Aspettiamo, senza avere paura, domani

Chissà, chissà, domani, su che cosa metteremo le mani, se si potrà contare ancora le onde del mare e alzare la testa (Futura, Lucio Dalla)

Ci mancava questo nostalgicone di Facebook che ogni giorno ci ripropina quello che accadde gli anni addietro! E come sfogliando un album di foto o un vecchio diario, tornano in mente fatti e situazioni ormai anche lontani nel tempo: ricordi le sensazioni collegate a quel determinato periodo in cui scrivevi cose che magari oggi non scriveresti più, oppure rivedi quella foto scattata proprio quel giorno lì, quando…E’ anche bello abbandonarsi un po’ ai ricordi, al passato che non passa, perché certe cose restano comunque sempre con noi, ma anche al passato che invece non potrà tornare più, perché certe pagine della nostra vita sono ormai finite.

Ma al di là delle esperienze personali, diverse per ognuno di noi, sicuramente tutti quanti abbiamo uno spartiacque in comune: nei ricordi di ognuno di noi c’è un prima, un durante e (speriamo presto) un poi rispetto alla pandemia. Un’esperienza troppo coinvolgente e troppo travolgente per poterne prescindere.

Vedo le foto di dicembre 2019 e non posso non pensare a come stavamo, a quanto i problemi e le difficoltà che ci preoccupavano – alla luce di quello che stiamo vivendo – sembrano irrilevanti, marginali o comunque risolvibili. Nessuno di noi avrebbe potuto immaginare a cosa stavamo andando incontro e anche oggi, a distanza di un paio d’anni, se ci penso, continua a sembrarmi inverosimile che un virus abbia investito e condizionato l’intero pianeta. Sembra la trama di un film di fantascienza! E non se siamo ancora fuori.

Quindi lasciamo stare facebook e le sue nostalgie, lasciamo stare il passato e pensiamo a come sarà domani, a come sarà diverso da oggi, ma anche da ieri. Perché non credo che torneremo semplicemente come eravamo nel prima. Proviamo ad immaginare quello che sarà, a prevedere come sarà, perché almeno in parte dipende da noi.

Quando tutto questo sarà finito, quando le maschere le metteremo solo a carnevale, quando torneremo a stringere mani per salutarci e gli unici numeri che saremo ansiosi di ascoltare in TV saranno le estrazioni del lotto, dipenderà da noi essere preoccupati senza farci prendere dall’angoscia, prendere la vita sul serio senza smettere di ridere e guardare gli sconosciuti non come probabili infetti, ma come possibili affetti. Dipenderà da noi essere tristi senza farci travolgere dalla tristezza ed essere felici senza dimenticare che la vera felicità è sempre altrove.

Ma se è vero che possiamo prevedere come sarà, forse possiamo già oggi cominciare a prevenire. Perché prevenire è il modo più bello di aspettare, senza paura, il domani. E poi, cosa c’è di più bello dell’arrivare prima, dell’anticipare, del precorrere il dimandar?

La tua benignità non pur soccorrea chi domanda, ma molte fïate liberamente al dimandar precorre (Paradiso, Canto XXXIII)

Transizioni

Viviamo un periodo di transizione. Una zona neutra, tra un prima noto e un poi sconosciuto. Perché solo i più ingenui possono pensare che il poi sarà uguale al prima. Anzi, di poche cose possiamo essere sicuri oggi, a parte che il domani sarà diverso da ieri. Non sappiamo ancora come sarà, ma sicuramente sarà un’altra cosa, organizzata con altri ritmi, scandita da nuovi riti.

Manhattan si è spopolata, gli affitti crollano, i negozi chiudono, le persone cominciano a capire che possono fare le stesse cose stando a 100 KM di distanza, che forse è inutile spendere ore di tempo per arrivare in un luogo diverso dalla propria abitazione. E come Manhattan anche l’Eur e tutti gli altri distretti lavorativi, nati in tutti i centri urbani per ospitare migliaia di pendolari. Ma non solo quelli. Il passo successivo sarà più radicale. Se posso lavorare dal mio quartiere, perché non posso farlo dal paesino in montagna o al mare? Con un’accelerazione impensabile solo fino a qualche mese fa, potremmo essere davanti ad una rivoluzione di portata storica, che invertirebbe una tendenza durata centinaia di anni. Si spopoleranno le città e torneremo ai borghi?

