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La malattia del ritorno

E se ci venisse il dubbio di aver sbagliato una scelta importante? Se ci venisse la tentazione di pensare che la nostra vita sarebbe stata migliore scegliendo un’altra strada? Fino a quando va mantenuta la coerenza o forse meglio, la fedeltà ad una scelta, quando pensiamo sia errata?

Rivedendo una situazione a distanza di tempo, a volte a distanza di anni, il dubbio di aver intrapreso la strada sbagliata, può venire naturale. Alla luce di quello che è successo dopo, ovviamente, abbiamo molti elementi in più per valutare le situazioni. Elementi che al momento della scelta non avevamo o forse semplicemente avevamo valutato in modo superficiale e che ora invece assumono tutt’altro significato.

Ma ogni scelta è legata al qui ed ora. Potremmo anche ripercorrere le strade che ci hanno portato lì, potremmo forse anche ricostruire i percorsi e gli elementi che avevamo in quel momento e decidere che avremmo dovuto fare scelte diverse, ma sarebbe del tutto inutile. Perché prima di tutto noi non siamo più gli stessi. Perché noi siamo arrivati ad essere quello che siamo proprio sulla base delle scelte che abbiamo fatto e quindi è il primo presupposto ad essere diverso: noi, il soggetto che ha compiuto quella scelta.

Possiamo imparare dal passato, possiamo/dobbiamo imparare dalle scelte (anche, anzi soprattutto) sbagliate che abbiamo fatto, per farne di diverse. Ma non possiamo tornare indietro e cambiare quello che è stato. E infatti, tutto le volte che ci proviamo combiniamo disastri. Forse non è un caso che la parola nostalgia, etimologicamente, significa malattia del ritorno. L’illusione di tornare è un errore, una malattia.

Pennac dice che l’unica cosa certa del futuro è che non sarà come ce l’eravamo immaginato, ma paradossalmente questo vale anche per il passato. Non possiamo immaginarcelo diverso da quello che è stato. Possiamo farlo come esercizio di stile. Come quando raccontiamo delle favole, magari creando un lieto fine che non c’è stato. Ma probabilmente non ci sarebbe stato neanche se allora avessimo fatto scelte diverse e comunque non possiamo saperlo perché non saremmo noi, qui ed ora, ad analizzare quelle scelte. Saremmo altre persone.

Lasciamo stare il passato e impariamo a vivere l’oggi, con le sue miserie e le sue grandezze, con le giornate noiose e gli entusiasmi imprevisti. C’è ancora tanto da scrivere.

And the worst part of a good day is the one thing you don’t say
And you don’t know how but you wish there was some way
So you pull down the shades and you shut out the light
Because somehow we mixed up goodbye and goodnight

8 thoughts on “La malattia del ritorno

  1. “Non c’è nostalgia più dolorosa di quella per le cose che non sono mai state”. Con questa citazione di Pessoa si apre “Rincorrendo il tempo”, un altro mio racconto che resterà nel cassetto. Ma, come vedi, non posso che darti ragione…

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