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Sempre a proposito di padri e figli

Cosa ci è lecito sperare, cosa vogliamo augurare, cosa possiamo aspettarci dai nostri figli? Che raggiungano i loro traguardi, che inseguano i loro sogni, che riconoscano quello che è meglio per loro. E non a caso ho ripetuto sempre il pronome “loro”: perché invece è molto facile (e dannoso) augurarsi, sperare, aspettarci che raggiungano o inseguano i nostri desideri. Piuttosto sarebbe meglio non sperare nulla, così da augurargli tutto.

Non siamo noi i piloti della loro vita, né i progettisti. Non possiamo decidere in quali acque andranno a navigare, al massimo quello che dovremmo saper fare è soffiargli il vento nelle vele. Non è necessario capirsi sempre, non è indispensabile pensarla allo stesso modo, non è essenziale avere le stesse opinioni, le stesse passioni, gli stessi gusti. Però dovremmo dimostragli con i fatti che in caso di burrasca saremo sempre i loro porti sicuri. E puntare su di loro, nella scommessa della vita, perché tanto sarà inevitabile che si perderà o si vincerà insieme. Cos’altro?

Ci sarebbe tanto da aggiungere o forse no. E allora per gli auguri al mio piccolo grande uomo, faccio miei le parole di un grande del passato, perché riassume mirabilmente il mio pensiero. Non essere mai meschino in nulla, non essere mai falso, non essere mai crudele. Io potrò sempre sperare in te. (Charles Dickens, David Copperfield)

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Il mio piede sinistro

Un episodio quest’estate mi ha fatto riflettere su quanto io sia davvero incapace. In senso letterale, non capace, inabile per tutto ciò che è manuale. A partire dallo scrivere con una grafia terribile, ai lavoretti che si fanno prima a scuola e poi dentro casa, come il piantare un chiodo o avvitare un bullone. Non parliamo di aggiustare o riparare la minima cosa. Non è arte mia. Colpa di mio padre, che pur avendo una calligrafia eccellente, non spiccava nei lavori domestici e quindi non mi ha fornito gli imput basilari per rendermi utile fra le quattro mura.

Da una parte è rassicurante fare questo genere di paragoni (se non era capace lui, perché dovrei esserlo io?), ma in realtà non è altro che una scusa come un’altra. Dai genitori impariamo tanto per quello che sanno fare e ci trasmettono, ma quasi altrettanto da quello che non sono in grado di fare. La spinta a migliorarsi può partire proprio dal non voler ripetere gli sbagli altrui.

Tra l’altro proprio su questa situazione debbo riconoscere di aver avuto un padre meraviglioso, che non ha mai cercato di camuffare le sue mancanze. Un uomo che conosceva le sue debolezze e i suoi difetti e che sapeva indicare come strade da non seguire. Al contrario ho sempre compatito i figli che si ritrovavano ad avere genitori monumenti, impervie montagne da scalare, esempi impossibili da replicare. Il padre da imitare è quello che non si pone come modello, che non è un traguardo da raggiungere, ma tutt’al più un trampolino da utilizzare per arrivare più su.

Ma come spesso mi capita, predico bene e razzolo demmè così e così. Come padre mi stupisco e mi inorgoglisco quando vedo i miei figli superarmi in qualcosa, quando li vedo fare cose che io non sarei mai in grado di fare, ma non so se ho la stessa umiltà e lungimiranza del mio caro papone, di riuscire a fare un passo indietro per farne fare uno in avanti a loro. Perché appunto, è bello il sole, ma a volte si impara di più quando c’è meno luce, perché il buio ti costringe ad aguzzare la vista.

D’altra parte, se davvero con la mani ho imparato giusto a fare i nodi ai lacci delle scarpe, con i piedi non me la cavo male, soprattutto quando si tratta di dare calci ad un pallone. Meglio il destro che il sinistro e così, con mio figlio piccolo insistevo ogni volta per fargli calciare la palla con tutti e due i piedi. Ora gioca molto meglio di me e soprattutto è ambidestro. E queste sì che so soddisfazioni!

Chi dice che il sole porti la felicità non ha mai giocato a pallone sotto la pioggia

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Onora il padre

Come ho scritto e descritto altrove, ieri abbiamo accompagnato i giovin virgulti al ritiro estivo con la squadra di calcio. Nel pomeriggio grande sfida genitori figli: un giorno potremmo raccontare di aver avuto il privilegio di giocare a pallone con i nostri figli! Ma questa, almeno per me, non è stata la cosa più particolare e più bella della giornata.

Considerato che era il 29 giugno, festività di San Pietro, mi ero portato anche il mio vetusto genitore (che si chiama come il patrono della città eterna), nonché ormai nonno a tempo pieno, primo tifoso del nipote di cui non si è perso una partita in tutto il campionato. Con il freddo e con il caldo, in casa ed in trasferta, lui era lì, ad esultare per un goal o imprecare contro l’avversario scorretto. Io e lui fino a qualche anno fa avevamo un rapporto demmerda, non eravamo proprio in sintonia, come già vi avevo raccontato qui  https://giacani.wordpress.com/2014/03/19/di-padre-in-figlio/

Alla fine della giornata, tornati a Roma, sotto casa, mentre mi ha salutato, un po’ sorpreso, un po’ orgoglioso, mi ha detto “ma lo sai che non giochi male!” E così ho pensato che in fondo, a 47 suonati, è stata la prima volta che mio padre mi ha visto giocare a pallone. Ed io, un po’ sorpreso, un po’ orgoglioso, sono stato felice come un bambino!

 

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Di padre in figlio

From Father to Son, the Blood run thin

Ma perché per apprezzare veramente qualcosa spesso abbiamo bisogno di perderla? Non sarebbe più semplice riconoscere le cose così come sono, nella loro semplice, chiara, evidente realtà? Invece purtroppo è così. Dovremmo vivere due volte. Una per provare e una per tornare indietro e fare scelte diverse. Un po’ come al cinema. Scusi, questa la possiamo rifare? Possiamo ricominciare da capo? Perché come stanno veramente le cose lo capiamo sempre dopo. E dopo, solitamente, è sempre tropo tardi.

Per questo debbo riconoscere di essere stato molto fortunato. Molto! Quanto siamo stati lontani! Quante incomprensioni, quanta apparente poca stima reciproca, quante incazzature, quante inutili sfide. Arrivavo a domandarmi come e perché lei avesse scelto te! Cosa ci avesse visto che io non riuscivo a vedere. Per capire poi invece quanto siamo simili.

Ti ho sempre voluto bene, ma forse ho cominciato a capirti veramente solo quando si sono invertiti i ruoli. Quando tu hai cominciato ad aver bisogno di me. Fortunatamente ancora in tempo per potertelo dire.