The Streets of Love

Se vuoi fare un cosa nuova, falla bene. Con chi cominciare questa nuova rubrica del blog dedicata alla musica se non con i Rolling Stones? Perché iniziare con loro e non con i Beatles? In effetti, a differenza loro, dei 4 di Liverpool ho la discografia completa sia come gruppo, sia di John e di George (il mio preferito), oltre a gran parte di quella di Paul. D’altra parte scegliere fra i Beatles e i Rolling Stones è come dire, vuoi più bene a mamma o papà: non c’è una risposta giusta! E quando non c’è una risposta giusta significa che è la domanda ad essere sbagliata. Non Beatles o Rolling Stones, ma Beatles e Rolling Stones, come il sole e la luna, come il pollo e l’abbacchio, il mare e la montagna. Perché scegliere quando si possono avere entrambi?

Dunque oggi dedichiamoci agli Stones. Ma come scegliere una canzone sola nel lor sterminato repertorio? Sembrerebbe un’impresa impossibile, perché in oltre cinquant’anni di carriera hanno scritto pezzi immortali. A mio soggettivismo parere i quattro album scritti a cavallo degli anni 60/70 sono il vertice assoluto non solo della loro discografia, ma della storia del rock in generale: Beggars Banquet (1968), Let It Bleed (1969), Sticky Fingers (1971), Exile on Main St. (1972). Uno più bello dell’altro! Da ascoltarli in loop fino allo sfinimento, finché i vicini non vi bussano per dirvi, basta ormai la cantiamo anche noi a memoria!

Ma anche trovare un brano meno conosciuto di altri è molto arduo: per carità, anche loro qualche scivolone l’hanno fatto. E vorrei vedere, considerando che hanno pubblicato 35 album in studio e 18 live. Quale scegliere dunque? Come dice il mio amico Luca, gli Stones sono come il ragù di mamma. Lo puoi mangiare cento, mille, un milione di volte, sarà sempre buono e non ti stuferà mai. Sempre uguale a se stesso e sempre inimitabile, per quanti sforzi e tentativi tu possa fare. La voce di Mick, la chitarra di Keith, sempre uguali, sempre uniche.

Così ho deciso di proporvi un brano di un periodo tardivo, un brano bellissimo nella sua normalità, che come tanti altri ha però il marchio inimitabile ed inconfondibile delle pietre rotolanti, che alla soglia degli 80 anni continuano ad emozionare nei palchi di tutto il mondo (come si domandava qualcuno, vuoi vedere che la droga non fa poi così tanto male?)

Buon ascolto!

L’albergo della memoria

Non mi innamoro delle cose. E se è per questo nemmeno delle case. Sono luoghi in cui abito o in cui ho abitato. Mi piacciono, ho bellissimi ricordi in tutte quelle in cui ho vissuto, ma non avrei nessun problema a cambiare anche domani. Solo a Roma sono stato 28 anni in una casa, circa dieci in un’altra e 18 in quella attuale. Nella prima sono nato e cresciuto ed è indissolubilmente legata ai ricordi della mia infanzia, dell’adolescenza, delle feste quelle belle quando arrivava Babbo Natale. Lì dentro c’è il ricordo di mia madre. Nella seconda c’è il diventare uomo, il primo lavoro e poi il secondo, c’è la nascita dei figli. In questa qui c’è la mia vita di oggi e tutte le mie cose.

Ma non mi innamoro delle cose, l’ho già detto. Oggi ci sono, domani potrebbero non esserci più, me ne farei una ragione. Ce ne saranno delle altre. Magari più belle o semplicemente più adatte a quel momento. Non mi innamoro delle macchine. Giro la chiave e si muovono, questa è la cosa che conta, di tutto il resto me ne importa il giusto, ovvero poco meno di nulla. Non mi innamoro neanche più dei libri da quando ho il kindle. E nemmeno dei dischi, ora che c’è spotify. Questo un po’ mi dispiace, inutile negarlo, ma i vantaggi sono maggiori dei rimpianti e quindi, avanti così.

