Blackbird

Era una domenica pomeriggio. Settembre. Forse ottobre. Ma quelle domeniche di ottobre che a Roma ti viene voglia di andare al mare. Invece eravamo nella mansarda di Federica, a giocare a ping pong. Eravamo in loop, una partita dietro l’altra e finimmo per parlare di John Lennon e più in generale dei cantanti che erano morti giovani.

E mentre io mi rammaricavo, ipotizzando chissà quali capolavori avrebbe potuto ancora scrivere, tu ci sorprendesti, con un discorso senza né capo, né coda. Secondo te i musicisti, gli artisti in generale, in realtà morivano quando non avevano più niente da dire. Lennon non avrebbe più scritto nulla, perché tutto quello che aveva da scrivere l’aveva già scritto. La fine arrivava a sancire una conclusione che era già stata definita. Quante volte ho ripensato a quel pomeriggio. Chissà se avessi avuto altre argomentazioni per dimostrarti che non era vero, che non poteva essere così. Chissà.

E poi mi ricordo che facemmo un sondaggio per decidere quale fosse la più bella canzone di Beatles. Faceva fico tirar fuori quelle meno note: troppo banale dire Let it be, o Yesterday. Io, alla fine ero per Here, There and Everywhere. Tu – perché solo tu avresti potuto tirarla fuori – dicesti questa

E devo ammettere, a distanza di trent’anni, che avevi visto giusto tu. Un po’ mi secca dover ammettere che avevi ragione. Ma voglio pensare che anche tu abbia cambiato idea. Magari John ha continuato a scrivere anche lassù. E allora voglio immaginare che ti avrà convinto che in realtà non si finisce mai.