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Un anno dopo

Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante non ne sogni la tua filosofia (W. Shakespeare)

Signore sei tu? No, è il breviario sull’organo! (Aggiungi un posto a tavola)

E così è passato un anno. 365 giorni, anzi 366 perché questo è pure bisestile. Non ci sei, ma in ben pochi di questi giorni non ti ho comunque sentito accanto. In pochi non ho continuato a discutere con te, immaginando le tue risposte, i tuoi commenti. D’altra parte ci conosciamo talmente bene che, soprattutto ultimamente, non c’era bisogno di parole per confrontarci su fatti o persone.

Mi è capitato spesso di dire, ora lo chiamo e ci facciamo due risate alla faccia della Meloni o di Salvini. Un po’ come il prete di Aggiungi un posto a tavola, il dialogo non si è mai interrotto. Anche se magari, appunto come capitava a lui, pensavo di parlare con te, ma in realtà tu in quel momento avevi di meglio da fare lassù, che stare appresso alle nostre beghe quotidiane.

Un episodio però lo voglio raccontare, perché nella sua unicità, è stato emblematico del legame che ha continuato ad esserci fra noi in questo anno passato. Era l’estate scorsa, eravamo a Rocca di Mezzo già da un paio di settimane, siamo passati in farmacia per prendere una pomata e ho detto ad Ale “pensa tu, siamo qui da un pezzo e ancora non eravamo entrati in farmacia. L’anno scorso con papà ci toccava venire un giorno sì e l’altro pure!

Piccola premessa. Nel mio cellulare, oltre la suoneria standard (da sempre il pezzo iniziale di Firth of Fifth dei Genesis), ho diverse suonerie a seconda delle persone in rubrica: Ale, mio fratello, i miei figli, qualche amico che sento di più. Una cosa utile perché sai chi ti chiama, prima ancora di vederlo. Ovviamente anche papà aveva una sua suoneria: a lui, ragazzo degli anni 50, avevo dato Suspicious Minds di Elvis.

Ora torniamo nella farmacia di Rocca di Mezzo. Mentre dico quell’affermazione ad Ale, improvvisamente, risuona forte e chiara Suspicious Minds: ci guardiamo perplessi, tiro fuori il cellulare, che ovviamente non stava suonando. Mentre guardo sempre più sbalordito il mio telefono spento, davanti a noi una signora tira fuori il suo cellulare e risponde. Non sono uno statistico, quindi provo a chiedere a voi: quante persone conoscete che hanno quella suoneria? Quante possibilità c’erano che un’altra persona con quella suoneria fosse nella farmacia di Rocca di Mezzo mentre ero presente anche io? Quante possibilità c’erano che il suo cellulare suonasse un attimo dopo che io avevo detto quella cosa?

Insomma, da lassù ti sarai fatto una bella risata alla faccia mia (e di Ale che era rimasta più esterrefatta di me). Perché davvero, cari viaggiatori ermeneutici, come dice Amleto al suo amico Orazio, sono sempre più convinto che ci siano lassù molte più cose di quelle che possiamo immaginarci.

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Innocenti erezioni

Giacinto si tira su improvvisamente. Gli capita spesso ormai, il sonno non è più quello di un tempo. Stavolta però è diverso. Di solito si sveglia semplicemente perché il sonno è finito. Non riesce più a farsi quelle otto ore filate come quando. Ma come quando? In realtà non ha mai dormito più di sei ore in vita sua, ma nei ricordi tutto è un po’ esagerato. Oppure si sveglia per fare pipì. Ma stavolta è diverso.

Anche se poi in realtà il responsabile è sempre lui, lì sotto, ma era da tempo che non si svegliava in quel modo. E a Giacinto viene anche un po’ da ridere...che vuoi fare tu? Ormai è passato il tempo in cui comandava tu! Stava sognando e anche questo gli capita di frequente. I vecchi vivono più di ricordi che di realtà e nei sogni i ricordi sono di nuovo liberi e possono confondersi con la realtà. Quando si è giovani si sogna ad occhi aperti, quando si è vecchi si vive ad occhi chiusi. Ma stavolta è diverso.

Era tanto che un sogno non gli provocava quel turbamento. Perché il sogno era più vivo che mai. E c’era lei. No, non la sua Ada, l’angelo della casa, la madre dei suoi figli. No, c’era lei. Più bella che mai. Ada è morta dieci anni fa, i figli sono giù a Johannesburg, hanno fatto i soldi, tornano a Natale con i nipoti che gli parlano in inglese, mischiato al dialetto abruzzese. Lei pure se n’è andata, tanti anni prima. Ma stanotte è tornata, con i suoi capelli a caschetto come Caterina Caselli. Nessuno mi può giudicare, hanno di nuovo diciassette anni e si rotolano fra i fili d’erba su, al Calvario, all’ombra del campanile. Lei, la causa delle sue innocenti erezioni, dei primi sogni ad occhi aperti, dei primi turbamenti, delle carezze proibite e degli strusciamenti volutamente involontari. Giacinto si alza, con quel buffo rigonfiamento nel pigiama. “La finisci? Neanche riesco a pisciare se non ti calmi“. Ma non si calma, anzi sembra quasi voler uscire fuori.

E’ un inizio di primavera e anche se alla Rocca ci sono undici mesi di fridd e uno di frischitt, in questa notte di aprile si sta bene. Giacinto si sente un leone, forse è il sogno che continua, forse ancora sta dormendo. Guarda l’ora, le tre e un quarto, vuole uscire fuori, vuole salire su al Calvario, come sessant’anni fa. E’ lei che lo sta chiamando, che forse lo aspetta lì, fra le panchine, sotto la torre. Si mette una giacca sopra il pigiama Giacinto, scende le scale di casa, apre la porta, esce fuori.

Sessant’anni dopo non ha dimenticato il suo amore adolescente. E forse da lassù, da una delle stelle che brilla sopra il Calvario, quella notte del 6 aprile, neanche lei si è dimenticato di lui, l’ha chiamato davvero e gli ha regalato un’altra volta un’innocente erezione. Che gli ha salvato la vita.

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https://www.youtube.com/watch?v=R8XAHNbyWIs