Camminando lungo Corso Vittorio Emanuele, andando verso il lungotevere all’altezza della Chiesa Nuova, sulla destra, si può ammirare l’Oratorio dei Filippini. Con tutti i monumenti di cui è ricca Roma sicuramente passa inosservato ed è un peccato perché la facciata è un autentico capolavoro del Borromini. Non aiuta ad apprezzarlo il fatto che i piemontesi sventrarono quella zona per creare appunto un corso (non a caso intitolato al Re), per collegare piazza Venezia al Vaticano, in perfetto stile sabaudo. Nel 1630 invece, quando fu costruito, la via adiacente non era larga più di 4 o 5 metri: per ammirare la facciata era inevitabile dunque guardarla dal basso in alto e non di fronte. Da lontano, passando per l’attuale Corso che ha allargato a dismisura la distanza con l’edificio, quella facciata sembra assolutamente anonima e priva di alcun interesse. Fate la prova la prima volta che vi capiterà di passarci: mettetevi proprio sotto, alzate gli occhi e la magia del Borromini vi conquisterà. Un insieme di linee e di curve che si intrecciano in maniera armonica ed insieme stridente, com’è tipico nelle geniali follie dell’architetto che aveva fatto della sfida alle leggi della fisica la sua impronta caratteristica a costo di andare anche contro il gusto classico dell’epoca (basti pensare a Sant’Agnese in Agone a Piazza Navona!).
Non sempre spianare le strade, allargare gli orizzonti aiuta a comprendere (e quindi vedere) la realtà che ci circonda. Soprattutto, non c’è mai una sola prospettiva per vedere (e quindi comprendere) la realtà. Non c’è mai un unico punto di vista ed anzi, a volte, se vogliamo capire veramente (ma soprattutto apprezzare) quello che ci circonda, dobbiamo abbandonare le posizioni più semplici, quelle più scontate e avere la pazienza (e la fantasia) per andarci a mettere in punti diversi, scoprendo posti nuovi, disegnando nuove prospettive, reinventando la realtà.