Viviamo un periodo di transizione. Una zona neutra, tra un prima noto e un poi sconosciuto. Perché solo i più ingenui possono pensare che il poi sarà uguale al prima. Anzi, di poche cose possiamo essere sicuri oggi, a parte che il domani sarà diverso da ieri. Non sappiamo ancora come sarà, ma sicuramente sarà un’altra cosa, organizzata con altri ritmi, scandita da nuovi riti.
Manhattan si è spopolata, gli affitti crollano, i negozi chiudono, le persone cominciano a capire che possono fare le stesse cose stando a 100 KM di distanza, che forse è inutile spendere ore di tempo per arrivare in un luogo diverso dalla propria abitazione. E come Manhattan anche l’Eur e tutti gli altri distretti lavorativi, nati in tutti i centri urbani per ospitare migliaia di pendolari. Ma non solo quelli. Il passo successivo sarà più radicale. Se posso lavorare dal mio quartiere, perché non posso farlo dal paesino in montagna o al mare? Con un’accelerazione impensabile solo fino a qualche mese fa, potremmo essere davanti ad una rivoluzione di portata storica, che invertirebbe una tendenza durata centinaia di anni. Si spopoleranno le città e torneremo ai borghi?
Non lo possiamo sapere con certezza. Per ora viviamo l’oggi, carico di mille incertezze, in cui forse dovremmo cominciare appunto a lasciare andare ciò che siamo stati e che non saremo più. Ma è un processo faticoso, persino quando riguarda quello che non ci piaceva. La transizione è una coppia incinta, sospesa fra la vita passata e quella futura, piena di attese e di paure. Una quasi mamma e un quasi papà che sperano che il domani arrivi subito e che non arrivi mai, con grandi aspettative ed insieme con ansie fino a quel momento sconosciute.
Dopo questo lungo travaglio nascerà il domani. Ma nel frattempo, in questa transizione, quello che possiamo fare è smettere ogni intransigenza, ogni ostacolo, ogni pretesto per cominciare a costruire una nuova realtà, in tutti i sensi e a tutti i livelli: le relazioni sfilacciate, i progetti lasciati a metà, la scale delle priorità, i rapporti sociali. Perché il domani che verrà, può davvero cominciare da come costruiamo l’oggi. Anzi, probabilmente è già cominciato.
Chissà chissà domani
Su che cosa metteremo le mani
Se si potrà contare ancora le onde del mare
E alzare la testa…