L’alfabeto delle canzoni

E ce l’ho fatta anche io! Mica potevo mancare…quando il mio amico Zeus chiama non ci si può tirare indietro (veramente anche Papillon mi aveva solleticato un giochino analogo, basato sui titoli dei film, ma mi mancano troppe lettere!) Il giochino è quello di ripercorrere l’alfabeto citando titoli di canzoni. Poi lo sapete che le liste di qualsiasi cosa, soprattutto se minchiona, mi fanno impazzire. Tanto per rendere la cosa un po’ meno minchiona (mica tanto eh!) ho cercato di mettere dentro una sola volta a testa, tutti i miei gruppi e cantanti preferiti. Potreste dirmi, va be’ ma a noi che ce frega? Lo so, invece a me il giochino è piaciuto assai, anche perché riuscire a far partecipare alla cosa i best 25, ti costringe a pensare e poi a scegliere. Certamente qualcuno manca, ma le lettere a disposizione erano finite!

As Tears go by – Rolling Stones. Gli Highlander. Li ho sentiti dal vivo l’anno scorso al Circo Massimo e davvero cominci a pensare che in fondo la droga non sia poi così nociva.

Baba o’ Reily – The Who. Una canzone che bisognerebbe sentire ogni mattino, a palla di cannone, appena alzati, così tanto per ricordarci quant’è bella la vita

Cowgirl in the sand – Neil Young, come cantante lui è nella mia top five, la canzone in questione è straziante e bellissima come solo lui potrebbe cantare

Desperado – Eagles, loro sono bravissimi e la canzone merita assolutamente, al pari di molte altre (fra l’altro ce n’è un’altra, sempre con la D che mi piace un sacco, ma già l’ho usata per altri post e non volevo ripetermi)

Easy does it – Supertramp, loro sono il “mio” gruppo. Non i preferiti in assoluto, ma quelli che sento più miei, come fossero miei amici, come li conoscessi da trent’anni, un po’ come i compagni di scuola. E in fondo un po’ è anche vero.

Fat bottomed Girls – Queen. Altro gruppo storico nei miei ascolti e l’omaggio alle ragazze culone penso sia uno dei loro pezzi più significativi, per ironia, ritmo, spontaneità. Secondo me un po’ troppo sottovalutati.

Good Riddance – Green Day fra le nuove generazioni forse i più ascoltati. Questa canzone in particolare la trovo bellissima.

Horizons – Genesis. ecco dovessi scegliere un solo gruppo, non avrei dubbi, sono loro. Ho scelto volutamente un pezzo minore, brevissimo, solo strumentale, perché basta anche solo questo per far capire secondo me che quando fra trecento anni studieranno la storia della musica del 900, loro saranno nei libri di testo.

Knockin’ on Heavens Door – Bob Dylan. Che vogliamo dire su quest’uomo e su questo pezzo. Silenzio e alziamo il volume

Inbetween Days – Cure. Torniamo alla mia adolescenza con questo gruppo di matti che però in questa canzone diedero veramente il massimo. Pezzo monumentale, un altro di quelli da ascoltare la mattina per darsi la carica

Love Boat Captain – Pearl Jam. Pensavo ad un certo punto che il rock avesse già detto tutto quello che aveva da dire. Loro e il gruppo che segue a due distanze mi hanno fatto ricredere. I Nirvana sono l’emblema, loro la sostanza, fra i due, a mio avviso, c’è un abisso.

Mother – Pink Floyd. Questi certo non potevano mancare. Li ho consumati a furia di ascoltarli: probabilmente hanno scritto brani molto più belli di questo, ma ultimamente l’ho riascoltato casualmente e mi è venuto da piangere

Nightswimming – Rem. E questo è l’altro gruppo che mi ha fatto pensare che effettivamente ancora è presto per fare il de profundis al rock. Grande gruppo, grande pezzo!

On almost sunday morning – Counting Crows. Anche loro appartengono alla nuova generazione, ma per intensità dei pezzi, meritano di essere nell’olimpo. Spero di riuscire ad andarli a vedere a luglio!

Police on my back – The Clash. Nuovo salto all’indietro per un gruppo che mi ha sempre fatto impazzire. Come fai ad ascoltarli senza che ti venga voglia di salire su un tavolo e metterti a ballare?

Queen of Supermarket – Bruce Springsteen. A parte che trovare una canzone con la Q non era proprio facilissimo, ma lui è lui…il Boss, unico e solo. Insieme ai Genesis, nella mia classifica, sempre al primo posto.

Revolution – Beatles. Loro sono la storia, il porto sicuro in cui torni ogni volta che hai bisogno di sentirti a casa. Possono anche passare mesi senza ascoltarli, ma tu sai che loro sono lì. Una certezza.

