Giro attorno a Dio, all’antica torre, giro da millenni; e ancora non so se sono un falco, una tempesta o un grande canto.” (Rilke)
Sarà colpa di febbraio, mese freddo e buio, che capita in coda all’inverno. Saranno queste giornate di piogge torrenziali che rendono Roma più invivibile che mai. Saranno questi repentini quanto incomprensibili cambiamenti sul lavoro, che sembra di stare sull’otto volante. Fatto è che in questo periodo mi sono capitate sotto gli occhi diverse frasi celebri e diversi post incentrati sulla fugacità della vita, sul fatto che è meglio godersi l’attimo, inviti più o meno poetici a sparare la cartucce, a vivere bene l’oggi perché del doman non v’è certezza.
Già qui vi avevo edotti di cosa mi piacerebbe trovare il giorno della mia dipartita da questo mondo. Invece qui vi avevo raccontato cosa mi aveva insegnato un’esperienza durante la quale, come si dice, “ho visto la mia fine sul tuo viso”. Ma stasera invece voglio essere più didascalico e soprattutto vorrei provare a restare con i piedi per terra. Su questa terra.
Non importa quanti anni dai alla tua vita, ma quanta vita dai ai tuoi anni, diceva quel gran fico di Abraham Lincoln (l’avrà davvero detto lui? Quante cose avrà dette ‘sto cristiano? Più di Ghandi e meno di Coelho? Chissà!). E in effetti, tra quantità e qualità, posto che sarebbe meglio averle entrambe, penso che non ci sia dubbio su quale preferire. E fra l’altro se la quantità dipende solo in minima parte da noi, al contrario, la qualità dipende moltissimo dalle nostre scelte.
Da una parte potremmo seguire il carpe diem di oraziana memoria. Bello, per carità, evocativo, l’Attimo Fuggente, Robin Williams, Capitano mio capitano. Se ci pensate, però, se vissuto fino in fondo, provoca un’ansia da prestazione e un’ossessiva necessità del fare presto perché poi diventa tardi che non è che sia poi proprio il massimo. A meno ché non vogliate diventare emuli del Bianconiglio di Alice nel paese delle meraviglie.
D’altra c’è invece l’auspicabile the best is yet to come. Frank Sinatra, Ligabue, bello anche questo. Ma uno poi potrebbe anche domandarsi: ma ‘sto meglio che dovrebbe arrivare non sarà un po’ in ritardo? Non avrà sbagliato indirizzo? E se qualcuno poi l’avesse rimandato indietro?
Insomma, se presi da soli, non vanno bene né l’uno, né l’altro. Aggiungere vita agli anni, puntare sulla qualità più che sulla quantità, significa saper coniugare il cogliere l’attimo, con la certezza che il meglio debba ancora venire. Non vivere l’oggi come se non ci fosse un domani, ma vivere l’oggi con la serenità che ci sarà sempre anche un domani. Senza essere prigionieri, né dell’oggi, né del domani (tanto meno di ieri, che il passato fa più prigionieri degli americani a Guantanamo). Cancelliamo l’ansia e la paura di vederci scivolare via i giorni, i mesi, le occasioni e allora forse riusciremo a gustarci ogni oggi, aspettando con fiducia ogni domani. Dando il giusto peso ad entrambi, senza pretendere troppo e senza sopravvalutarli. Facciamo pace con il tempo.
In fondo, Mick Jagger sono cinquant’anni che canta “il tempo è dalla mia parte”. Lo cantava quando aveva vent’anni e continua a cantarlo oggi che ne ha settanta. E se avesse ragione lui?