I can’t stop thinking about you

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E così anche questo 2016 volge al termine. Terremoti, attentati, incidenti, crisi di governo…se guardo quello che è successo nel mondo non posso che confermare il detto “anno bisesto anno funesto”.  Ma infatti l’ideale sarebbe non leggere i giornali, né guardare la televisione e magari concentrarsi sui propri confini: non per egoismo o per menefreghismo. Al contrario. Con la convinzione che le nostre singole storie siano piccoli tasselli della Storia con la S maiuscola. E se miglioriamo loro, le nostre realtà quotidiane, contribuiamo a costuire un insieme diverso. E allora, dal mio punto di vista, questo duemilasedici non è mi dispiaciuto per niente.

La tradizione del blog vuole che questi siano i giorni dei bilanci, delle classifiche delle cose più belle dell’anno trascorso: sui libri ormai vi intrattengo periodicamente con i consigli di lettura quindi non mi dilungo. Dovessi dire un solo titolo fra la trentina abbondante che ho letto quest’anno, direi che il podio va al solito Lansdale, con Paradise Sky romanzo storico bellissimo su uno dei più famosi sceriffi di colore nella storia degli Stati Uniti a cavallo fra 800 e 900 (non era nella collana dei “consigli” e quindi ve lo suggerisco ora!).

Sulla musica poco da segnalare: bello Revolution Radio dei Green Day, ma niente di trascendentale, sui loro livelli, comunque secondo me sempre elevati. Una menzione per A Headfull of Dreams dei Coldplay e soprattutto 57th & 9th di Sting, perché avevo perso le speranze per entrambi: invece hanno tirato fuori due CD di buon livello. Certo, se devo emozionarmi con la musica, per fortuna c’è sempre il boss: mi hanno regalato The Ties that Bind, cofanetto che racchiude tutto il lavoro edito e soprattutto inedito di The River e debbo dire che ne è davvero valsa la pena.

E il concerto del Boss di luglio è stato sicuramente l’evento dell’anno. Insieme ai vari festeggiamenti per le ricorrenze che sono cadute lungo questi 366 giorni: i miei 50 anni, i 18 della mia principessa, i 30 anni insieme alla mia dolce metà. Tante ricorrenze, tanti festeggiamenti, tanti viaggi: ermeneutici, ma non solo. In giro per l’Italia, in giro per il mondo: Monaco, ma soprattutto Cuba, su cui però già vi ho ampiamente raccontato. Adesso ricominciamo a mettere i soldi da parte per i prossimi!

Cosa augurarsi per questo 2017? Libri da leggere, musica da ascoltare, viaggi da organizzare (e da scrivere). Ma soprattutto grandi, grosse, grasse risate. Alle spalle di chi non coglie l’ironia, alla faccia di chi si crede chissà chi, ma soprattutto insieme agli amici più cari. Quelli a cui non riesci a smettere di pensare, quelli dalle mille parole e quelli dai silenzi condivisi, quelli delle buonanotte e dei buongiorno, quelli vicini, ma soprattutto quelli lontani (che a volte sono i più vicini), quelli da tirare su e quelli con cui lasciarsi andare. Quelli con cui è impossibile litigare, quelli che sai puoi anche insultare quando ti gira storto, tanto sai che non se la prendono. Gli amici di sempre e quelli per sempre. Gli amici, senza altri aggettivi.

 

Non ci resta che avere paura?

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Qual è lo scopo? Qual è l’obiettivo? Forse il problema è proprio questo. La nostra mentalità occidentale ci porta a fare domande che magari per altre culture non ha molto senso. Davvero però me lo chiedo. D’accordo, siamo responsabili di orrori ben peggiori di questo. Per secoli abbiamo considerato ogni pezzo di terra al di fuori dell’Europa semplicemente come una possibile conquista da sfruttare. Per lavarci la coscienza dal più grande crimine contro l’umanità abbia chiuso un occhio e anche tutt’e due, permettendo la creazione di uno stato che non esisteva, ignorando e calpestando i diritti delle popolazioni che vivevano lì da sempre. Insomma, di colpe anche atroci ne abbiamo.

