Ricordando il caro estinto

Questo post nasce da una considerazione. Non vi sembra che da quando esiste Facebook muoia molta più gente famosa? Non passa giorno che zack, apri faccialibro e c’è qualcuno che si dispera per l’incommensurabile perdita per quell’attore, quel cantante, scrittore, scienziato ecc. ecc. Il fatto che fino al giorno prima nessuno se lo fosse filato da anni e anni è un dettaglio. Chi posta foto, chi video, frasi, detti famosi: ma da cosa nasce questa contagiosissima febbre per testimoniare la nostra partecipazione alle esequie, anche se solo virtuali?

Il personaggio famoso attira, c’è poco da fare. C’è chi lo fotografa se lo incontra in aeroporto e chi lo ricorda una volta che se ne va, il desiderio di vicinanza è lo stesso. Certo, come può essere invadente e fastidiosa la vicinanza che viola la privacy dei vivi, anche questa forzata e forzosa contiguità una volta che uno defunge potrebbe dar fastidio, se non altro ai veri fan, a quelli che sul serio sono addolorati della dipartita.

D’altra parte un po’ penso rientri in quello che dopo il calcio è probabilmente il più diffuso sport nazionale: la riabilitazione del trapassato. Basta morire per cancellare quasi automaticamente tutto l’astio, tutti i lati oscuri, se non proprio le nefandezze compiute in vita. Forse è un modo per ricordarci che quello, volenti o nolenti, è un passaggio che ci toccherà a tutti. Un passaggio che ci assimila, che ci fa provare anche inconsciamente un senso di fratellanza universale.

O forse è una sorta di rito scaramantico. Finché siamo su Facebook ci siamo. Mi ricorda un po’ la barzelletta di quello che tutti i giorni comprava il giornale, andava a guarda i necrologi e poi sospirava sollevato “evvai, anche oggi non ci sono”. Finché un giorno non venne. Il giornalaio, sfogliando il quotidiano andò a vedere i necrologi: “ma guarda tu, proprio oggi che c’era non è venuto!”

In ogni caso, forse Pino Daniele no, sicuramente Michael Jackson no, ma sono certo che Mango si sarà davvero sorpreso di avere tutti questi fan. Ma se proprio ci tenevate così tanto, se davvero avevate tutta questa stima per lui, invece di scrivere ricordi su FB, perché non avete comprato i suoi dischi quando era vivo?

P.S. E’ buffa questa trasmissione inconscia di pensieri che capita in questo microcosmo dei blog, per cui l’altra volta scrivo un post mentre la mia amica Monia ne sta scrivendo uno analogo (ma il suo è molto più bello del mio). Oggi torno a Roma, apro il blog e trovo il grande Zeus che ne ha scritto uno con lo stesso argomento di quello che avevo scritto mentre ero fra i miei amati monti. Va be’, come sottofondo metto forse non la più bella, ma sicuramente la canzone di Pino Daniele che per me ha più significati e più ricordi, anche se non sono proprio piacevoli.

 

Dieci anni dopo

Io senza di te sono neve al sole, sono neve al sole. Perché io senza di te mi lascio cadere, mi lascio cadere. Nei giorni del duemila che verranno e in tutte queste cose che accadranno. Perché io senza di te sono neve al sole, sono neve al sole. (Neve al sole – Pino Daniele)

Perché d’ora in poi, per te, andrò alla ricerca dei sempre nel mai. La bellezza qui, in questo momento. (L’eleganza del riccio – Muriel Barbery)

In dieci anni sono cambiate tante cose. Sono arrivano i figli, ho cambia lavoro, ho cambiato casa, sono aumentato di peso, e mi sono diminuiti i capelli. Nel mondo  sono venuti giù grattacieli, sono cambiati i governi  (anche se qualcuno, ahimé ritorna…), ma certe cose non possono cambiare.

Non devono cambiare. E infatti non cambiano.

Come i ricordi. Sì è vero alcuni sbiadiscono, altri si cristallizzano. Altri ancora invece rimangono vivi come sensazioni appena provate. E basta una canzone per restituirteli intatti, al di là del tempo trascorso. Odori, suoni, ma soprattutto situazioni, discorsi fatti…

 “Non devi aver paura della notte. Vedila così, è come fosse una finestra che si affaccia sul giorno di domani. E tu da lì lo guardi, vedi quello che succederà, ti riordini tutti i vari passaggi, così il giorno dopo sei pronto per ripartire”.

E’ così che è? Una finestra sulla vita? Una finestra sulla mia vita a cui sei rimasta affacciata in questi anni?

Dieci anni fa scrivevo da qualche parte che dopo quel 27 marzo avevo un po’ meno paura della morte e un po’ più paura della vita. E’ ancora così in effetti! Dopo questi primi dieci anni non mi sono abituato, non credo mi abituerò mai. In compenso però ho capito che ce la posso fare. Non sono più “neve al sole” e forse perché davvero ho continuato a sentirti vicina, presente, anche se solo affacciata a quella finestra.

Con quel sorriso sereno ed ironico, pronta a darmi il là per buttarla in cojonella (il modo migliore per prenderla sul serio), ma anche a ricordarmi una volta di più come alla fine tutto si risolverà per il meglio. Perché il meglio deve ancora venire!

Da quella finestra hai continuato a dirmi che bisogna lottare per cambiare le cose che possono essere cambiate e bisogna accettare quelle che invece nessuna cosa al mondo cambierà. Mi hai ricordato che amare significa volere l’altro così com’è. Significa ricercare ciò che unisce, cercando di dare il giusto peso a ciò che divide. I sempre nel mai, come ho letto ultimamente in un libro che ti sarebbe piaciuto molto.

Dieci anni dopo sei ancora qui.

E non poteva essere altrimenti…Ciao Ma’!