Non mi innamoro delle idee. Anche di quelle più belle, anche di quelle più riuscite. Bisogna saper tagliare i ponti, voltare pagina, ricominciare da capo, magari da una nuova prospettiva, da un punto di vista diverso. Anzi, ho proprio il terrore e il fastidio delle idee che non si evolvono, che restano attaccate al passato, a quelle condizioni irripetibili che le hanno create e rese importanti. La nostalgia è sempre una malattia mortifera.

Mi innamoro delle persone. E anche senza troppa fatica. Poi ovvio, ci sono innamoramenti che durano di più, altri che si esuriscono in breve tempo. E alcuni non finiscono mai. Ma tutti sono travolgenti, appassionanti, valgono la pena di essere vissuti.

Le cose, le case, le idee, le persone sono come inquilini nelle stanze di un albergo. Vanno e vengono, alcune lasciano un buon ricordo, altri li dimentichi subito. Alcune periodicamente ritornano, altri li hai visti una sola volta e non li vedrai mai più. Qualcuno ti fa piacere averlo avuto, ma non lo rimpiangi, qualcun altro lascia una vuoto che riuscirai a riempire con qualche difficoltà. Qualcuno invece decide di fermarsi a lavorare nell’albergo, si avventura nell’impresa di gestirlo insieme a te.

Potrebbe essere l’albergo della memoria, perché in qualche modo, più o meno profondamente, tutto contribuisce a costruire la storia, la mia, la nostra storia. Ogni ricordo è un pezzetto del puzzle, tutti importanti, tutti interconnessi fra loro per creare il disegno complessivo.

L’alfabeto delle canzoni

E ce l’ho fatta anche io! Mica potevo mancare…quando il mio amico Zeus chiama non ci si può tirare indietro (veramente anche Papillon mi aveva solleticato un giochino analogo, basato sui titoli dei film, ma mi mancano troppe lettere!) Il giochino è quello di ripercorrere l’alfabeto citando titoli di canzoni. Poi lo sapete che le liste di qualsiasi cosa, soprattutto se minchiona, mi fanno impazzire. Tanto per rendere la cosa un po’ meno minchiona (mica tanto eh!) ho cercato di mettere dentro una sola volta a testa, tutti i miei gruppi e cantanti preferiti. Potreste dirmi, va be’ ma a noi che ce frega? Lo so, invece a me il giochino è piaciuto assai, anche perché riuscire a far partecipare alla cosa i best 25, ti costringe a pensare e poi a scegliere. Certamente qualcuno manca, ma le lettere a disposizione erano finite!

As Tears go by – Rolling Stones. Gli Highlander. Li ho sentiti dal vivo l’anno scorso al Circo Massimo e davvero cominci a pensare che in fondo la droga non sia poi così nociva.

Baba o’ Reily – The Who. Una canzone che bisognerebbe sentire ogni mattino, a palla di cannone, appena alzati, così tanto per ricordarci quant’è bella la vita

Cowgirl in the sand – Neil Young, come cantante lui è nella mia top five, la canzone in questione è straziante e bellissima come solo lui potrebbe cantare

Desperado – Eagles, loro sono bravissimi e la canzone merita assolutamente, al pari di molte altre (fra l’altro ce n’è un’altra, sempre con la D che mi piace un sacco, ma già l’ho usata per altri post e non volevo ripetermi)

Easy does it – Supertramp, loro sono il “mio” gruppo. Non i preferiti in assoluto, ma quelli che sento più miei, come fossero miei amici, come li conoscessi da trent’anni, un po’ come i compagni di scuola. E in fondo un po’ è anche vero.

Fat bottomed Girls – Queen. Altro gruppo storico nei miei ascolti e l’omaggio alle ragazze culone penso sia uno dei loro pezzi più significativi, per ironia, ritmo, spontaneità. Secondo me un po’ troppo sottovalutati.

