Giona 2013. 4 Il ricino

“Roma bella, Roma mia, te se vonno portà via, er Colosseo, co’ Sampietro, già lo stanno a contratta’. Qui se vonno venne tutto, cielo, sole e st’aria fresca….ma la fava romanesca, la potemo, arigalà!”

 

E così ripartiamo da zero. Ci nascondiamo e ci difendiamo nella quotidianità delle piccole cose. Delle nostre abitudini, dei luoghi conosciuti, dalle cose note, delle persone che diamo per scontate, ma che ci sono sempre, sulle quali sappiamo che possiamo contare.

La riscoperta del quotidiano. Della sua banale e tranquilla normalità. Che però sembra assumere significati nuovi, risvolti sconosciuti. Quando ti ritrovi a pensare che in fondo, ma sì, non è poi così male.

Di solito la nostalgia colora i ricordi, sbiadisce le ombre e redime gli errori e le incoerenze del passato. Così i ricordi ridisegnano la realtà, raccontandola sempre un po’ meglio di quello che era. Ritrovare la propria quotidianità è un po’ questo. Un tuffo nel passato che diventa presente e anzi ti fa riappropriare del tuo presente, delle tue cose, delle tue abitudini.

Avete notato quante volte ho detto “tue”? Perché in fondo è questo il punto essenziale. La quotidianità sarà banale, sarà scontata, ma è nostra! Ci appartiene, è parte di noi. E solo per questo non può non essere apprezzata.

Tutto bene allora? Valeva la pena partire, scappare, fare altre esperienze, vivere le grandi sconfitte e i grandi successi, solo per poter tornare e così, finalmente, apprezzare quello che abbiamo, ma soprattutto quello che siamo. Tutto bene allora.

Invece no. Anche lì, qualcuno scombina i nostri piani. Diciamolo pure, qualcuno rompe li cojoni. Ma io dico…con tutte le piante che ci sono, con tutti gli alberi, gli arbusti, i cespugli, i muschi e i licheni proprio il mio ricino doveva seccarsi? Proprio il mio banalissimo, anonimo, scontato, insignificante ricino? Ma allora ce l’hai con me! Allora dillo che non mi dai tregua, che non avrò mai pace.

Ed è proprio così. La vita è così. E guai se non fosse altrimenti.

Il libro di Giona (quello autentico) si conclude con una domanda. Buffo, per un testo sacro, anzi penso sia una rarità unica (magari qualcuno più dotto di me può confermare o contraddire questa cosa).

Le risposte sono importanti, ma come ho scritto anche altrove quelle davvero decisive sono le domande. Questo libro si chiude con una domanda senza risposta. Non abbiamo (perché non esistono) risposte alle domande decisive. Perché io? Perché a me? Perché?

“Ma tu sei lì per non rispondere e indossi un gran bel gilet”

Neanche Tu, da lassù ci dai grandi risposte. Non abbiamo risposte e qualsiasi risposta non può che essere banale, scontata, retorica. Ma soprattutto provvisoria. Buona oggi, domani chissà. La domanda deve restare aperta. Come la vita. Ci deve soddisfare il giusto, deve bastare fino ad un certo punto. Poi la ricerca deve ripartire.

E’ questa la profonda e insuperabile ironia della vita. Nessuna risposta è definitiva e anzi, ogni pretesa in tal senso non può non sprofondare nel ridicolo. Come il povero Giona e il suo ricino. Come noi e le nostre piccole grandi certezze quotidiane, che ci sono alla sera e alla mattina possono non esserci più.

E allora ripartiamo. Senza retrocedere, senza arrendersi come canta il Boss. No retreat baby, no surrender!