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Tu ascolti, loro contano

Non che ce ne fosse alcun dubbio, ma vederlo scritto nero su bianco fa una certa impressione. Se aprite Spotify, ormai compagno inseparabile delle mie (ma non credo solo mie) giornate, lo dice chiaramente: tu ascolti, noi contiamo. E da lì via ad elencarti tutto quello che hai ascoltato quest’anno: quante ore, anzi quanti minuti, che tipo di musica preferisci, quali autori, quali brani. E senza dubbio Amazon potrebbe fare lo stesso per gli acquisti. Ormai queste piattaforme ne sanno più di noi.

Il ché è anche accettabile in generale. Tanta gente ne sa più di me di economia o di politica. Il mio amico Filippo al liceo ne sapeva più di me in ogni materia. Mai stato invidioso delle conoscenze altrui. Caso mai ammirato, ma sinceramente mai invidioso. Forse, banalmente, sono troppo presuntuoso per esserlo!

Ad ogni modo, il punto non è questo. Il punto è che questi colossi ne sanno più di noi, su di noi! Conoscono le nostre preferenze al punto che riescono ad anticipare i nostri desiderata, proponendoci le nuove uscite che ancora non conosciamo, ma che sicuramente apprezzeremo. D’altra parte cosa possiamo fare per, eventualmente, contrastare questo processo? Assolutamente nulla! Siamo geolocalizzati, siamo ascoltati, monitorati, clusterizzati in milioni di modi, che neanche immaginiamo. Ed è un processo irreversibile. Tutto ciò ha un ché di inquietante!

A volte però anche l’intelligenza artificiale vuole strafare. Va bene che conosci i miei gusti, va bene che sai quali e quanti autori ho ascoltato, per quanto tempo, ma cosa ti fa pensare di arrivare, da questo, a conoscere quanti anni ho? Forse come dice mio fratello è da quando siamo piccoli che in realtà ho quest’età, però, almeno anagraficamente, cara la mia saputella intelligenza artificiale, stavolta hai toppato!

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Da quant’è che non ci sentiamo?

Da piccolo suonavo il pianoforte. Ho preso lezioni per diversi anni, senza raggiungere risultati eccelsi, però acquisendo almeno una buona conoscenza della musica classica. Forse avrei dovuto metterci un impegno maggiore, probabilmente avrei dovuto avere un orecchio che non ho, fatto sta che intorno ai 16 anni mollai tutto e da allora non ho più messo le mani su una tastiera.

Chissà, magari in una vita futura mi verrà voglia di riprovarci, non si sa mai. Ma non è questo il tema. Il tema è che da allora ho anche smesso di ascoltare la musica classica. In fatto di musica posso dire di essere onnivoro, ne ascolto tanta e dei generi più diversi. Amo il rock, soprattutto, ma mi piacciono molto anche i cantautori, la musica country, lo swing, ma anche cose più particolari tipo la musica andina o quella irlandese. Senza un vero motivo però, tranne sporadiche occasioni di concerti, per quarant’anni non ho più ascoltato i grandi classici.

E senza un vero motivo, improvvisamente (santa Spotify) quest’inverno ho ricominciato ad ascoltare Mozart. E come mi capita spesso con ogni tipo di musica, sono passato da 0 a 100, tuffandomi in modo compulsivo nell’ascolto, in ogni momento possibile. E’ come ritrovare un vecchio amico che non frequenti da anni, un amico con cui avevi un feeling particolare, che poi le cose della vita ti hanno fatto perdere di vista. Può capitare a volte con un autore di cui hai letto molti libri e che ritrovi dopo averlo dimenticato, oppure un posto, una spiaggia, dove andavi in vacanza da piccolo e poi non sei più stato, oppure un locale, un ristorante che ti fa ritrovare sapori dimenticati.

E così ti ritrovi a pensare, “ma perché non ci siamo più sentiti?” e il più delle volte non c’è un vero motivo, semplicemente succede. Quante cose (o persone) ci perdiamo così? E’ per questo che a volte più che scoprire cose nuove, dovremmo essere capaci di ricordare e poi recuperare quello che avevamo.