Good Riddance – Green Day fra le nuove generazioni forse i più ascoltati. Questa canzone in particolare la trovo bellissima.

Horizons – Genesis. ecco dovessi scegliere un solo gruppo, non avrei dubbi, sono loro. Ho scelto volutamente un pezzo minore, brevissimo, solo strumentale, perché basta anche solo questo per far capire secondo me che quando fra trecento anni studieranno la storia della musica del 900, loro saranno nei libri di testo.

Knockin’ on Heavens Door – Bob Dylan. Che vogliamo dire su quest’uomo e su questo pezzo. Silenzio e alziamo il volume

Inbetween Days – Cure. Torniamo alla mia adolescenza con questo gruppo di matti che però in questa canzone diedero veramente il massimo. Pezzo monumentale, un altro di quelli da ascoltare la mattina per darsi la carica

Love Boat Captain – Pearl Jam. Pensavo ad un certo punto che il rock avesse già detto tutto quello che aveva da dire. Loro e il gruppo che segue a due distanze mi hanno fatto ricredere. I Nirvana sono l’emblema, loro la sostanza, fra i due, a mio avviso, c’è un abisso.

Mother – Pink Floyd. Questi certo non potevano mancare. Li ho consumati a furia di ascoltarli: probabilmente hanno scritto brani molto più belli di questo, ma ultimamente l’ho riascoltato casualmente e mi è venuto da piangere

Nightswimming – Rem. E questo è l’altro gruppo che mi ha fatto pensare che effettivamente ancora è presto per fare il de profundis al rock. Grande gruppo, grande pezzo!

On almost sunday morning – Counting Crows. Anche loro appartengono alla nuova generazione, ma per intensità dei pezzi, meritano di essere nell’olimpo. Spero di riuscire ad andarli a vedere a luglio!

Police on my back – The Clash. Nuovo salto all’indietro per un gruppo che mi ha sempre fatto impazzire. Come fai ad ascoltarli senza che ti venga voglia di salire su un tavolo e metterti a ballare?

Queen of Supermarket – Bruce Springsteen. A parte che trovare una canzone con la Q non era proprio facilissimo, ma lui è lui…il Boss, unico e solo. Insieme ai Genesis, nella mia classifica, sempre al primo posto.

Revolution – Beatles. Loro sono la storia, il porto sicuro in cui torni ogni volta che hai bisogno di sentirti a casa. Possono anche passare mesi senza ascoltarli, ma tu sai che loro sono lì. Una certezza.

Stay – Jackson Browne. Un altro dei miei preferiti, un altro di cui ho consumato gli LP quando ancora non c’era l’elettronica che ti veniva incontro. E quindi quando finiva la prima facciata toccava alzarsi, rigirare il disco e rimettere su il braccio, calcolare la traccia e abbassare la levetta.

Tunnel of Love – Dire Straits. Ultimamente li ho citati in un ricordo di qualche anno fa. Nei favolosi eighteen loro non mancavano mai. Questa, per la cronaca, è nella colonna sonora di Ufficiale Gentiluomo, film cult di quegli anni.

Uptown Girl – Billy Joel. Un altro di quei cantanti di cui ho la discografia completa. Sparito ormai da qualche anno dalle scene, ma questo testimonia una volta di più la sua grandezza. Se non hai più niente da dire, perché continuare a rompere i timpani? Non sarebbe meglio tacere? Grande Billy!

Valencia – The Decemberists. Dei gruppi nuovi o comunque emergenti questi sono quelli che forse mi piacciono di più. Un mix molto interessante di rock, country, prog. veramente notevoli!

With or Without you – U2. I loro primi 5 dischi li pongono nell’Olimpo dei più grandi di tutti. Poi si sono persi e difficilmente si ritroveranno. Ma arrivare a certe vette non è da tutti!

