Elogio della patata (con la scorza però eh!)

You like potato and I like potahto, You like tomato and I like tomahto, Potato, potahto, Tomato, tomahto. Let’s call the whole thing off.

La parola è ricca. Molto spesso è dura come un muro. Un muro molto spesso, contro cui vai a sbattere. Perché poi c’è il battere ed il levare. Ma se levi la parola che ti resta? Un distinto saluto o un saluto d’istinto, un attimo fatto d’istanti, che a volte ci lasciano distanti. Insomma ha ragione la mia amica Gloria (perché lo fai? per la gloria) che dobbiamo saper cogliere le sfumature, le tante faccie ed i mille volti, che più li rivolti, più trovi una svolta. Forse una volta era così, ma ora chissà, chi lo dice? Chi va giù, perché solo un giudice ce lo può dire.

La parola e i suoi mille significati, le metafore e le allegorie, che anche chi è allergico riesce ad apprezzare. Perché poter parlare non ha prezzo: poter esprimere, come fosse una spremuta, il pensiero con i suoi tanti rimandi e i suoi segreti mondi. Nei sagrati delle chiese e nelle vie più profane, dove donne diafane e giovani mulatti, si incontrano sui letti. E sono letti diletti, non di fiume, letti e riletti, ma sempre più ricchi. Perché, come diciamo a Roma, non ci fai mica micchi.

Non ci fai micchi e non rimaniamo secchi, perché la ricchezza della parola ci lascia sempre interdetti. Invero l’anno scorso avevo fatto un discorso e non lo dico per scherzo, non era poi così scarso, anche se dovevi andare al di là della scorza. Sarà vero? Chi lo sa, ma se lo dice la comunicazioni interna (interna? interna a che? meglio non indagare), allora ci dobbiamo proprio credere.

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