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Arthur’s Theme

Arturo è una di quelle persone che quando hai la fortuna di incontrarle, possono cambiarti il colore delle giornate. Ci siamo conosciuti per caso, era relatore in un convegno, ho pensato che sarebbe stato bello farlo conoscere ai miei figli, ai miei amici, ai colleghi. Perché Arturo ha qualcosa da dire e ti conquista subito. Impossibile non starlo a sentire.

Arturo ha la capacità di spostare l’attenzione: da ciò che manca a ciò che c’è. Da quello che non hai a quello che invece possiedi. Per far questo gioca con le parole, perché come dice lui (ma non me ne voglia, prima di lui, anche il mio amico Wittgenstein), è il linguaggio che crea il pensiero e non viceversa, come saremmo tentati di pensare. La ricchezza delle parole è ricchezza di pensiero.

Tutto qui, direte voi? Tutto qui. Perché concentrarsi su quel che si è, su quel che si ha, ti fa scoprire una forza e una ricchezza inesauribile, inimmaginabile e ti fa compiere imprese straordinarie. Come entrare nella nazionale di calcio, diventare un grande karateka, andare sullo skateboard e mi ha detto, recentemente, far parte anche della nazionale di golf, la sua nuova passione. Il tutto questo scrivendo libri, diventando padre, andando a raccontare in giro la sua vita straordinaria. E’ proprio vero che siamo tutti i limiti che superiamo, come cantano i negramaro e come ama ripetere quella saggia donna di mia figlia.

Ah, a proposito, Arturo è nato con una sola gamba, ma come dice lui non è un dis-abile. Eventualmente, se proprio dovesse definirsi, si direbbe pro-abile. Se vi capita (ha diversi canali social) seguitelo, perché ha qualcosa da raccontare a ognuno di noi. Oppure leggete il suo libro.

Arthur he does as he pleases. All of his life, he’s masked his choice and deep in his heart, he’s just, he’s just a boy. Living his life one day at a time and showing himself a really good time. Laughing about the way they want him to be!

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Sei tutti i limiti che superi

“Avete anche voi la pessima abitudine di partire prevenuti e auto-sabotarvi?” Così chiude il suo ultimo post la mia amica blogger Alice. Come scrivevo da lei, la mia presunzione mi porterebbe in automatico a rispondere negativamente. Arrivato fin qui conosco abbastanza bene i miei limiti e riconosco abbastanza bene quali sono le imprese in cui vale la pena impegnarsi. Lao Tzu ne L’Arte della guerra, dice che dobbiamo impegnarci solo nelle battaglie in cui sappiamo di poter vincere e penso sia una buona regola, che converrebbe seguire (con le dovute eccezioni…penso che ci siano battaglie che valga la pena fare a prescindere dall’esito).

E’ anche vero però che così rischiamo di sederci sugli allori di vittorie facili, in competizioni poco sfidanti, di fatto autolimitandoci. Quindi in realtà anche io sono prevenuto nei confronti di me stesso. Ma non è tanto la paura di perdere, quanto la fatica che dovrei impiegare per essere almeno un po’ competitivo, che mi scoraggia da affrontare certe sfide. E’ la pigrizia il mio vero limite, lo so, ma se mi metto in testa qualcosa, di solito la porto a casa. Come ho già raccontato in qualche viaggio precedente, ho sempre avuto paura dell’acqua, non sapevo nuotare e non avevo nessuna voglia di imparare, finché un giorno, all’alba dei cinquant’anni, senza un particolare motivo, mi è venuta questa voglia. Improvvisamente, senza pensarci troppo, mi sono buttato (letteralmente) e in effetti ce l’ho fatta. Adesso sicuramente non farei la traversata della manica a nuoto, ma almeno riesco a rimanere a galla e a fare un bagno come si deve.

Quello che dovremo riuscire a fare è imparare dagli errori. Questo in fondo è il vero modo per non autolimitarci, spostando il limite ogni volta un pezzettino in avanti. Ma sarà davvero possibile? L’avaro avrà slanci di generosità? L’iracondo riuscirà ad essere mansueto e il geloso si fiderà della persona che gli sta accanto? Il pigro diventerà più attivo e il goloso farà a meno di quell’invitante pasticcino alla crema? E potremmo continuare, l’elenco non si esaurisce. Imparare dai percorsi sbagliati per trovare la via giusta, quella che ci porta al di là della collina delle nostre paure e delle nostre insicurezze.

Perché poi, come dice giustamente quella saggia giovane donna di mia figlia, è proprio vero il motto che “Sei tutti i limiti che superi”.

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La lezione di Benedetta

Le vittorie hanno tutte gli occhi azzurri e i capelli biondi, diceva qualche tempo fa Delio Rossi. Urli di gioia, braccia al cielo, la vittoria ci riempie di soddisfazione, ci esalta, fa salite l’adrenalina e l’autostima, con le endorfine a mille e la voglia che quel momento non passi mai e che il tempo possa fermarsi per un po’ per farci assaporare fino in fondo quella sensazione di pienezza.

E cosa c’è di più esaltante di una vittoria olimpica? La vittoria dopo fatiche, allenamenti, sudore, delusioni. Quando finalmente ti rendi conto che sì, valeva la pena spendere tutte le tue energie ed il tuo tempo puntando a quell’obiettivo. Ce l’hai fatta, sei arrivato alla vetta, puoi toccare il cielo con un dito perché sei il numero uno. We are the Champions, No Time for Losers. Non c’è tempo per i perdenti, non c’è spazio per loro, comprimari, figuranti destinati a lasciare la scena al vincitore, il palco è tutto per lui.

Quante volte in questi giorni vedremo ripetersi l’esaltazione dei vincitori, la loro glorificazione, chi li adulerà, chi vorrà spiegarci i perché ed i per come delle loro strategie vincenti. Foto ufficiali, selfie con le medaglie in bocca, la Dea Nike avrà come di consueto un lungo omaggio dai suoi seguaci.

Per questo invece mi rimarranno negli occhi e nel cuore le lacrime di Benedetta Pilato, la nostra nuotatrice, rimasta fuori dal podio per un centesimo di secondo. Per arrivare a capire cosa significa un centesimo di secondo bisogna considerare che un battito di ciglia va da 3 a 4 decimi di secondo, quindi tra le 30 e le 40 volte più lento. E nonostante questo Benedetta piangeva di felicità, una straripante felicità, perché come ha dichiarato quello è stato “il giorno più bello della mia vita“.

C’è chi ha avuto da ridire, qualcuno ha detto che quella esaltazione della sconfitta era surreale ed assurda. Ma io non ho visto un’atleta sconfitta. Non avrà il suo momento di gloria, non avrà una medaglia da immortalare in un selfie (ma sono certo che il futuro gliene riserverà molte), ma io ho visto una splendida ragazza di diciannove anni che ci ha dato una lezione fondamentale. In un mondo ultra competitivo come il nostro, ci ha insegnato che il percorso è più importante della meta e che viene sconfitto solo chi non ci prova fino in fondo. Le sue lacrime di gioia ci dicono che le vere vittorie si raggiungono superando se stessi, più che gli altri. Perché è proprio vero che alla fine, siamo i limiti che superiamo.