Noi che contava più l’intelligenza della bellezza. Noi che non ci fermavamo alle apparenze, che andavamo sempre la sostanza delle cose. Noi che ci emozionavamo per una canzone degli Inti-illimani e ci innamoravamo delle poesie di Montale. Noi che avevamo letto Hermann Hesse e visto tutti i film di Pasolini. Noi che viaggiavamo con la fantasia e l’Interrail, senza google map o navigatori di sorta, orientandoci solo con la voglia di arrivare da qualche parte. Noi che ci arrabbiavamo per le ingiustizie del mondo il lunedì mattina, molto più di quelle della moviola la domenica sera. Noi che uno sport, una laurea, uno strumento. Noi che non avevamo paura di niente, a parte che il cielo ci cadesse in testa. Noi che eravamo pronti a combattere contro le diseguaglianze sociali, ma eravamo impreparati contro la caduta dei capelli. Noi che costruivamo castelli in aria con una paletta ed un secchiello. Noi che non avevamo fretta, perché eravamo certi che le cose belle non possono scappare. Noi con grinta e con sorriso. Noi abbeverati alla sapienza di Eric Fromm, convinti che contasse molto più essere che avere. Noi che ci siamo dovuti ricredere. Almeno qualche volta.
Ad esempio, meglio avere le palle che essere cojoni. E comunque, sempre per restare in tema, dopo la terza canzone gli Inti-Illimani, due palle così!