Del parlare, dell’ascoltare, del perdersi e del pensarsi

Ed io che vorrei solo averti più vicino
Cascare nei tuoi occhi e poi vedere se cammino
Che sono grandi come i dubbi che mi fanno male
Ma sono belli come il sole dopo un temporale
E poi ti penserò
E poi ti penserò
E poi ti perderò
E poi ti perderò

Nel dubbio, parla. Esprimi, tira fuori, perché le parole non dette accumulate dentro diventano dubbi, incertezze e succhi gastrici che scavano gallerie come talpe motorizzate. E poi diventa più difficile tirarle fuori, farle emergere con lo stesso aspetto di quando sono nate. Perché dentro quelle gallerie si trasformano, crescono, diventano altro.

In effetti, come canta questo giovane cantautore di San Basilio, tra pensarsi e perdersi la distanza non è poi molta. E questa distanza a volte è fatta delle parole non dette, delle occasioni mancate, di quelle date per scontate: bisogna diffidare delle cose scontate. Sono ingannevoli, ci fanno credere di essere un’occasione, ma alla fine ci costano molto di più di quelle a prezzo pieno. Parlare può essere faticoso, nel tentare di spiegarci a volte facciamo più danni, ma è un rischio che non possiamo evitare.

Allo stesso modo dobbiamo essere altrettanto (se non più) bravi ad ascoltare. A cogliere quello che gli altri ci vogliono (ma volte non riescono a) dire. Perché anche non ascoltare fa sì che dentro di noi le talpe motorizzare comincino a scavare le loro gallerie fatte di congetture, di spiegazioni, di ragionamenti masturbati dalle nostre frenetiche menti, che spesso non hanno alcuna attinenza con la realtà. Ascoltare che non è solo stare a sentire, ma essere aperti per accogliere quello che l’altro vuole dirci. E a differenza del parlare, ascoltare non ha alcuna controindicazione. Nessun fraintendimento, qualche fatica certo, ma nessun rischio.

Questa è la cosa peggiore, secondo me. Quando il segreto rimane chiuso dentro non per mancanza di uno che lo racconti, ma per mancanza di un orecchio che sappia ascoltare (S. King, Stand by Me)

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