“E tu forse parlerai di orizzonti più vasti dove uomini celesti portandoti dei figli ti diranno: “Scegli!” ben sapendo che ridendo tu…tu a loro ti unirai.”
(L. Battisti – Gli uomini celesti)
Eccomi qui! L’arrampicata è stata dura, ho ancora il fiatone, però ce l’ho fatta sono arrivato in cima. Ho avuto paura, ho temuto davvero di dover tornare indietro. Sono sfinito, ma ne è valsa la pena, avevi ragione tu. Questo panorama è meraviglioso: il cielo azzurro e queste nuvole viola che corrono veloci trasportate dal vento. L’aria fresca mi sbatte nel viso e mi dà questa sensazione elettrizzante ed insieme rilassante. Ma come può fare così freddo? Perché questo sole così forte non riesce a scaldarmi? Eppure i suoi raggi mi bruciano il viso, la loro luce accecante mi stordisce come fosse una droga.
-Sono stanco, dove trovo le forze per andare avanti?
-Per arrivare in cima non bisogna guardare la vetta, ma solo avanti a te, passo dopo passo.
Avevi ragione…ed ora rimango così, immobile come una lucertola, confuso ed intontito dal freddo, dal sole e dal vento, dall’altezza di questa montagna dall’antichità di queste pietre. Pietre pesanti, che trasudano storia: una volta erano riparo ora sono ruderi. Solo questa torre è rimasta in piedi, sentinella del passato, rifugio sicuro per cercatori come me. Il fischio sordo del vento si insinua fra le rovine della torre e mi estranea, mi isola, mi eleva: al di sopra del mondo e dell’uomo.
-Come pesa il cammino! Come fare per andare avanti?
-Diventa leggero: leggero, leggero, leggero…
Mi gira la testa, sarà quest’aria rarefatta o forse questo vento impetuoso che brucia la mia pelle con il suo soffio gelido. Ma alla fine avevi ragione: sono arrivato alla vetta, sono in mezzo alla luce, nella torre più alta del mondo. Questo mi hai chiesto? Per questo sono giunto fini qui?
Mi hai chiesto di essere limpido e sono diventato trasparente.
Mi hai chiesto di essere forza e mi son caricato tutto sulle spalle.
Mi hai chiesto di essere coraggio e ho affrontato tutte le paure.
Mi hai chiesto di essere migliore e ho scalato la montagna.
Che devo fare ancora?
-Devi credere nell’utopia!
-Sono arrivato alla vetta… non basta?
Mi affaccio di sotto: com’è buio, ho le vertigini, ho paura, quanta non ne ho mai avuta prima. Rispondimi, rispondimi! Che altro devo fare ancora? Sono in cima, sono il primo, il più alto, ho superato tutti, tutto: non ho più passi avanti a me.
-Allora adesso sei pronto.
– Perché è così difficile?
-Perché non dipende più da te! Fin ora hai costruito e lo hai fatto con le tue forze. Ora devi lasciarti andare, devi cancellare, dimenticarti tutto e buttarti!
-Perché è così difficile…
-Perché devi fidarti…
Mi sto arrampicando sul ciglio dell’abisso: non avrei mai creduto di essere capace di tanto. Chiudo gli occhi. Sono più vicino al paradiso che alla terra. Mi lancio…
Sto precipitando, mi manca il fiato, sento le viscere che salgono su, fino alla bocca, il mio cuore sta battendo all’impazzata, il cervello si è bloccato nel pensiero fisso che prima o poi questa caduta finirà e mi schianterò al suolo. Fra qualche istante sarò morto. E tutto questo per cosa? Per la smania di conoscere? Per l’ansia di seguirti, di essere come mi volevi: è per questo?
-Non aver paura, sono accanto a te, prendi la mia mano: afferrala!
– Angelo sei qui?
-Certo che ci sono: non vedi, stiamo volando, tu stai volando!
-Sto volando, sto volando! Ma è questo che significa credere nell’utopia?
-Sì. Credere nell’utopia significa costruire l’inedito.