Fa notizia la decisione della Francia che dopo oltre 40 anni, ha deciso di concedere l’estradizione per gli ex terroristi rifugiati lì e condannati da sentenze defintive. Ho letto diversi contributi che partendo da punti di vista differenti, danno letture anche opposte: secondo alcuni (direi la maggioranza) finalmente si è fatta giustizia. Anche se solamente una dozzina di ex terroristi saranno estradati, a fronte di oltre un centinaio di persone coinvolte negli anni, è un segnale importante nei confronti della giustizia e soprattutto delle vittime e dei loro familiari.
Qualcun altro ha invece espresso l’idea che a distanza di oltre quarant’anni dai fatti, si sia trattato di un accanimento inutile, un’inutile ritorsione politica: molte delle persone coinvolte sono ormai anziane, malate, difficilmente sconteranno in carcere la loro pena. Adriano Sofri, uno personalmente coinvolto in quelle vicende, scriveva appunto questo, sottolineando un aspetto interessante: in oltre quarant’anni nessuno di coloro che ha trovato rifugio in Francia si è mai macchiato di alcun crimine. E ci mancherebbe, qualcuno potrebbe dire! Invece non era così scontato.
In fondo il carcere, oltre al far pagare il debito che uno contrae con la società quando commette un crimine, dovrebbe avere come obiettivo il rendere innocui coloro che hanno fatto del male e non ultimo, cercare di redimerli, rendendo possibile un loro reinserimento nella società civile. L’asilo in Francia, garantito dalle norme volute da Mitterand a coloro che si erano macchiati di crimini politici, sembra (forse più di qualsiasi carcerazione) aver raggiunto questi due aspetti non secondari.
Certo resta il primo aspetto, non trascurabile. Come possono sentirsi i familiari delle vittime? Uno di loro in un’intervista sottolineava che appunto, incarcerare un vecchietto oggi non può ridare nulla di tutto quello che hanno perso, se non un senso di giustizia che viene finalmente rispettato. Tutti coloro che ho sentito dicono di cercare giustizia e non vendetta ed è bello sentirlo. Anche questo non è scontato perché vedere rimanere impuniti per anni crimini come questi, potrebbe scatenerebbe in chiunque un senso di rivalsa (e quindi di vendetta), figuriamoci in chi è personalmente coinvolto.
Ma se lo stato d’animo delle vittime è prevedibile, non altrettanto lo è quello dei carnefici. Si sono pentiti? Vivono nel rimorso degli orrori che hanno compiuto? Riconoscono che i caduti erano persone, padri, figli, fratelli e non solo rappresentanti di quello Stato che loro volevano combattere? O al contrario, continuano a pensare di essere stati semplicemente soldati in una guerra persa? Aver evitato una pena riconosciuta in modo definitivo, gli ha dato un senso di serena impunità o per tutti questi anni hanno vissuto ogni giorno con l’angoscia di essere prima o poi chiamati a rendere conto dei loro crimini?
Io ero bambino e poi adolescente, ma mi ricordo molto bene quegli anni, l’atmosfera che si respirava, il clima di scontro anche fra ragazzi, la sensazione (l’illusione?) di vivere delle contrapposizioni radicali: rossi e neri, buoni e cattivi, entrambi abilmente manovrati da chi voleva quel clima per portare avanti tutt’altri interessi. Oggi quando mi capita di passare davanti alle lapidi e ai murales dedicate ai ragazzi caduti in quella spirale d’odio, non vedo alcuna differenza fra gli uni e gli altri e invece continuo a chiedermi come possa essere successo, come si possa uccidere qualcuno perché ha un’idea differente dalla nostra.
Comunque si concluderà, sia per gli uni che per gli altri, penso sia giusto mettere una parola definitiva su quelle vicende. Al di là delle responsabilità, al di là della vendetta o del perdono, al di là dei rimorsi e dei rimpianti, vittime e carnefici sono entrambi stati travolti da eventi più grandi di loro e che fortunatamente sono conclusi da tempo. Chiudere quelle storie per fare memoria di quello che successe. Perché al di là di tutto, la cosa più importante è non dimenticare, per il rispetto che si deve a chi ha pagato con la vita e soprattutto perché non succeda mai più.
Compagno di scuola, compagno di niente
ti sei salvato dal fumo delle barricate?
Compagno di scuola, compagno per niente
ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu?
Non so dirti se è giusto o meno incarcerare oggi persone che sicuramente sono cambiate. Però ricordo perfettamente, perchè cominciavo ad essere una ragazza, che loro uccidevano freddamente le loro vittime. Guarda la fine di Moro, il commissario Calabresi e altri di cui non ricordo il nome. Tutte persone uccise a sangue freddo. E quando rapirono Moro non esitarono a crivellare di colpi la sua scorta. Vendetta dunque no, ma giustizia per quei morti si.
Anch’io sarei per giustizia e non vendetta, perché la ricerca di vendetta avvelena. Però una giustizia forte, onnipresente, dissuasiva. Che non è quella che c’è oggi. Magari un domani?