Non fui io per prima a tracciare quella sottile linea di divisione tra la necessità e la scelta. Fu il mio destino. A me non restava altro che adeguarmi. E io mi adeguai.
Ora potrei raccontarti che in realtà all’inizio non era così. Che all’inizio lo amavo, come lui amava me. Potrei raccontarti che ero solamente una bambina idealista ed incosciente, che aveva dalla sua l’età ed una bellezza sfacciata ed inconsapevole. Potrei anche dirti che non sapevo lui chi fosse veramente. Tutti quei regali, i fiori, le serenate…un negozio al centro di Roma in fondo poteva anche giustificare tutti quei soldi. Non vedevo, non volevo vedere la realtà. Scelta o necessità. Sapete voi la risposta giusta?
I primi anni furono felici per chi come me non sapeva cosa fosse la felicità. Spensierati, per chi come me fino a quel momento aveva dovuto pensare a cosa mangiare la sera e poi il giorno dopo e quello dopo ancora. Lui era educato, gentile è quasi incredibile come possa essere delicato un uomo così grande e grosso. Anche quando facevamo l’amore mi sfiorava appena, lieve e impercettibile quasi avesse paura che mi sgretolassi sotto la sua mole imponente, lasciandomi confusa e inappagata. Ma quello per me era l’amore. Non ne conoscevo di altro tipo. Scelta o necessità?
Poi quel giorno capitai da lui senza preavviso. Ero felice, più del solito, più felice che mai e volevo dirglielo, volevo fargli una sorpresa, non potevo aspettare la sera. “Sarò madre, sarai padre“, me lo ripetevo dentro di me, per paura che poi una volta davanti a lui me ne sarei scordata. Non credevo al mio corpo, non credevo a me stessa, volevo che lui me lo confermasse, che mi dicesse “Sì, sarai madre, sarò padre“. Arrivai di corsa, il negozio aveva la serranda mezza chiusa, che strano in piena mattinata. Magari è dietro a sistemare le stoffe, pensai. Entrai piano, sentii la sua voce era nel retrobottega con una persona. Entrai e lui era lì con i pantaloni calati e quella donna piegata, appoggiata al tavolo…non credevo ai miei occhi, non credevo a me stessa. Fuggii via, di corsa, senza una parola, mi fermai solo quando non avevo più fiato in corpo. La sera tornò a casa senza dire nulla, tranquillo come sempre. Anch’io non dissi nulla, ma quella notte piansi e vomitai talmente tanto che il giorno dopo il mio bambino non c’era più. Ma lui non l’ha mai saputo, ancora una volta non so se per scelta o per necessità.
Da quella notte cambiò tutto. Lui non si avvicinò più, io non lo cercavo, lui non cercava me. Andai a dormire nella cameretta, io facendo finta di non dormire per il suo russare, lui facendo finta di credermi. Cominciai a guardarlo con occhi diversi, forse per la prima volta cominciai a guardarlo per quello che realmente era. E più lo osservavo, più capivo. Come in un film le varie scene staccate mostravano una trama complessiva. Improvvisamente tutto era chiaro. Capivo le sue reticenze, i suoi silenzi, le battute della gente, dei vicini di casa, dei negozianti del quartiere. Capivo da dove venissero veramente i suoi soldi. Capii tutto, senza dire una parola. Per scelta o per necessità? Lo vedi com’è labile il confine?
Così cominciai una vita diversa. Finalmente mi fu chiaro cosa dovessi fare: lui estorceva soldi a strozzo, io li restituivo di nascosto alle vittime. Lui si prendeva le loro donne, io mi offrivo come risarcimento. E non so se godevo di più di quel sesso clandestino o della giustizia restituita. La vita è una ruota, diceva mia madre. Ed io, che ero stata ingannata, ora ingannavo. Io che ero stata derubata, rubavo a mia volta. Io che ero stata vittima mi facevo carnefice. Per scelta o per necessità? Chi può dirlo…
Ormai ero una signora, rispettabile, desiderata. Ma al destino nessuno può sfuggire. Una delle sue vittime, che avevo a lungo risarcito, un francese naturalizzato, che di francese aveva solo il nome, non si accontentava più della caparra. Voleva tutto il piatto. Ma io non volevo più essere di nessuno. E così, provai ad allontanarlo, prima con le buone, poi con più fermezza, finché quel giorno maledetto lo portai all’estremo. Volevo troncare, ma fu lui a stroncare me. Per scelta o per necessità? Stavolta davvero nessuno può saperlo. Forse, neppure il destino
Te la ricordi Lella quella ricca
La moje de Proietti er cravattaro
Quello che cia’ er negozio su ar Tritone
Te la ricordi te l’ho fatta vede
Quattr’anni fa e nun volevi crede
Che ‘nsieme a lei ce stavo proprio io
Te la ricordi poi ch’era sparita
E che la gente e che la polizia
S’era creduta ch’era annata via
Co’ uno co’ più sordi der marito…
E te lo vojo di’ che so’ stato io
E so’ quattr’anni che me tengo ‘sto segreto
E Te lo vojo di’ ma nun lo fa sape’
Nun lo di’ a nessuno tiettelo pe’ te
(questa storia prende spunto in modo del tutto illegittimo e immeritato da un bellissimo post di Tilla che non potete non leggere. Esattamente qui http://tilladurieux.wordpress.com/2014/03/03/lineluttabile/)
Ti torno doman mattina a fare il mio dovere 😀
oh ma voi due vi siete messi d’accordo allora?! ahahahah
Bello davvero questo post!
Eccola. A parte che mi hai tirato fuori “Te la ricordi Lella”, che, forse per una questione generazionale o boh, credo la conosciamo io te e 4 gatti che non ho ancora avuto il piacere di conoscere. Quanto sei romano te? Quali sono le tue origini, che devo studiarti.
Mi piacerebbe sapere cosa del mio racconto ha suscitato il tuo. Sembra una tesi a contrario. La mia protagonista si spoglia di ogni implicazione per ridursi all’osso. La tua è zuppa di persone, storia, società, implicazioni. Io tolgo e tu metti. Io spoglio e tu rivesti. Sembra quasi che tu debba attribuire necessariamente un senso alla sessualità, contornarla di qualcosa. Mentre, al contrario, io la considero nella sua stretta (in realtà enorme) essenza.
Il racconto è bellissimo, ma, insomma, questo già lo sai. Ma io DEVO sapere perché.
In principio era il verbo…. No, in principio era il sesso. Antonio Gramsci.
Lella fa parte della formazione culturale e non solo di un sacco di gente. Mo va be’ che so antico, ma mica così tanto antico…comunque, leggendo il tuo di racconto mi è venuta in mente Lella. Ma l’interruttore vero è stata l’alternativa fra scelta e necessità. Il tuo racconto sceglie e sviluppa la prima. Io mi sono preso la seconda. E’ giusto quello che dici ed è coerente con la strada che fai compiere alla tua protagonista. Che però, vista da fuori, poteva anche aver scelto la seconda e allora, partendo da lì, viene fuori il mio racconto. Tu racconti Lella che sceglie di fare quello che fa. La mia al contrario subisce una serie di necessità. Non so se mi sono spiegato. Ma è per questo che poi in email ti dicevo che non era venuto fuori quello che pensavo e che quindi non potevano essere l’uno il seguito dell’altro. E comunque, non per piaggeria, il tuo è più bello.