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La biblioteca vivente

Ho scoperto che in Danimarca (ma in realtà il progetto è attivo in molti altri Paesi) esistono biblioteche dove, invece dei libri, è possibile prendere in prestito una persona per ascoltare la storia della sua vita per circa 30 minuti. Si chiama la Biblioteca vivente, ogni persona ha un titolo: disoccupato, rifugiato, depresso, ma in realtà l’obiettivo di questo progetto, è proprio quello di dimostrare che bisogna andare al di là delle etichette, senza giudicare il libro dalla copertina. Ascoltando quelle storie infatti si comprende che c’è molto di più del titolo iniziale.

E’ bello pensare che le nostre storie siano come dei libri che possano essere raccolti e preservati in un luogo, affinché qualcuno possa sfogliarli e rileggerli a piacimento. In fondo è quello che facciamo da sempre, raccontando ai nostri figli le storie della nostra famiglia, di coloro che ci hanno preceduto. Tutte le storie hanno una loro dignità, una loro importanza e una interconnessione con le storie che gli sono nate attorno. Con quelle che le hanno precedute e che a loro volta hanno costituito i presupposti per quelle successive. Ogni storia infatti è un tassello, grande o piccolo non conta, un pezzo del puzzle che compone la Storia più grande, quella con la S maiuscola. Ognuna è importante nella sua unicità, perché, come le onde del mare, nessuna è uguale all’altra.

E come le onde del mare, nessuna una volta partita può tornare indietro, ma comunque lascia la sua traccia e crea le condizioni di possibilità per l’onda successiva. In fondo è così che mi immagino il cuore di Dio, come il mare che contiene tutte le onde o come una enorme biblioteca, in cui ogni storia trova il suo posto.

Sail away, away, Ripples never come back, gone to the other side, sail away, sail away

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Mirror, mirror on the wall…

Le persone possono essere suddivise in mille modi. Destra, sinistra, nord, sud, passionali e razionali, guardie e ladri, giorno e notte, Però effettivamente, come scrisse una volta quel vecchio trombone di Scalfari esistono due macrocategorie antropologiche, che comprendono e fanno comprendere molte persone e molti atteggiamenti ricorrenti. Chi si sente in credito e chi si sente in debito con la vita.

I primi hanno sempre da recriminare presunti torti subiti, hanno la sindrome della persecuzione, si sentono sempre defraudati, vittime di chissà quali complotti, oppressi da ingiustizie immeritate. Ovviamente, sentendosi in credito, si sentono anche autorizzati a richiedere, anzi a pretendere quanto dovuto. Per questo si sentono legittimati ad andare fuori dalle regole, ma anche dei principi generalmente accettati nell’umana convivenza. Il fatto che il mondo esterno non riconosca le loro sacrosante recriminazioni, li fa convincere sempre più del torto subito, aumentando la propria autostima, ingrossando un ego già di per sé ipertrofico, incapace di ascoltare la minima critica, neanche la più piccola voce discordante.

Il più delle volte c’è un nemico. Concreto, individuabile, ma allo stesso tempo metafisico, che è ovviamente colpevole di tutte le nefandezze del mondo, ma soprattutto di aver rubato la marmellata al povero cocco di mamma: le democrazie plutocratiche, le lobby giudaico massoniche, i servizi segreti bulgari, la Spectre, gli extraterrestri, Luciano Moggi. Davanti al loro specchio si pongono le domande fondamentali dell’esistenza, perché gli altri mica la vogliono riconoscere questa lapalissiana verità che loro e solo loro sono i più belli, i più forti, i più meritevoli del reame. E il loro specchio gli dà sempre ragione!

A questi si contrappone chi dalla vita si sente sempre in debito. Chi capisce che ha avuto tanto e quindi è disposto a restituire. Chi ringrazia anche quando non dovrebbe, chi è contento di quel che ha e per questo accetta quello che arriva senza pretendere nulla. Non è detto che sia completamente soddisfatto perché l’essere in debito non toglie la legittima aspirazione a migliorarsi. Non ha specchi al muro a cui domandare lumi del futuro, non ha rassicuranti risposte preconfezionate sulle quali adagiarsi. Ma come le onde di un fiume non ritornano indietro, così chi si sente in debito, guarda avanti, non sapendo se avrà ancora da ricevere, ma con la sicurezza che avrà ancora molto da dare.

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