Un strada che non ha un nome

Come quando da piccoli ci dicevano che non dovevamo aver paura del buio.

Un par de palle! Il buio fa paura…soprattutto se sei bambino. E allora cominciano a darci spiegazioni. Cercano di distogliere la nostra attenzione. Indirizzano le nostre paure, le rendono comprensibili, gli danno una spiegazione. Ma così le banalizzano.

Esattamente un anno fa, come i lettori più assidui ricorderanno (e se non ve lo ricordate e non avete di meglio da fare, potreste leggere qui e anche qui), mi ruppi una gamba. Un evento banale, se vogliamo, una cosa da nulla potreste dire. Ma a distanza di un anno, magari posso comprendere meglio perché mi mandò così in tilt. Il problema vero non era la gamba rotta. Non erano i due mesi a casa, né i sei mesi lontano dai campi di calcio (anche se…).

Quelle erano le cose evidenti. Ma non sempre sono quelle vere. Come se qualcuno pensasse sul serio che i problemi di Roma siano il traffico, la metropolitana affollata, la mondezza nelle strade o il funerale di un camorrista. La soluzione non poteva essere solo una placca al perone e un po’ di fisioterapia. Come la soluzione non può essere mandare via quel coglione di Marino.

Di fronte ai problemi la via più semplice è quella di mascherarli. E trovare una bella soluzione, che apparentemente li risolva. Lascia stare che poi dopo un po’ la soluzione si rileva farlocca e il problema si ripropone identico. Almeno però hai guadagnato un po’ di tempo.

Così leggiamo quelle belle inchieste su Repubblica che ci spiegano come affrontare i problemi con i figli che non ci stanno a sentire. Oppure le analisi sociologiche sul perché ed il per come si debba o non si debba mettere in giro fotografie di bambini. Come se il problema nei rapporti fosse dire una brutta verità e la soluzione fosse accaparrarsi il consenso con una bella bugia. Come se per farsi comprendere dai figli bastasse wuozzappare scrivendo tvb, scialla o bella pe te. O magari aprirsi un profilo su Instagram. Poi va be’, c’è pure chi pensa che la soluzione sia votare cinquestelle. Allora vale tutto.

Il problema non era la gamba rotta, quanto l’aver toccato con mano (anzi, con gamba!) la possibilità di diventare qualcos’altro. Di non essere più quello che ero, di non poter più fare quello che facevo. Di non poter avere più quello che avevo. Solo una possibilità. Eventuale, ma insieme terribilmente concreta.

In ogni caso meglio, molto meglio, vederlo in faccia il problema. Senza edulcorarlo. Soprattutto senza trovare soluzioni di comodo. Come se il problema fosse quello che avremmo potuto essere e non quello che potremmo diventare. Ma il primo l’abbiamo scelto noi, il secondo potrebbe non essere così. E’ un problema indefinito ed indefinibile, come una strada che non ha nome. Ma volenti o nolenti, da soli o in compagnia (forse questa è l’unica cosa che possiamo scegliere) è inevitabile percorrerla.