“Cuba non è un luogo, ma un’utopia”. Questo scrivevo prima di partire e, una volta tanto, debbo dire di averci azzeccato. Potrei dire che è esattamente come me l’ero immaginata, oppure che è molto meglio. Quando sei lì sembra di essere in un caleidoscopio: colori, forme architettoniche, stili, tutto mischiato. Sulla stessa via dell’Avana, l’uno attaccato all’altro, trovi uno splendido palazzetto in stile coloniale, poi una baracca mezza scrostata con il tetto in lamiera e vicino un grattacielo relativamente moderno. Ma la stessa cosa potresti dirla degli abitanti: bianchi, neri, mulatti, turisti, anziani, bambini in divisa, povera gente e damerini impomatati. Tutto e il contrario di tutto. Come le macchine: fiat 126 che non vedevo dall’adolescenza, jeep sovietiche, macchinoni americani, tutti sulle stesse strade, a fianco di sidecar, carretti trainati da muli e motociclette di quarant’anni fa. Ma questa miscellanea di oggetti, persone, colori è talmente uniforme che non capisci mai quale sia la regola e quale l’eccezione, quale la cosa comune e quale la rarità. Non c’è un carattere predominante: Cuba sembra volerti dire, “sono quella che vuoi. Decidi tu ed io sarò esattamente quello che vorrai che io sia”.
Uno dei dubbi che avevo arrivando lì era capire come potesse funzionare un sistema così statalizzato che sembra quasi un residuo del passato. Ma soprattutto avevo la curiosità di capire come stesse la gente. Da quel che ho potuto vedere, da quello che raccontano loro stessi (la nostra guida, il mitico Giuliano, in questo è stata una fonte inesauribile di notizie) non stanno bene, ma neanche così male come pensiamo. Capiscono di essere indietro e per certi aspetti vorrebbero andare avanti, superare lo stallo attuale, ma sicuramente non vorrebbero snaturare quello che sono. Loro sono e si sentono ancora profondamente “Hijos de la revolucion“, quando parlano di Che Guevara gli viene la pelle d’oca, quando parlano degli Americanos si sentono fremere di rabbia. Poi certo, chi arrotola le 4 foglie di tabacco che servono a fare un sigari, 8 ore al giorno per 5 giorni alla settimana, guadagna 200 CUC (equivalenti all’euro) al mese, che possono arrivare anche al doppio se la produttività è buona. Ma d’altra parte ti dicono che nella loro isola non ci sono armi, non c’è droga, hanno una sanità pubblica di primissimo livello, una casa e un lavoro per tutti quelli che vogliono lavorare. Perché dovremmo diventare qualcos’altro?
La scuola dell’obbligo porta ogni ragazzo cubano almeno fino al termine del liceo ed in ognuna delle 15 provincie in cui è divisa l’isola c’è una Università gratuita ed accessibile da chiunque. Per far capire quanto tengono all’istruzione basta dire che la leva obbligatoria prevede una ferma di due anni, che però si dimezzano per chi frequenta l’Università. Il loro problema primario è l’embargo, che nonostante proclami e promesse, continua a tenerli isolati dal resto del mondo: Giuliano ci diceva che dagli inizi di settembre, la carne di mucca è razionata e destinata solamente ad anziani e bambini perché le mucche sono poche e non arrivano da fuori. Quello che il resto del mondo continua giustamente a festeggiare come un evento di liberazione, la caduta del muro di Berlino e lo sgretolamento dell’Unione Sovietica, per loro è stata la mazzata peggiore che potesse capitare.
Un’altra contraddizione. Parlando con lui mi racconta quanto sia amatissimo Fidel Castro (un po’ meno il fratello), riconosciuto da tutti come vero protagonista della rivoluzione e della liberazione dalla tirannide. Eppure in giro di lui si vedono pochissime immagini, a differenza del Che che invece è ovunque. Non ci sono quadretti con la sua immagine, non ci sono magliette, targhe, spille, nulla. Forse un segno di deferenza verso il leader che è ancora in vita, nonostante non sia più capo dello stato. E’ lì con loro, non è ancora tempo per farne un’icona. Non hanno wifi, i telefoni lì ancora servono per telefonare ed in macchina non esiste navigatore, i bar, i ristoranti, i negozi, gli alberghi, tutto è in mano allo Stato. Noi potremmo chiamarlo regime, dittatura, per loro è una democrazia, figlia della rivoluzione. Dove i quattro figli di Che Guevara insegnano, sono veterinari, medici e avvocati: cubani uguali agli altri cubani.
Chiese ce ne sono ben poche, eppure raccontano con commozione ed orgoglio le visite degli ultimi tre papi. La maggioranza di loro non è certo cattolica, però a modo loro sono credenti. Siamo a novembre, è autunno anche qui, eppure comincia ora la stagione migliore. La differenza infatti non è fra caldo e freddo, ma fra stagione secca e stagione umida. Perché, come dicevo, Cuba può essere quello che vuoi, ma non puoi approcciarla con le tue categorie, con i tuoi concetti predefiniti, altrimenti rischi di non capire nulla. E mentre sono assorto in questi pensieri, rimango incantato a guardare il volo a planare di grandi uccelli che volteggiano sull’Avana.
- Giuliano, quelli lì, cosa sono? Che belli! Sono dei falchi?
- Quelli? Sono buitres, quelli mangiano gli animali morti. Come li chiamate voi?
- Avvoltoi?
- Giusto, avvoltoi.
Ecco, appunto. Si rischia di non capire nulla.
Attendo i prossimi racconti semiseri…
Avevo notato un cambio di immagine ehehe
Questa è solo la prima puntata, in effetti…a breve il seguito!
Ottimo!
E io attendo, sia mai che mi scappino.
Hai trovato il peggior bar con il peggior rum di Cuba?
Il peggior Rum (ma non mi far fare spoiler sui prossimi post ^_^) è quello che trovi anche qui da noi. Per il resto ho bevuto solo cose buonissime…mojto come se piovesse!!!
Ok, non chiedo più niente.
Mi zittisco e attendo.
Non sono mai stata a Cuba, ho amici che sono andati varie volte e a ogni ritorno raccontano dettagli diversi come se avessero viaggiato in luoghi diversi. Proprio come scrivi tu qui: Cuba è ciò che vuoi che sia in quell’istante ed è legata a uno stato d’animo. Questo mi hanno raccontato anche i miei amici.
Dev’essere stata una splendida esperienza. Grazie per condividerla con noi.
Primula
Questa cosa che andare tutti in vacanza in posti bellissimi e poi tornate e ci fate schiattare di invidia con post, racconti e millemila foto deve finire eh.
(Attendo con trepidazione i prossimi racconti, invece!)
Bentornato cubano! 😘
Mi piace, aspetto di leggere gli altri… amo i viaggi con un significato :))
A me sto racconto semiserio mi è piaciuto tanto. E’ serissimo ,-)
Attraverso le tue parole ho viaggiato anch’io, per un attimo ho pensato che guardando fuori dalla finestra avrei visto una via dell’Avana e non la nebbia.
E’ sempre bello tornare a leggerti!
La tua descrizione coincide con l’idea che mi ero fatto. Purtroppo non ci sono mai stato. Riallacciandomi un po’ al mio ultimo post, ti dico che non devono avere fretta, perché queste trasformazioni devono avvenire con i tempi necessari e soprattutto mantenendo il legame con il loro percorso e il loro modo di essere. Nulla deve essere imposto dall’esterno, mai. Anni fa, ricordo, si facevano certi discorsi sulla Cina e sui diritti civili negati… intervenne nel dibattito Gianni Minà e disse una cosa che mi colpì e forse mi segnò, ovvero che la Cina avrebbe dovuto trasformarsi nel rispetto della propria storia con i propri tempi e modi. Quello che inconfutabilmente sta accadendo oggi, pur se ancora hanno molto da fare (vedi Tibet). Se pensiamo a com’erano hanno comunque fatto passi da gigante. Io ci son stato e l’ho constatato. Di fronte alla “Fiat Mirafiori”, dove lavoro, non si producono più le auto ma si forano i futuri ingegneri dell’automotive, molti dei quali sono ragazzi e ragazze cinesi. Impensabile solo pochi anni fa. Un saluto e buona continuazione… pensare che una volta agli amici che andavano a Cuba si chiedeva se avevano trombato… come cambiano i tempi! P.S. Se vuoi me lo puoi dire lo stesso, però 🙂
Tocca volarci prima di subito!!!