È quasi incredibile quanto riusciamo a non capire la realtà che ci circonda. Quanto riusciamo ad equivocare le persone, le situazioni, i sentimenti. E così diamo risposte errate, scambiamo silenzi per richieste di aiuto, appelli accorati per semplici battute. La realtà è che dovremmo smettere di proiettare la nostra immagine, i nostri desideri, le nostre paure su chi ci sta di fronte. E magari vuole semplicemente essere lasciato in pace. Oppure vuole essere ascoltato, se solo avessimo la pazienza di lasciarlo parlare.
Nel nostro affannarci cerchiamo nei posti sbagliati. Cerchiamo risposte dove non ci sono, scambiamo semplici domande per accuse. Come se il mondo girasse intorno a noi. Come se davvero fossimo noi il centro di questa galassia. Ci diamo da fare, pensiamo di ottenere chissà quali risultati, ma rischiamo solamente di essere sordi e ciechi. Cerchiamo un confronto e rischiamo di fermarci di fronte ad uno specchio.
Ci aspettiamo che le cose avvengano come diciamo noi, quando diciamo noi, per i motivi che abbiamo stabilito. Ma non è così, non è quasi mai così! E quando capita – in un sussulto di concretezza e di presa d’atto della realtà – che ci rendiamo conto che le cose non stanno come pensavamo, allora può capitare che ci lasciamo sopraffare dai cattivi pensieri, dal dubbio di aver sbagliato tutto, di non aver costruito null’altro che castelli di sabbia. E come bambini capricciosi ci andiamo a nascondere negli anfratti delle nostre solitudini, soli ed incompresi…poveri cocchi di mamma!
E allora, dopo esserci esaltati per i venti impetuosi, dopo aver tremato di fronte ai terremoti, dopo essere rimasti immobili di fronte al grande fuoco, novelli Elia, proprio quando non ci speravamo più, nel sussurro di una brezza leggera, ci sentiamo chiedere “Cosa ci fai tu qui?”
Perché la verità è che, come cantava la povera Mimì, continuiamo a cercare l’acqua, quando abbiamo il mare nelle tasche.