mi dispiace che quest’episodio ci abbia rovinato questa bellissima giornata, dovevano essere le mie scuse, mentre in macchina riportavamo i suoi alla stazione dei pulmann. Michele, non devi scusarti. Anzi, oggi sono più tranquilla perché abbiamo visto quanto ci tieni a nostra figlia, rispose la mamma, chissà quanto convinta di quello che aveva appena detto. E se già non avessimo avuto dubbi sulla reale percezione di quella giornata, l’ultima pulce la piazzò il papà, al momento dei saluti, Carla hai notato che quell’ubriaco, scambiandoti con chissà chi, ti ha chiamato Jenny. Ma non era il soprannome che usavi a scuola? Che strana combinazione.
Mi dispiace, provai a dire quando rimanemmo soli. E di cosa? Devo ringraziarti invece, non capita spesso che qualcuno sia disposto a prendere le mie difese, sei stato un fidanzato perfetto. Anzi, in questa recita sei stato un attore perfetto per i miei, ma almeno ora loro sono tranquilli. Peccato fosse solo una recita... Mi piaceva come mi guardava mentre lo diceva, mi piaceva da morire e improvvisamente capii perché la nostra storia si era interrotta. Non era vero che non avevo avuto fiducia di lei. Jenny, anzi Carla meritava qualcosa di meglio di quella vita. Ma finché si accontentava di essere una puttana, probabilmente si sarebbe accontentata anche di uscire con me. Il salto di qualità che l’avrebbe portata via da quel locale, inevitabilmente l’avrebbe anche portata via da me. Ero scappato perché non mi fidavo. Ma non di lei. Non mi fidavo di me.
Ma tu domenica prossima ci torneresti al mare con me?