Non lo possiamo sapere con certezza. Per ora viviamo l’oggi, carico di mille incertezze, in cui forse dovremmo cominciare appunto a lasciare andare ciò che siamo stati e che non saremo più. Ma è un processo faticoso, persino quando riguarda quello che non ci piaceva. La transizione è una coppia incinta, sospesa fra la vita passata e quella futura, piena di attese e di paure. Una quasi mamma e un quasi papà che sperano che il domani arrivi subito e che non arrivi mai, con grandi aspettative ed insieme con ansie fino a quel momento sconosciute.

Dopo questo lungo travaglio nascerà il domani. Ma nel frattempo, in questa transizione, quello che possiamo fare è smettere ogni intransigenza, ogni ostacolo, ogni pretesto per cominciare a costruire una nuova realtà, in tutti i sensi e a tutti i livelli: le relazioni sfilacciate, i progetti lasciati a metà, la scale delle priorità, i rapporti sociali. Perché il domani che verrà, può davvero cominciare da come costruiamo l’oggi. Anzi, probabilmente è già cominciato.

Chissà chissà domani
Su che cosa metteremo le mani
Se si potrà contare ancora le onde del mare
E alzare la testa…

Cari amici vi scrivo

Così mi distraggo un po’. Perché in fondo anche a questo serve lo scrivere: una distrazione relativa, perché mi sembra che non si riesca a scrivere altro rispetto a quello che succede…persino in un blog orgogliosamente minchione come questo! Ma in fondo scriverne è un po’ esorcizzarlo. E poi è una delle poche cose che ancora si riesce a fare: sperando di contagiare un po’ di ottimismo.

Si esce poco la sera compreso quando è festa e c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra

Come scrivevo l’altro giorno, quando la tempesta sarà finita e potremo gustare nuovamente tutte le piccole grandi cose belle che colorano le nostre giornate, ricorderemo questo periodo un po’ come ricordiamo quelli delle Torri Gemelle o dei terremoti. Ci sarà un prima e un dopo Coronavirus e come per le precedenti esperienze è probabile che il dopo non sarà identico al prima.

Ma la televisione ha detto che il nuovo anno, porterà una trasformazione e tutti quanti stiamo già aspettando. Sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno.

Speriamo di mantenere questo senso di comunità che si avverte nell’aria in questi giorni, a tutti i livelli. Quando si vivono queste esperienze collettive si avverte più forte la necessità di far parte di un qualcosa di più grande di noi. Siamo un animale socievole, naturalmente portato a far parte di una comunità, di una tribù e nei momenti di pericolo questo bisogno ancestrale viene fuori declinandosi nelle forme moderne: la nazione, la religione, l’azienda, la squadra di calcio. Abbiamo la necessità di essere un noi, per vivere insieme il momento di difficoltà e poi poter dire di averlo affrontato e superato.

E si farà l’amore ognuno come gli va.

Eh però l’amore si può fare anche mentre c’è la tempesta, mica bisogna aspettare che finisca! Che diamine, va bene limitare i rapporti, mantenere le distanze di sicurezza, però io direi anzi che visto che si deve stare a casa….e voi mi direte, allora chi è single? Va be’, che devo dirvi tutto io? In fondo come diceva il grande Woddy, il sesso è come il bridge: se non hai un buon partner, spera almeno in una buona mano.

E senza grandi disturbi qualcuno sparirà, saranno forse i troppi furbi e i cretini di ogni età.

E certo di cretini ne abbiamo visti a frotte! Sono venuti fuori come le lumache dopo la pioggia: virologi, esperti di malattie infettive, gente con il posto fisso che si vanta di stare a casa (che vuoi l’applauso? Un pubblico encomio?), gente che si vanta di uscire nonostante i divieti (chi pensi di essere, il Robin Hood degli untori?), chi si lamenta del governo per avere lasciato tutto aperto e il giorno dopo per aver chiuso tutto.

Vedi caro amico cosa ti scrivo e ti dico e come sono contento di essere qui in questo momento. Vedi, vedi, vedi, vedi vedi caro amico cosa si deve inventare per poter riderci sopra, per continuare a sperare

Sono contento di stare chiuso in casa con le persone che amo di più su questa terra? E come potrei non esserlo? Dovrei ringraziare perchè queste giornate potrebbero essere un dono, anche se non richiesto. Non ci riesco perché la preoccupazione è tanta e penso anche a tutte le persone a cui tengo che invece sono lontane, a volte anche da sole. Ma devo ammettere che io sono un privilegiato e forse per questo riesco ancora a scherzare e a scrivere minchiate sul blog, continuando la mia missione, che come orma sapete è spandere luce e dolcezza su questa terra.

