Non so voi, ma io non sopporto più quest’uso strumentale di una tragedia, queste indignazioni a comando, che si accendono e si spengono a seconda di dove tira il vento. E ahimè questo vezzo viene indistintamente da destra e da sinistra, in un’assurda gara a chi ha la colpa maggiore (gli altri) e chi più merita solidarietà (noi o più in generale, i nostri). Perché non condannare ogni sopruso, ogni violenza, senza trovare una giustificazione? Proprio non riusciamo a solidarizzare con le vittime senza distinzioni?
Ma trovare giustificazioni, creare parallelismi o pensare ci siano nessi di causa ed effetto è sbagliato. E’ sempre sbagliato. E’ sempre un giustificare l’ingiustificabile. Nessuno è meno colpevole delle sue azioni solo perché ce ne sono state altre prima. Non c’è motivazione che tenga di fronte all’orrore. E ricordarne solo alcuni, dimenticandone coscientemente altri, non aiuta a ristabilire la verità o la giustizia.
O ancora meglio la com-passione. Perché invece è questo che dovremmo fare: sentire su di noi la passione per l’altro, ebreo, palestinese, giuliano dalmata, tibetano, armeno, libanese, curdo, kossovaro e tutti gli altri. Nessuno escluso. Nessuno accettabile, nessuno giustificabile, nessuno ammissibile. Perché se solo ne giustificassimo uno, se solo ammettessimo che sì, in fondo hanno ragione loro a fare quello che fanno, nessuno sarebbe più innocente. Ma invece il carnefice ha sempre torto, sempre, in qualsiasi contesto, anche fosse stato a suo volta vittima in precedenza. Giustificarne uno significherebbe cancellare con un colpo di spugna anche tutti gli altri. Ma è tanto difficile capirlo?
