Sotto la curva del cielo, in un applauso di stelle, ho salutato la mia gioventù, per ritornare bambino, procedendo in avanti.
Ma che cosa buffa i ricordi! Ho sempre pensato che l’interruttore migliore per riaccenderli fossero i profumi. Dicono che l’olfatto fa parte della parte più antica della cervice, quella più ancestrale, che sta prima della razionalità. In effetti è il nostro senso più animale, infatti i nostri amici a 4 zampe si orientano molto più con il naso che con la vista o l’udito. Poi ci sono le canzoni. Come scrivevo l’altro giorno, ascolto gli Elo e torno adolescente. Venditti è l’esame di maturità. Gli Eurithmics l’anno successivo. Potrei scrivere una colonna sonora della mia vita con le canzoni che ascoltavo mentre succedevano i fatti più importanti.
Con i luoghi sì, mi era già successo, ma mai in maniera così profonda, così estrema e totalizzante come mi è capitato ieri sera. Le scale non sono più quelle, i corridoi li hanno rifatti, la porta è totalmente diversa. Bellissima serata, gli amici di sempre finalmente di nuovo insieme, ricordi, battute, sono mesi che ne parliamo, eppure non ero mica preparato. Si apre quella porta e bam! doppio carpiato all’indietro. Non c’è più il passato, siamo tornati nel 1985, ho appena preso la patente e fra pochi giorni c’è l’esame di maturità. E’ stato un riflesso condizionato, siamo andati in automatico a sederci ai “nostri” posti. Dario da una parte, Silvia dall’altra, Cecilia davanti che si gira ogni tre minuti ad esorcizzare il tempo con quel ritornello “a Ro, che ore so?” E anzi, mi sono stupito di non trovare sotto il banco le mie cose, l’astuccio, i libri, il panino con la mortadella.
Che sono in fondo trent’anni? C’è chi si laurea, chi fa figli, chi gioca a pallone, chi fa ancora il cazzone. Che sono trent’anni? Va be’ qualche chiletto in più, qualche capello in meno, ma in fondo la sostanza è quella. Come la voglia di stare insieme. Con qualche cicatrice in più, con qualche certezza in meno, ma con il desiderio di risentirsi uniti, vicini come allora, per condividere i sogni e le paure, le cazzate e le speranze. Nessun “Fabbris” nella nostra classe, come temevo all’inizio di questa storia. Nessuno si è arreso perché non riusciva a riconoscere qualcuno. Ci siamo riconosciuti perché siamo l’evoluzione coerente di quelli che eravamo all’ora. E nonostante gli anni, le esperienze diverse, le strade percorse per arrivare fin qui, ti accorgi che i sentimenti più autentici, quelli più profondi, sono rimasti gli stessi. Proprio come l’emozione di ascoltare vecchie canzoni come questa