Quando sarò morto

Gli uomini costruiscono case perché devono vivere. Scrivono libri perché sanno che devono morire (D. Pennac)

Quando sarò morto, al mio funerale, mi piacerebbe che in Chiesa qualcuno mettesse You can’t always get what you want, come ne Il Grande Freddo (per la cronaca forse, probabilmente, il mio film preferito). Ci rinuncerei forse, chissà, solo se potessi vedere dal vivo la Parousia! Vi immaginate che gran ficata che dovrà essere? Però neanche il mio pur grande ottimismo e l’altrettanto grande egocentrismo mi può far ragionevolmente pensare di esserci da vivo.

E quindi, tornando in tema, quando sarò morto mi piacerebbe non aver conti in sospeso. Nel dare soprattutto. Nell’avere me ne fregherà molto poco, immagino. Da un punto di vista godereccio mi piacerebbe aver assaggiato tutti i vini che voglio bere, aver letto tutti i libri che voglio leggere e ascoltato tutta la musica che voglio ascoltare. Sì, penso che potrei dirmi soddisfatto.

Al mio funerale mi piacerebbe si piangesse poco. Anzi, sarebbe proprio fico se la gente, dopo un attimo di legittima commozione, cominciasse a darsi di gomito e poi a sganasciarsi dal ridere, ricordando una delle tante stronzate che ho scritto. Ale dice che mi piace essere sotto i riflettori. Ma in fondo anche lei sa bene che in realtà ci sto (quando ci devo stare) con un certo imbarazzo e con la malcelata speranza di esserne fuori prima possibile. Certo quel giorno sarà un po’ più complicato.

Quando sarò morto, anzi un attimo prima, mi piacerebbe dire qualcosa di intelligente. Qualcosa che poi la gente ricordi. Avete presente Stan Laurel? “Ora vorrei essere in montagna a sciare” “Le piace sciare Mr. Laurel?” “Lo detesto. Ma sarebbe comunque meglio che essere qui”. Lo so, vette inarrivabili. Allora diciamo che mi accontenterei che la morte mi trovasse vivo. E possibilmente anche in buona salute. In realtà, come dice un’altra colonna della mia formazione culturale (seconda forse solo a Stanlio & Ollio) “non è che ho paura di morire, solo che non voglio esserci quando accadrà” (W. Allen).

Mi piacerebbe non avere rimpianti. Rimorsi sarà inevitabile temo, per le più o meni grandi cazzate fatte. Rimpianti spero proprio di no. In ogni caso, essere (rim)pianti è decisamente meglio che (rim)piangere. Per questo vorrei essere morto prima delle persone a cui tengo di più. Obiettivamente, se dovessi scegliere un solo desiderio, certamente questo sarebbe il primo della lista. Lo so, è un desiderio egoista e anche un po’ da stronzi. Quindi un po’ da me, come ha recentemente sottolineato I. (è inutile che ve lo ridico tutte le volte…la mia prima lettrice. Io mi fido di lei, fidatevi anche voi).

Quel giorno, prima che mi infilino in quella cassa, mi piacerebbe che qualcuno mi mettesse la maglia della Lazio. “Ancora co ‘sta Lazio? E che cojoni!” Sì, d’accordo lo so, è una minchiata. Ma almeno quel giorno, potrò scegliere come cazzo vestirmi?

 

Diventare grandi per scoprirsi bambini

Stamattina sono stato al funerale del papà di un amico fraterno. Una persona che non vedevo da tempo, ma che conoscevo da trentacinque anni e che per una decina d’anni ho frequentato quasi quotidianamente.

Una serie di ricordi sulla persona che se ne è andata, si è mischiata insieme con il ritorno di emozioni dimenticate, legate a quei periodi del passato. La paura, il vero terrore, di perdere un genitore, anche ora che purtroppo quell’esperienza l’ho vissuta in prima persona, mi ha fatto tornare bambino, riaccendendo quel senso di disagio che provavo in simili occasioni, solo al pensiero che potesse succedere anche a me.

E neanche la straordinaria ed ammirabile serenità del mio amico, che si è trovato nella doppia veste di prete e figlio a celebrare il funerale del padre, ha impedito che mi assalisse di nuovo quell’antica paura di rimanere solo, quell’angoscia di non avere più l’appoggio sicuro dei genitori.

Sensazioni contrastanti. Forse non si è mai adulti abbastanza per affrontare la perdita di un genitore. Comunque sia, si torna bambini. D’altra parte però ti ritrovi ad essere tu l’adulto di fronte a questi genitori anziani, loro sì, in un certo senso, tornati bambini. Del resto non sono forse proprio l’infanzia e la vecchiaia le due situazioni che più spingono alla tenerezza? Che ci fanno scoprire fragili e proprio per questo desiderosi ed insieme bisognosi di cure e di affetto?