E se quest’anno poi passasse in un istante vedi amico mio come diventa importante che in questo istante ci sia anch’io

Esserci è fondamentale. Non farsi passare addosso le situazioni, la vita, gli eventi, ma esserci. Soprattutto nella vita delle persone, perché ci si può essere pur stando a 500 km di distanza. Proprio perché costretti ad essere lontani possiamo sentire la mancanza e insieme la vicinanza: possiamo farci sentire presenti, possiamo esserci. Eccome se si può esserci!

L’anno che sta arrivando tra un anno passerà io mi sto preparando è questa la novità

Passerà questa specie di incantesimo, questa bolla spazio temporale che ha momentaneamente fermato il tempo, passerà la tempesta, come dicevo all’inizio e niente sarà più lo stesso, inutile negarlo. Utilizziamo questo tempo per prepararci, perché possiamo uscirne più forti, più consapevoli di tutte le cose belle che abbiamo, da quelle più importanti a quelle più banali. E se poi riusciremo a continuare a fare la fila con la pazienza, l’educazione e il sorriso come in questi giorni, allora forse davvero non sarà stato tutto vano.

 

 

Come uno che si è perduto

Girando ancora un poco ho incontrato uno che si era perduto. Gli ho detto che nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino. Mi guarda con la faccia un po’ stravolta e mi dice, “sono di Berlino”.

Sarebbe bello se il mondo fosse un posto semplice. Un posto dove orientarsi fosse così facile che anche un bambino… Che poi in realtà, di solito, i bambini sanno orientarsi benissimo. Il loro sì che è un mondo semplice, con dei punti di riferimento certi, sicuri, univoci: i buoni sono sempre buoni (e quasi sempre belli). I cattivi sono cattivissimi, dei veri infami e pure brutti. Ci sono gli affetti, c’è un posto sicuro che è “casa”, ci sono sogni da inseguire e un giorno realizzare e ci sono paure da cui fuggire. Anche quelle sono chiare, ben definite, individuabili.

Crescendo questi punti perdono il riferimento e si allontanano, si sbiadiscono e inevitabilmente si confondono. Così anche un luogo noto, apparentemente conosciuto, può diventare oscuro, un posto in cui ci si può perdere, in cui si possono fare brutti incontri. Una persona che credevi in un certo modo può rivelare lati insospettabili, può riservarci brutte sorprese, deluderci, tradirci. Persino i sogni possono confonderci, così come le paure e potremmo trovarci nella condizione di non sapere più bene cosa inseguire e da cosa fuggire. L’obiettivo sempre desiderato, una volta raggiunto può rivelarsi insignificante, la paura da cui siamo sempre fuggiti, può rivelarsi poi non così terribile.

Sembra paradossale, ma in fondo crescere significa confondersi le idee. E’ inevitabile. Ma diventare adulti significa esattamente tentare di orientarsi pur con le idee confuse. Significa provare a tenere la rotta giusta con punti di riferimento che cambiano. E qui sta la distanza tra chi accetta di diventa adulto e chi vorrebbe restare bambino: tra chi corre il rischio di perdersi ma prova ad inventare ogni giorno nuovi punti di riferimento per sé e per gli altri e chi invece resta fermo al passato, cullandosi nella vana speranze che le cose che funzionavano ieri, semplicemente per inerzia, funzioneranno anche oggi e magari domani. Ma non è così, non è quasi mai così.

Pensavi di essere a Bologna e ti ritrovi a Berlino.

Milano ogni volta che mi tocca di venire

E’ incredibile come si possa amare ed odiare contemporaneamente un posto. Oddio, succede anche con le persone. E come con certe persone, certi posti sono nel tuo destino: le puoi amare, le puoi odiare, ma sai che fanno parte della tua vita e sarà sempre così.

Da buon romano odio Milano. Ma da persona ragionevole penso che sarebbe l’unico altro posto in cui potrei vivere in Italia.

“Mi prendi allo stomaco e mi fai morire. