You, who are on the road, must have a code that you can live by
And so, become yourself, because the past is just a goodbye
Teach, your Children well, their father’s hell did slowly go by
And feed them on your dreams, the one they pick’s the one you’ll know by
L’altro giorno la mia amica Chiara riportava nel suo Blog, una serie di affermazioni dei suoi alunni (bambini delle scuole elementari), da cui veniva fuori un quadro che fa riflettere. Sintetizzando, i bambini (quelli in particolare? Direi proprio di noi. Anche la mia dolce metà lavora in una scuola elementare e mi racconta aneddoti simili) hanno già a quell’età dei pregiudizi molto ben articolati, dei confini come li chiama giustamente Chiara, nei quali rinchiudono “il noi”, per lasciare fuori “gli altri”.
Quindi i bambini sono razzisti? Forse no, a meno ché non provengano da famiglie con idee malate, però hanno ben chiara (o almeno, pensano di averla) l’idea su chi siano quelli che non fanno parte del loro gruppo. E sono molto drastici al riguardo. Chiara si domandava appunto quando comincia questo processo di selezione e perché. E’ colpa della società, della famiglia, della scuola? E’ un fatto “culturale”? In realtà io penso sia al contrario, un fatto molto “naturale”.
Molti hanno questa idea poetica della natura innocente, come se poi fosse invece la cultura, con i suoi pregiudizi a creare le differenze, ad alzare gli steccati fra il noi ed il voi. Ma se pensiamo agli animali, è molto difficile trovare l’accettazione dell’altro. E’ vero, può capitare che una gatta allatti un cagnolino, ma di solito i leoni stanno con i leoni, le scimmie con le scimmie. E anche all’interno della stessa razza, le logiche del branco portano ad escludere gli elementi di altri gruppi. Forse non sarà un pensiero condiviso, ma io credo che al contrario, l’accettazione della diversità, l’inclusione dell’altro, sia un processo culturale che distingue l’uomo da qualsiasi altro essere vivente.
Non a caso l’identità di gruppo (branco, tribù, razza, popolo, religione) è presente in ogni società, di qualsiasi tipo ed è solo grazie ad un lungo processo di evoluzione culturale, che si riesce (quando ci si riesce!) a superarlo. Il bambino è un’anima semplice, ma proprio per questo si sentirà sicuro quando si trova fra i suoi simili ed i confini del suo gruppo saranno i confini della sua sicurezza. Per abbattere questi confini bisogna vincere le paure ed aprire le porte alla diversità. L’unica cosa di cui aver paura è proprio la paura stessa: chi insegna, a qualsiasi livello, dovrebbe fare dell’inclusione la prima regola, dovrebbe testimoniare che la diversità è una ricchezza ineguagliabile. Ma per farlo ci vuole una maturità che pretendiamo nei bambini, ma che spesso purtroppo non hanno nemmeno le persone mature.
P.S. Un pensiero al grande Davis Crosby, che ci ha lasciato la scorsa settimana: adesso sei in un posto dove nessuno ti chiederà più di tagliarti i capelli!
Bellissima e vera questa riflessione, Romolo. Quando da bambina, prima, da più grande poi, ho dovuto cambiare scuola e classe, non è stato facile farmi accettare dal gruppo coeso degli alunni. Ero la ” nuova” guardata sempre con sospetto. E i miei compagni non erano cattivi, solo non facevo parte del loro gruppo.
Davvero un’ottima riflessione. È la nostra animalità a spingerci a creare barriere. È invece quando viviamo pienamente la nostra umanità che riusciamo ad andare verso accettazione e inclusione. Bravo!
Bellissimo articolo Romolo, sono d’accordo con te, la diversità è una ricchezza ineguagliabile.
Io mi limitavo a dire che la diversità è ricchezza, ma la tua definizione è molto più precisa.
Viviamo da tempo in una società multietnica, dovremmo essere abituati alle differenze ormai.