Apocalissauria

“Is this the real Life, is this just Fantasy?”

E poi ci fu un gran botto. Fortissimo. Rimanemmo tutti perplessi, solamente i più coraggiosi, così tanto per darsi un tono, cominciarono a cantare cori da stadio. Qualcun altro invece preferì buttarsi su “Walk on the wild side”, perché il ritornello era facile “E du dudu dudu du du du du dudu”, faceva molto fico e poi, non sapendo l’inglese (mica l’avevano inventato l’inglese nel giurassico), non capiva tutte le porcate che stava cantando.

Il boato si protrasse a lungo, come un peto di brontosauro, che in effetti si chiama così mica perché brontola. Io però glielo dicevo che tutta quell’erba mica gli faceva così bene. “Dammi retta, Bronty! Fumatela, piuttosto”, ma lui niente, continuava imperterrito a ingurgitare, e rideva e toccava, sembrava lui il padrone.

Dopo il botto arrivò un lampo. Molto forte pure quello che accecò tutti, tranne quelli che avevano esagerato con le pratiche manuali da piccoli, perché quelli erano già un pezzo avanti. Allora una velocirapta di facili costumi cominciò a intonare “oh oh, oh, oh” e tutte le amiche in coro “a far l’amore comincia tu”. La cosa andò avanti un altro po’, finché quello di sopra (perché c’è sempre uno di sopra, anche nel mesozoico) zittì tutti urlando che il giorno dopo lui doveva guidare il camion “eccheccazzo, basta co’ sto casino”.

Tra l’altro la melodia era anche caruccia, ma la parole erano davvero idiote, ma così idiote che i più se ne andarono in cerca di un domani diverso, ma se qualcuno gli chiedeva “Chissà, chissà domani, su che cosa metteremo le mani” loro rispondevano “nessuno mi può giudicare, nemmeno tu”. Che poi, qualche anno più tardi sarebbe diventato l’inno delle Stegosaure vergini (no, un attimo come vergini? Ahhh! Perché erano di settembre!) che si infilavano di soppiatto in tutte le feste solo per rubare due pizzette e un bicchiere di coca cola, attaccare qualche caccola sotto il tavolo e non sapere se gli mancava di più quella carezza della sera o quella voglia di avventura. Intanto però avevano svoltato il sabato pomeriggio. Senza mandare via il passerotto.

Dopo il lampo arrivò di gran carriera la meteorite. “Cheeeee? E’ arrivata la meteorina con la corriera?” Nonno rimetti l’apparecchio acustico che mi fai perdere il filo. La situazione si stava facendo seria. Radunammo il Gran Consiglio Dinosauro che provvedisse… no, provveditte… no provvedò, va be’ si prese in carico la situazione e ordinò (tiè, al primo colpo) l’evacuazione. Il brontosauro subito per primo “Io, io professoressa, io evacuo meglio di tutti” e per avvalorare la tesi sganciò uno scoreggione che avrebbe gonfiato una mongolfiera.

Ma a quel punto Ferri aveva battuto il record di autogol e le liste del giudizio universale erano già sui titoli di coda, posso salutar mammà, posso salutar papà, posso salutar Fefè. Anche se a me il Liga ha un po’ stufato e a costo di passare per finocchiosauro, affermo e dichiaro, sotto la mia responsabilità che Freddy Mercury era proprio un gran fico. Distinti saluti, comincia fare un po’ freddino e qualcuno ha spento la luce. Non fate scherzi stupidi mentre moriamo eh! Guardate che vi vedo! è buio, ma vi vedo!

“Nothing really matters, anyone can see. Nothing really matters, nothing really matter to me. Anyway the Wind blows…”

65 milioni di anni fa un asteroide precipitò nell’attuale America centrale con la forza di un miliardo di volte la bomba di Hiroshima, creando un cratere con un diametro di circa centosettanta chilometri. La nube di polvere sollevata oscurò il cielo per mesi facendo precipitare la temperatura sulla terra per un periodo talmente lungo che il gelo sterminò tutti i dinosauri.

Giona 2013. 4 Il ricino

“Roma bella, Roma mia, te se vonno portà via, er Colosseo, co’ Sampietro, già lo stanno a contratta’. Qui se vonno venne tutto, cielo, sole e st’aria fresca….ma la fava romanesca, la potemo, arigalà!”

 

E così ripartiamo da zero. Ci nascondiamo e ci difendiamo nella quotidianità delle piccole cose. Delle nostre abitudini, dei luoghi conosciuti, dalle cose note, delle persone che diamo per scontate, ma che ci sono sempre, sulle quali sappiamo che possiamo contare.

La riscoperta del quotidiano. Della sua banale e tranquilla normalità. Che però sembra assumere significati nuovi, risvolti sconosciuti. Quando ti ritrovi a pensare che in fondo, ma sì, non è poi così male.

Di solito la nostalgia colora i ricordi, sbiadisce le ombre e redime gli errori e le incoerenze del passato. Così i ricordi ridisegnano la realtà, raccontandola sempre un po’ meglio di quello che era. Ritrovare la propria quotidianità è un po’ questo. Un tuffo nel passato che diventa presente e anzi ti fa riappropriare del tuo presente, delle tue cose, delle tue abitudini.

Avete notato quante volte ho detto “tue”? Perché in fondo è questo il punto essenziale. La quotidianità sarà banale, sarà scontata, ma è nostra! Ci appartiene, è parte di noi. E solo per questo non può non essere apprezzata.

Tutto bene allora? Valeva la pena partire, scappare, fare altre esperienze, vivere le grandi sconfitte e i grandi successi, solo per poter tornare e così, finalmente, apprezzare quello che abbiamo, ma soprattutto quello che siamo. Tutto bene allora.

Invece no. Anche lì, qualcuno scombina i nostri piani. Diciamolo pure, qualcuno rompe li cojoni. Ma io dico…con tutte le piante che ci sono, con tutti gli alberi, gli arbusti, i cespugli, i muschi e i licheni proprio il mio ricino doveva seccarsi? Proprio il mio banalissimo, anonimo, scontato, insignificante ricino? Ma allora ce l’hai con me! Allora dillo che non mi dai tregua, che non avrò mai pace.

Ed è proprio così. La vita è così. E guai se non fosse altrimenti.

Il libro di Giona (quello autentico) si conclude con una domanda. Buffo, per un testo sacro, anzi penso sia una rarità unica (magari qualcuno più dotto di me può confermare o contraddire questa cosa).

Le risposte sono importanti, ma come ho scritto anche altrove quelle davvero decisive sono le domande. Questo libro si chiude con una domanda senza risposta. Non abbiamo (perché non esistono) risposte alle domande decisive. Perché io? Perché a me? Perché?

“Ma tu sei lì per non rispondere e indossi un gran bel gilet”

Neanche Tu, da lassù ci dai grandi risposte. Non abbiamo risposte e qualsiasi risposta non può che essere banale, scontata, retorica. Ma soprattutto provvisoria. Buona oggi, domani chissà. La domanda deve restare aperta. Come la vita. Ci deve soddisfare il giusto, deve bastare fino ad un certo punto. Poi la ricerca deve ripartire.

E’ questa la profonda e insuperabile ironia della vita. Nessuna risposta è definitiva e anzi, ogni pretesa in tal senso non può non sprofondare nel ridicolo. Come il povero Giona e il suo ricino. Come noi e le nostre piccole grandi certezze quotidiane, che ci sono alla sera e alla mattina possono non esserci più.

E allora ripartiamo. Senza retrocedere, senza arrendersi come canta il Boss. No retreat baby, no surrender!