Ma ora, voi cosa sperate di ottenere? Pensate sul serio di portare l’Islam in Europa? Vi do una notizia, siete in ritardo di 1283 anni. A Poitiers avete perso. Carlo Martello, un francese, guarda le coincidenze. Magari la storia cambiava: anche perché lì eravate voi che stavate invadendo casa nostra. Forse se vincevate ora ci avreste colonizzato, noi saremmo tutti mussulmani e qualche fondamentalista con la croce al collo avrebbe messo bombe a Medina o a Bagdad. Ma la storia è andata diversamente.

Volete vendetta? Tu bombardi in Siria, io faccio attentati nel cuore dell’Europa. Pensate di chiudere il cerchio? Ma la vendetta non è un cerchio, è sempre una spirale. E come tutte le spirali non ha fine e si avviluppa sempre più su se stessa. Gli attentati daranno voce e forza a chi è contro l’integrazione, faranno vincere gli allarmisti, ingrasseranno i produttori di armi. Chi ci andrà di mezzo saranno i poveracci, come sempre. Quelli che sbarcano da noi per cercare un riscatto e una possibilità e quelli che rimangono a casa, che subiranno ritorsioni e violenze.

E allora che fare? Non ci resta che avere paura? Dobbiamo arrenderci alla di-sperazione? Dobbiamo abbandonare ogni speranza di soluzione? Eppure ci siamo trovati in un’altra situazione, simile e insieme diversa. Una situazione analoga nell’essere apparentemente senza speranza. E invece poi, seppur piena di incognite la speranza ha preso piede e una soluzione è venuta fuori. Allora, visto che è andata bene allora, voglio aggrapparmi nuovamente a questa.

We share the same biology, regardless of ideology. What might save us, me and you, is that the Russians love their children too.

If you love somebody (set them free)

Ci sono volte in cui siamo spettatori, altre in cui siamo attori. Ce ne sono alcune in cui dovremmo agire, invece di guardare e altre ancora in cui dovremmo semplicemente fare la cosa giusta. Anche se sembra la più folle. Anche se ci costa da morire. Anche se non siamo affatto sicuri del risultato.

L’altro giorno stavo portando al prato Rose per la solita passeggiata. Prima che potessi rendermi conto della cosa, una cagna che deve avere con Rose chissà quale conto in sospeso, si è precipitata giù da una collinetta e ha aggredito la mia piccola pulciosa. La cosa è stata rapidissima, il padrone che le correva dietro, io che cercavo prima di scansare Rose che era ancora al guinzaglio, poi che provavo ad allontanare l’aggreditrice che però era riuscita a metterla sotto e a morderla al collo. Nel giro di pochi istanti siamo riusciti a dividerle, il padrone se l’è portata via, mentre io consolavo la mia cucciola, che continuava a guaire, più per la paura che per altro.

Dovevi scioglierla subito anche tu, veloce com’è non l’avrebbe mai presa e voi nel frattempo riuscivate ad allontanare quell’altra“. Ha ragione Ale (come sempre), dovevo lasciarla libera. Pensavo di proteggerla tenendola al guinzaglio e invece ho fatto l’esatto contrario. Pensavo che stando vicino a me non le sarebbe capitato niente e invece è stata aggredita proprio perché io la tenevo legata.

Fortunatamente il tutto si è risolto con tre punti di sutura e dieci giorni di antibiotico. Poteva andare molto peggio. Ma lasciando stare per un attimo cani, museruole e guinzagli. La morale della favola può essere infatti molto più ampia. Non basta tenerli vicino a noi, non basta essere lì quando il nemico attacca. Per quanto possa essere difficile, per quanto possa essere faticoso, per quanto la cosa possa angosciarci, per quanto possa sembrare l’ammissione di una sconfitta (almeno per il nostro amor proprio), se vogliamo il loro bene dobbiamo lasciarli liberi.