Il giorno in cui Giuliano Fiorini ci salvò dall’inferno

Il 21 giugno del 1987 è uno di quei giorni che si fissano nella memoria e rimangono lì come quadri appesi ad una parete. Un po’ impolverati, che ogni tanto vai e lì e te li rimiri, ma che inevitabilmente sbiadiscono un po’ col tempo, come gli anniversari o le ricorrenze in generale. La retorica che altrettanto inevitabilmente si accompagna ce li fa quasi stare un po’ antipatici (almeno a me). Poi, senza che tu te ne accorga, arriva la cifra tonda e allora quegli eventi rinverdiscono. E quest’anno sono trent’anni. E poi c’è il blog. Quindi come facevo a non scrivere nulla su quel giorno?

Vi ho già raccontato cosa significhi per me il calcio e in particolare la Lazio. Vi ho già detto come sia il primo a riconoscere che sia eccessiva ed assolutamente immotivata la capacità che abbiano i risultati sportivi di influenzare nel bene o nel male la mia vita. E ho cinquant’anni. Figuratevi cosa poteva essere trent’anni fa. Figuratevi cosa poteva significare per me la possibilità che la Lazio scomparisse. Perché quello stava per succedere. In quel disgraziatissimo campionato, iniziato con una penalizzazione di 9 punti, arrivammo a quell’ultima giornata con la concreta possibilità di retrocedere in serie C e l’altrettanto concreta possibilità di fallire e quindi scomparire.

Serviva una vittoria. Era una condizione necessaria, ma non sufficiente, perché poi avremmo dovuto aspettare i risultati degli altri campi. Una situazione che avrebbe dovuto insegnarmi qualcosa anche per gli anni a venire. Puoi mettercela tutta, puoi ottenere il massimo, anzi di più, puoi sfiorare l’impresa. Non è detto che basterà. Non è detto che dare tutto quello che hai sarà sufficiente. Ed anzi, c’è il rischio più che concreto, che se manca quell’ultimo tassello, tutto quello che hai fatto non sarà servito proprio a nulla.

E nonostante la Lazio fosse oggettivamente più forte del Vicenza. Nonostante loro giocassero con il portiere di riserva per un incidente del titolare. Nonostante fossero rimasti in dieci per un’espulsione. Nonostante uno stadio strapieno tifasse incessantemente con tutto il fiato che aveva in gola, a dieci minuti dalla fine il risultato era ancora 0 a 0. E noi eravamo retrocessi.

Ma quella volta quell’ultimo tassello andò al posto giusto. A pochi minuti dal termine Giuliano Fiorini, bomber molto discusso, vagabondo di mille squadre, amante più delle Marlboro e del Whiskey che degli allenamenti, tirò fuori dal cilindro un colpo di biliardo e ci salvo dall’inferno. Per andare in paradiso servirono poi anche gli spareggi successivi, ma per me il più era compiuto. Anzi, tutto era compiuto. Il goal di Fiorini, per quanto mi riguardò, era la parola fine sul calcio. Ero abbonato dal 1975, una domenica senza calcio e senza lo stadio fino a quel giorno era inconcepibile. Ma dopo quella partita mi sentii svuotato, come se un’emozione pari a quella non avrei mai potuto riviverla. E infatti per cinque anni non seguii più una partita (poi un inglese pazzo e un presidente paperone mi riportarono allo stadio, ma questa è un’altra storia).

Ogni squadra ed ogni tifoseria si regge e fonda la sua identità su eventi memorabili. Trionfi soprattutto, ma anche grandi partite, sfide intercontinentali, partite indimenticabili. E anche la mia Lazio, soprattutto negli anni successivi, ha giocato partite meravigliose, ha vinto uno scudetto in modo rocambolesco, ha alzato trofei Europei, ha vinto sfide fantastiche, insomma qualche bella soddisfazione sportiva me l’ha regalata. Ma niente è paragonabile a quel Lazio Vicenza. E anche trent’anni dopo, posso dire che per me il calcio poteva anche finire lì.

5 thoughts on “Il giorno in cui Giuliano Fiorini ci salvò dall’inferno

  1. Sarei curiosa di conoscere la “tua” storia del pazzo inglese e del presidente paperone 😊.
    PS: la sana passione calcistica regala emozioni intense ed indimenticabili.

  2. Ci vorrebbe un bello sciopero delle tifoserie, credo che sarebbe il solo modo di riportare il calcio alla normalità. Del resto, le squadre più grandi sono in mano a megadirigenti che hanno in corpo un solo organo che possa far loro male: il portafoglio…

  3. Chi lo sa, forse se fosse finito lì davvero sarebbe andata meglio, innanzi tutto per il calcio stesso: gli ultimi due decenni, mi pare da profano, lo hanno reso molto poco sport e moltissimo finanza. Un decesso, praticamente.

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