Xanadu – Elo. Insieme ai Supertramp l’altro gruppo che sento mio, perché fa parte dell’adolescenza in maniera pervasiva. La prima facciata di Discovery è forse in assoluto il disco che ho ascoltato di più. Anche in questo caso, forse, anzi sicuramente, ne hanno scritte di più belle, ma trovatemi un’altra canzone con la X?

Your song – Elton John. Un altro gigante che in una classifica del genere non può mancare. Canzone struggente e bellissima.

Zombie – Cranberries. Loro sono un grande gruppo, che hanno saputo dire qualcosa di nuovo, poi la voce di Dolores O’ Riordan è una di quelle che ti fanno fare pace col mondo.

Quando sarò morto

Gli uomini costruiscono case perché devono vivere. Scrivono libri perché sanno che devono morire (D. Pennac)

Quando sarò morto, al mio funerale, mi piacerebbe che in Chiesa qualcuno mettesse You can’t always get what you want, come ne Il Grande Freddo (per la cronaca forse, probabilmente, il mio film preferito). Ci rinuncerei forse, chissà, solo se potessi vedere dal vivo la Parousia! Vi immaginate che gran ficata che dovrà essere? Però neanche il mio pur grande ottimismo e l’altrettanto grande egocentrismo mi può far ragionevolmente pensare di esserci da vivo.

E quindi, tornando in tema, quando sarò morto mi piacerebbe non aver conti in sospeso. Nel dare soprattutto. Nell’avere me ne fregherà molto poco, immagino. Da un punto di vista godereccio mi piacerebbe aver assaggiato tutti i vini che voglio bere, aver letto tutti i libri che voglio leggere e ascoltato tutta la musica che voglio ascoltare. Sì, penso che potrei dirmi soddisfatto.

Al mio funerale mi piacerebbe si piangesse poco. Anzi, sarebbe proprio fico se la gente, dopo un attimo di legittima commozione, cominciasse a darsi di gomito e poi a sganasciarsi dal ridere, ricordando una delle tante stronzate che ho scritto. Ale dice che mi piace essere sotto i riflettori. Ma in fondo anche lei sa bene che in realtà ci sto (quando ci devo stare) con un certo imbarazzo e con la malcelata speranza di esserne fuori prima possibile. Certo quel giorno sarà un po’ più complicato.

Quando sarò morto, anzi un attimo prima, mi piacerebbe dire qualcosa di intelligente. Qualcosa che poi la gente ricordi. Avete presente Stan Laurel? “Ora vorrei essere in montagna a sciare” “Le piace sciare Mr. Laurel?” “Lo detesto. Ma sarebbe comunque meglio che essere qui”. Lo so, vette inarrivabili. Allora diciamo che mi accontenterei che la morte mi trovasse vivo. E possibilmente anche in buona salute. In realtà, come dice un’altra colonna della mia formazione culturale (seconda forse solo a Stanlio & Ollio) “non è che ho paura di morire, solo che non voglio esserci quando accadrà” (W. Allen).

Mi piacerebbe non avere rimpianti. Rimorsi sarà inevitabile temo, per le più o meni grandi cazzate fatte. Rimpianti spero proprio di no. In ogni caso, essere (rim)pianti è decisamente meglio che (rim)piangere. Per questo vorrei essere morto prima delle persone a cui tengo di più. Obiettivamente, se dovessi scegliere un solo desiderio, certamente questo sarebbe il primo della lista. Lo so, è un desiderio egoista e anche un po’ da stronzi. Quindi un po’ da me, come ha recentemente sottolineato I. (è inutile che ve lo ridico tutte le volte…la mia prima lettrice. Io mi fido di lei, fidatevi anche voi).

Quel giorno, prima che mi infilino in quella cassa, mi piacerebbe che qualcuno mi mettesse la maglia della Lazio. “Ancora co ‘sta Lazio? E che cojoni!” Sì, d’accordo lo so, è una minchiata. Ma almeno quel giorno, potrò scegliere come cazzo vestirmi?