È una vela la mia mente
prua verso l’altra gente
vento, magica corrente
quanto amore!
Ascoltiamo le future generazioni. La scorsa settimana, oltre all’ormai famoso “non me sta bene che no. Io so de Tore Maura e nun so d’accordo“, esemplare perifrasi che riempiva il cuore e lanciava uno squarcio di luce sul tenebroso futuro che sembra profilarsi, da Formigli un altro ragazzo, stavolta da Casal Bruciato (altra ridente località nella periferia della città eterna), prendeva l’applauso del pubblico in studio, affermando che “no, i Rom nun so uguali a noi“.
Al di là del fatto che i Rom non sono uguali a noi se mettiamo a confronto il loro stile di vita, i loro usi e costumi, la loro cultura (senza voler dire che la nostra sia migliore della loro), quello che lascia perplessi è l’applauso che ne è scaturito. Ma quello che lascia ancora più perplessi è che dopo la netta presa di distanza da quella affermazione dello stesso Formigli, lo studio applaudiva nuovamente. Non sono un frequentatore di studio televisivi, non so quanta spontaneità ci sia e quanto sia reale il trasporto da parte del pubblico, però sentire applaudire nel giro di due minuti, una tesi ed il suo esatto contrario, al di là che avrebbe fatto felice Hegel sulla verità della dialettica, mi ha lasciato davvero confuso.
Ma che vi applaudite? Ma avete capito quello che hanno detto? No che non avete capito! Ma il guaio è che non è importante se abbiate capito a no. Un po’ come nei social network: non importa se una notizia sia vera o falsa, non importa se uno ha letto tutto un articolo o solo il titolo. L’importante è la reazione emotiva. Il like o la faccina arrabbiata. L’emozione vince su tutto. L’emozione che registra uno stato d’animo e poi passa avanti, va a quella successiva. Che può anche essere l’esatto contrario di quella che l’ha preceduta, non ha importanza, tanto è già pronta ad essere sostituita da quella che arriva dopo. E così ancora e ancora e ancora.
Non mi sta bene che i Rom siano discriminati, i Rom non sono uguali a noi, siamo tutti fratelli, prima gli Italiani, Forza Lazio (già che c’ero, ci sta sempre bene). Siamo prigionieri della velocità. Slogan, anzi, ancora meglio, immagini. Per questo Facebook è vecchio, è roba superata, molto meglio Instagram, molto più intuitivo, più immediato, più emozionante. Siamo sempre sull’onda delle emozioni: la rabbia e l’esaltazione, l’entusiasmo e lo sdegno. Attenzione però: cosa c’è di più facilmente influenzabile delle emozioni? Basta un nonnulla, uno slogan, una foto. Spegni il cervello, comanda la pancia. E ti ritrovi Salvini e Di Maio alla guida del Paese.
E vogliamo commentare cosa sta scatenando l’incendio di Notre Dame? I commenti di chi ce l’ha con i francesi, chi con Charlie Ebdò, chi si scandalizza, chi invece se la prende con chi si scandalizza. Siamo in grado di governare le emozioni o davvero ci lasciamo trascinare come fuscelli? Perché l’emozione sarà anche un’onda, ma per restare a galla sarebbe utile una barca. O forse basterebbe anche solo una tavola da surf. Sempre ammesso che siamo in grado di governarla.
Ne deduco che a suo tempo non guardavi i varietà Vianello-Mondaini della serie “Tante Scuse”, dedicati alla costruzione del varietà (siamo alla fine degli anni 70) dove si faceva vedere l’insegna luminosa che avvisava il pubblico di quando doveva applaudire o ridere 😄 La questione però è più complessa di così perché su Radio Radicale ho ascoltato dibattiti, per esempio dalle varie Feste dell’Unità, dove succedeva esattamente la stessa cosa – per esempio, Intervento 1 “perché il verde è verde” (applausi scroscianti), intervento 2 “perché il verde è arancione!” (di nuovo applausi scroscianti), intervento 3 “perché il verde è giallo a righe rosa!” (ulteriori applausi scroscianti). Ma come terzo tassello aggiungo che a volte l’ho fatto pure io – perché in realtà tutte le posizioni mi convincevano, perché magari un punto di vista non mi convinceva ma apprezzavo la convinzione con cui era portato avanti o l’abilità con cui faceva vedere le ragioni di un altro punto di vista, perché mi veniva da applaudire e allora applaudivo… l’applauso invero è una strana bestiuola, e andrebbe probabilmente studiato con più cura. Tutto questo naturalmente non vale per i social, che sono una roba ancora più strana degli applausi e dove la riflessione NON regna sovrana (del resto, anche nella cosiddetta vita normale non è che…)