Stay – Jackson Browne. Un altro dei miei preferiti, un altro di cui ho consumato gli LP quando ancora non c’era l’elettronica che ti veniva incontro. E quindi quando finiva la prima facciata toccava alzarsi, rigirare il disco e rimettere su il braccio, calcolare la traccia e abbassare la levetta.

Tunnel of Love – Dire Straits. Ultimamente li ho citati in un ricordo di qualche anno fa. Nei favolosi eighteen loro non mancavano mai. Questa, per la cronaca, è nella colonna sonora di Ufficiale Gentiluomo, film cult di quegli anni.

Uptown Girl – Billy Joel. Un altro di quei cantanti di cui ho la discografia completa. Sparito ormai da qualche anno dalle scene, ma questo testimonia una volta di più la sua grandezza. Se non hai più niente da dire, perché continuare a rompere i timpani? Non sarebbe meglio tacere? Grande Billy!

Valencia – The Decemberists. Dei gruppi nuovi o comunque emergenti questi sono quelli che forse mi piacciono di più. Un mix molto interessante di rock, country, prog. veramente notevoli!

With or Without you – U2. I loro primi 5 dischi li pongono nell’Olimpo dei più grandi di tutti. Poi si sono persi e difficilmente si ritroveranno. Ma arrivare a certe vette non è da tutti!

Xanadu – Elo. Insieme ai Supertramp l’altro gruppo che sento mio, perché fa parte dell’adolescenza in maniera pervasiva. La prima facciata di Discovery è forse in assoluto il disco che ho ascoltato di più. Anche in questo caso, forse, anzi sicuramente, ne hanno scritte di più belle, ma trovatemi un’altra canzone con la X?

Your song – Elton John. Un altro gigante che in una classifica del genere non può mancare. Canzone struggente e bellissima.

Zombie – Cranberries. Loro sono un grande gruppo, che hanno saputo dire qualcosa di nuovo, poi la voce di Dolores O’ Riordan è una di quelle che ti fanno fare pace col mondo.

Io, noi, tutti

Stasera mi va di raccontare una vecchia storia. Spesso ci vogliamo sentire simili agli altri, ci vogliamo omologare, quasi per forza, per non sentirci esclusi. A volte, al contrario, ci piace marcare le differenze. Pensarci diversi ci aiuta a sentirci migliori. Ma a volte non è così semplice stabilirlo in modo netto e somiglianze e differenze rischiano di confondersi.

C’era una volta un uomo che odiava il razzismo.

Disprezzava i razzisti e non perdeva occasione per prenderli in giro, per sottolineare tutto il suo disprezzo verso le loro idee. “Odio i nazisti dell’Illinois” era una delle sue citazioni preferite. Perché lui credeva fermamente che l’uguaglianza fra gli uomini fosse un principio assoluto ed universale. Era profondamente convinto che tutti gli uomini avevano gli stessi diritti senza alcuna differenza di sesso, di razza, di religione. Così aveva cresciuto i propri figli.

Persino a livello grammaticale non sopportava il modo di dire “noi altri”, che presupponeva sempre un “voi altri”, quasi a voler sottolineare l’estraneità del “voi” rispetto al “noi”.

Un giorno nella sua città ci fu un delitto orrendo: un uomo e sua figlia di pochi mesi, furono barbaramente uccisi. Il nostro uomo, come sempre, partecipò allo sdegno generale. Provò molta pena per quell’uomo ucciso ed il fatto che fosse straniero non aggiunse e non tolse nulla a quel sentimento. Pensare che una bimba di pochi mesi potesse morire così, per pochi soldi era orribile, intollerabile.

Gli assassini furono presto individuati: erano stati ripresi da alcune telecamere e avevano lasciato tracce di dna sulla refurtiva. Anche loro erano stranieri. Quando lo seppe il nostro uomo, per un attimo tirò un sospiro di sollievo. Fu solamente un istante. Quel breve lasso di tempo in cui le emozioni arrivano prima dei ragionamenti. Come la luce prima del suono. Un momento soltanto. Quell’uomo capì che c’era ancora molta strada da fare.

Le mie 10 canzoni

Senza musica la vita sarebbe un errore. Friedrich Nietzsche

Era tanto che volevo scrivere un post così. La musica non è un elemento accessorio della mia vita, ma ne fa parte in modo essenziale, non mi lascia mai, mi accompagna in ogni situazione. Probabilmente è la cosa più bella che esiste, la più bella che l’uomo abbia mai inventato, ammesso che l’abbiamo inventata noi. Se mi guardo indietro ogni tempo ha avuto la sua musica, ogni sentimento, ogni situazione e non c’è nulla di più concreto e di più immediato di una canzone per far tornare alla mente le sensazioni provate, il passato, il presente e il futuro. E queste sono le mie dieci canzoni: le più belle, le più significative. Le mie!

