Fin dall’antichità la componente maschile del genere umano ha sentito il bisogno di manifestare la propria essenza nell’ostentazione di oggetti, di per sé utili, ma soprattutto con una forte valenza simbolica, che esprimessero la sua forza, le sue capacità peculiari.
L’uomo delle caverne aveva la clava, con cui andava a caccia, con cui guerreggiava contro le tribù ostili. Le legioni romane avevano il gladio, il coltello d’ordinanza, che era così importante, così identificativo, da dare il nome ai guerrieri stessi. E via via che lo sviluppo tecnologico è andato avanti, c’è sempre stato quest’oggetto, un fido compagno di avventure, pratico, adatto all’uso che se ne voleva fare, ma allo stesso tempo carico di significati. Pensiamo all’arco dei pellerossa o alle spade medievali, le colt dei cow boy.
Sudore e sangue. Non credo sia una caso che, alla fine fine, questa rapida carrellata abbia elencato esclusivamente delle armi. Le capacità cambiavano (a volte la forza bruta, altre volte la precisione), ma l’obiettivo era sempre lo stesso: la mascolinità è la sopraffazione. Lo sforzo è primeggiare, è raggiungere il west, la frontiera, sbarcare sulle nuove terre e conquistarle, insieme a compagni d’armi e di avventure e contro qualcun altro. Siamo arrivati anche sulla luna (e anche il mssile, non ne ha mica pochi di significati simbolici, a pensarci bene)
E noi, poveri maschi del XXI secolo? Abbandonate miseramente ogni velleità di conquista, confusi e mica tanto felici da questa dilagante promiscuità di ruoli, raggiunti e miseramente superati da amiche, compagne e colleghe che – ammettiamolo – hanno imparato a far meglio di noi (quasi) in ogni campo, noi, moderni Pier Capponi de noantri, quali campane faremo suonare contro le trombe altrui? Quale oggetto rimane, utile e simbolico, compagno fedele delle nostre battaglie, nel quale indirizzare gli ultimi sussulti dell’antico spirito guerriero?
Quale altro se non questo?