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Tu ascolti, loro contano

Non che ce ne fosse alcun dubbio, ma vederlo scritto nero su bianco fa una certa impressione. Se aprite Spotify, ormai compagno inseparabile delle mie (ma non credo solo mie) giornate, lo dice chiaramente: tu ascolti, noi contiamo. E da lì via ad elencarti tutto quello che hai ascoltato quest’anno: quante ore, anzi quanti minuti, che tipo di musica preferisci, quali autori, quali brani. E senza dubbio Amazon potrebbe fare lo stesso per gli acquisti. Ormai queste piattaforme ne sanno più di noi.

Il ché è anche accettabile in generale. Tanta gente ne sa più di me di economia o di politica. Il mio amico Filippo al liceo ne sapeva più di me in ogni materia. Mai stato invidioso delle conoscenze altrui. Caso mai ammirato, ma sinceramente mai invidioso. Forse, banalmente, sono troppo presuntuoso per esserlo!

Ad ogni modo, il punto non è questo. Il punto è che questi colossi ne sanno più di noi, su di noi! Conoscono le nostre preferenze al punto che riescono ad anticipare i nostri desiderata, proponendoci le nuove uscite che ancora non conosciamo, ma che sicuramente apprezzeremo. D’altra parte cosa possiamo fare per, eventualmente, contrastare questo processo? Assolutamente nulla! Siamo geolocalizzati, siamo ascoltati, monitorati, clusterizzati in milioni di modi, che neanche immaginiamo. Ed è un processo irreversibile. Tutto ciò ha un ché di inquietante!

A volte però anche l’intelligenza artificiale vuole strafare. Va bene che conosci i miei gusti, va bene che sai quali e quanti autori ho ascoltato, per quanto tempo, ma cosa ti fa pensare di arrivare, da questo, a conoscere quanti anni ho? Forse come dice mio fratello è da quando siamo piccoli che in realtà ho quest’età, però, almeno anagraficamente, cara la mia saputella intelligenza artificiale, stavolta hai toppato!