Thunder Road. E’ la canzone del coraggio di vivere e del rialzarsi sempre. Non importa quanto sei stanco, non importa quanto non ti va: il Boss dice che si può fare, che ce la posso fare, basta volerlo. E se lo dice il Boss, chi sono io per contraddirlo?

Baba O’Reily. L’età adulta, la scelta di abbandonare un passato certo, per un futuro diverso, di chiudere definitivamente delle porte per poterne aprire delle altre. La paura e la speranza. Soprattutto, la certezza che fatto qual passo indietro non si torna.

Wish you were here. La nostalgia per chi non c’è più. Non riesco a farci i conti con questa canzone ed in generale con i Pink Floyd. Di una bellezza inaudita, ma troppo dolore, troppo.

The Pretender. La sicurezza. E’ la canzone della calma dopo la battaglia, quella del ritorno a casa, dei lunghi viaggi in macchina nella notte. Una notte brillante di stelle, che arriva dopo un giorno faticoso, ma pieno di soddisfazioni.

Goodbye Stranger. L’adolescenza. Ne avrei potute scegliere molte altre, ma questa è certamente la più significativa, quella che più di tutte mi fa ripiombare indietro di trent’anni. Quella che mi fa risentire i profumi, i sapori, le voci degli anni del liceo, dei pomeriggi spensierati, ma insieme pieni di pensieri. Degli anni delle grandi scelte, perché ancora era tutto da scegliere. Per inciso oggi è la suoneria della sveglia.

We’ve got tonight. I percorsi perduti, i sentieri interrotti della vita, non per forza scelte sbagliate, ma certamente quelle non portate avanti. Senza rimpianti. Quelle strade che avremmo potuto seguire, che ci sarebbe piaciuto seguire, ma che abbiamo deliberatamente scelto di non continuare a percorrere.

Blackbird. La tristezza. Quella con cui impari a convivere, quella che sta sempre insieme a te, anche nei momenti più belli, anche nelle gioie più grandi, quel senso di incompiutezza, di nodi irrisolti, di questioni aperte. Ma insieme anche quella tristezza tenera, a cui ti abbandoni, certo che lei non ti lascerà mai, a cui in fondo hai imaparto a voler bene.

With or without you. Le contraddizioni, i conflitti, il giusto e lo sbagliato insieme. L’andare quando bisognava fermarsi, il dire quando bisognava tacere. La vita in fondo, cos’altro?

Powderfinger. La forza. La certezza di farcela. E’ un passo in più di quella del Boss: andrebbero ascoltate insieme, una dopo l’altra, perché dove finisce quella comincia questa. Se vogliamo, forse questa potrebbe essere la canzone del domani.

Firth of  Fifth. Semplicemente la bellezza della vita. Ancora oggi mi incanta. Dovessi sceglierne una da ascoltare sempre, da qui all’eternità, non potrei non scegliere lei.

Ne mancano moltissime. Non c’è la “nostra” canzone, perché quella è di Ale e mia e basta. Non ci sono canzoni che hanno dietro dei ricordi precisi ed indelebili: non necessariamente grandi canzoni, ma che certamente hanno fatto parte della colonna sonora della mia vita. Penso ai Spandau o agli ELO, ai Queen o ai Dire Straits. Non c’è molto presente, non ci sono i Rem o i Green Day, i Pearl Jam, i Counting Crows, tutti gruppi che accompagnano le mie giornate oggi e in un recente passato. Ma non si possono ricordare tutti. Non ci sono canzoni italiane, semplicemente perché pur essendocene di molte belle e anche molto significative, nessuna, almeno nella mia personalissima opinione, può competere con queste.

Sarà difficile, ma spero sempre che la più bella sia quella che ancora dev’essere scritta.

Per i miei 50 anni

Se volessi scrivere la mia vita in un libro, mi piacerebbe che alla fine somigliasse ad una commedia di Wodehouse. Se dovessi colorarla, sicuramente la farei tutta biancoceleste. Se ci potessi mettere una musica di sottofondo, probabilmente sceglierei i Genesis. E se avesse uno scopo, sarebbe quello di fare felici le persone che amo.

A cinque anni. Ero un bimbo felice. Ero coccolato da una tribù di cugini e avevo un fratellino da coccolare. E una palla da rincorre in giardino, immaginando che sarei diventato un gran calciatore. Ero già stato alla stadio una volta e ovviamente ero già della Lazio!

