San Remo cosa saresti senza di noi?

“C’è chi guarda il Festival di San Remo e chi mente.”

Lo so, lo so, ora tutti a fare i distinguo, “no io no”, “non lo vedo dall’87”, “piuttosto mi butto dalla finestra”. Ma anche non volendo, durante questa settimana il Festival dei fiori si prende la ribalta e come in uno specchio enorme riflette quello che ha intorno. Quindi è inutile che te ne tiri fuori, e fra polemiche e canzoni, a meno che tu non sia un’eremita che vive in una grotta delle Alpi Carnie, non puoi non essere toccato dalle lunghe spire della kermesse canora.

Che da qualche anno a questa parte, senza entrare nel merito della qualità delle canzoni, è realmente diventato il festival della canzone italiana. Mi spiego meglio. Quando ero più giovine mi chiedevo sempre del perché al festival della canzone italiana non ci andassero i cantanti italiani. O almeno quelli normali, quelli che ascoltavo quotidianamente e come me la gran parte dei miei coetanei. Perché Battisti, Bennato, De Gregori, Venditti, ma ne potrei citare altre decine, (Baglioni, Finardi, Daniele,) perché se ne tenevano alla larga? Perché dovevamo sorbirci Mino Reitano o Gianni Bella, cantanti sconosciuti o gente improbabile che mai al mondo avremmo ascoltato al di fuori di quelle serate? Nel corso degli anni ci fu qualche sporadica eccezione: Vasco Rossi (che infatti fece un fiasco clamoroso), Ron, Renato Zero, Cocciante, i Pooh, ma erano appunto delle eccezioni (ce ne erano state anche prima, persino il mio amato Rino Gaetano che spopolò con Gianna).

Tra il Festival e il pubblico (soprattutto quello giovane) c’era un abisso, uno scollamento enorme. Da qualche anno a questa parte non è più così e ora insieme alle vecchie cariatidi i miei figli ascoltano i cantanti che seguono normalmente. Cantautori indie, musica trap (per me inascoltabile, ma io sono decisamente boomer), personaggi che fino a qualche tempo fa sarebbe stato impossibile vedere sul palco dell’Ariston. E questo, ripeto, a prescindere dalla qualità delle canzoni proposte, non può che essere un elemento positivo. Poi certo, ci tocca vedere un cretino che “per divertirsi” distrugge un palco prendendo a calci i fiori (dice, ma dai in fondo ha vent’anni! Ma perché tu a vent’anni andavi in giro a spaccare tutto per divertimento?) o un comico che santifica la costituzione (bello, bravo ma anche basta) e uno la prostituzione (occhio che questo tra vent’anni fonderà un partito, con buone probabilità di vincere le elezioni).

“Tutto quanto fa spettacolo”, diceva il sottotitolo di una trasmissione di quando ero giovane (se sapete il titolo siete boomer anche voi). Ed è davvero così. Dalla provocazione per parlare della discriminazione sessuale agli appelli contro le dittature, dalle dirette sui social per commentare con le amiche (come farei senza di voi!), ai fantagiochi costruiti ad hoc, il tutto inframezzato dalle pubblicità di Poltrone&Sofà (ma solo fino a domenica), San Remo siamo noi, è lo specchio dell’Italia, con i suoi vizi e le sue virtù. E alla fine vinca il migliore, anche se sappiamo bene che poi vincere non conta nemmeno tanto, perché magari arriva ultimo il futuro Vasco Rossi. Un po’ come nella vita vera.

Quindi, come dicevo all’inizio, se anche non guardate San Remo, non importa. E’ lui che guarda noi.

I Conti non tornano

Premetto che Carlo Conti mi sta sulle palle. Porello, non m’ha fatto niente, però non mi è simpatico. Non mi è simpatico proprio per niente. Immagino se ne farà una ragione, ma comunque era una premessa da fare. Così come debbo premettere che il festival di San Remo mi sta sulle palle ancora peggio di Carlo Conti. Anche lui (il festival) penso se ne farà una ragione, anche perché, nonostante non lo reggo, ogni anno comunque più di un’occhiata gliela do. Qualche anno fa il mio amico Bruno ci coinvolgeva in maratone televisive durante le quali noi perculeggiavamo ogni cantante proposto e lui invece si sforzava di farci apprezzare le doti canore di una Paola o Chiara di turno. Ora capita che lo seguo distrattamente anche perché è difficile ignorarlo del tutto. Comunque non mi ha mai appassionato. Banalmente non ho mai capito perché al festival della canzone italiana non ci siano i cantanti italiani che uno ascolta tutto il resto dell’anno, ma questi strani soggetti che non conosco, non so chi siano, né mi interessa saperlo. Ma va be’, andiamo avanti.

Queste due apparentemente inutili premesse per dire che invece, ammesso che sia vero, la dichiarazione di Conti di non tornare a presentare il festival mi sembra davvero una cosa da sottolineare con il massimo della lode. Nel Paese dove chiunque una volta accaparrata una poltrona ci rimane incollato come una patella ad uno scoglio, andarsene da vincitore incontrastato, con il massimo dello share, con una plebiscitaria critica favorevole, rivaluta il tipo in questione. Altro che antipatico, è un grande!

Andarsene quando sei alla vetta, abbandonare il tavolo all’apice del risultato è un’ebbrezza per pochi. Fare il passo indietro non perché gli altri non ne possono più, non per andare a nascondersi in qualche buco sperando che nessuno ti cerchi. Al contrario, come Cincinnato, andarsene all’apice della gloria, dopo aver sbaragliato le truppe nemiche e dedicarsi alla cura dell’orto. Che goduria! Farlo una volta, farlo al meglio, al massimo delle possibilità. E poi basta, mai più. Ecco, uno dei guai di questa società è che abbiamo perso il senso del mai più.

Se davvero non torna debbo proprio rivalutarlo. Anzi, sapete che vi dico? Diventa il mio eroe. Quasi quasi gli chiedo l’amicizia su Faccia libro.