A dieci anni. Era già iniziata la collezione di Tex, avevo tanti soldatini ed ero un drago a Subbuteo. Ero già un filosofo e avevo già incontrato l’amore della mia vita: ma ancora non sapevo nessuna di queste due cose! Ero abbonato in Tribuna Tevere non numerata e avevo visto la mia Lazio in cima al mondo.

A quindici anni. Giocavo a pallone in media 4 volte al giorno, anche se cominciavo a capire che qualcosa di più bello del calcio poteva anche esserci. Sapevo di greco e di latino più di quanto avrei mai saputo in vita mia, ascoltavo i Genesis, i Pink Floyd e i Supertramp fino allo stordimento. Allo stadio in curva nord facevo gli stessi cori che si facevano ai comizi in Piazza del popolo. Ma a quell’età sono sfumature che ti sembrano ininfluenti.

A vent’anni. Avevo scoperto di essere un filosofo e incontrato l’amore della mia vita. Avevo in mente un sacco di idee, di capelli e tanti amici: nuovi, vecchi, appena arrivati e tornati dopo tanto tempo. Fra i gruppi troskysti nelle assemblee a Villa Mirafiori, scoprii di essere molto meno di destra di quanto avessi mai pensato. La Lazio c’è sempre, ma un po’ in secondo piano.

A venticinque anni. Perdi un amico e anche quello ti fa capire che la filosofia è bella, ma la vita è ancora più bella. Mai dire mai a questo mondo. E da filosofo sono diventato un impiegato modello. I consumatori si affacciano nella mia vita, scopro che la montagna è un posto meraviglioso e un inglese pazzo mi fa un’altra volta innamorare della Lazio.

A trent’anni. Tempo di primi bilanci. Mi sono sposato, ho fatto in tempo a vedere le Torri Gemelle, ho percorso le strade polverose dell’Arizona, sono sempre appresso ai consumatori ed è arrivato il nostro primogenito peloso. Quando penso di essere diventato grande mi accorgo che ancora aspetto con ansia l’uscita mensile di Tex e che la cosa che mi fa più perdere la calma è seguire una partita di calcio. No, decisamente non sono ancora cresciuto.

A trentacinque anni. Sono arrivati i miei due gioielli, la cosa più bella che abbia mai combinato nella vita, dopo quella di aver sposato Ale. Ho lasciato la Telecom e sono arrivato alle Poste, la Lazio ha perso uno scudetto probabile e ne ha vinto uno impossibile, insieme a tante di quelle coppe, quante mai ne avevamo viste dalle nostre parti. Ho pubblicato anche i miei racconti e da lassù penso proprio che la mia mamma sia contenta per me.

A quarantanni. Mi è cresciuta un po’ di pancetta, ho qualche capello in meno, però in compenso sono tornato a vivere a Montesacro. La cosa più difficile è stato trovare posto ai 550 Tex, ma anche stavolta ce l’ho fatta. Non sono più abbonato allo stadio, in compenso urlo davanti alla Tv satellitare e non è mica un gran miglioramento. Ah, tra l’altro sono anche diventato dirigente…le Poste sono cadute proprio in basso.

A cinquantanni. Come novità c’è una meravigliosa cagnetta e una casa nel paese più bello dell’appennino abruzzese. Una figlia maggiorenne ed un figlio molto più bravo di me a calcio (e non solo in quello). Ora la domenica non è più solo la Lazio a farmi palpitare. Caduta dei capelli e aumento della circonferenza sembrano ormai essersi attestati. In compenso ho affrontato il Ciciarampa e ho provato per la prima volta gli oppiacei: non male, se non fossi stato in ospedale con una gamba rotta. Ah, nel frattempo ho anche capito che Milano poi, alla fin fine, non è poi così male.

In conclusione di questo breve resoconto se mi guardo indietro posso dire tranquillamente di non aver rimpianti. Forse avrei potuto avere più amici, ma certo non più amiche di quante ne ho. Avrei potuto avere più figli, ma certamente non ne avrei potuti avere più meravigliosi di così. Non credo che avrei potuto fare più soldi: comunque essere comunista è un lusso che ancora non mi posso permettere. Probabilmente avrei potuto scrivere racconti più divertenti, ma certo non mi sarei potuto divertire di più a scriverne. Sicuramente avrei potuto tifare per una squadra più vincente, ma allora non mi avrebbe somigliato così tanto.

Insomma, avrei potuto fare cose diverse e sarei potuto essere una persona differente. Ma dico grazie a Dio che sia andata com’è andata: non avrei potuto essere più fortunato di così, perché ho amato e sono stato amato più di quanto sarebbe stato lecito sperare e logico immaginare. La vita è un’avventura meravigliosa. Almeno finché ci sarà un nuovo numero di Tex da leggere ogni mese!

 

bonelli_tex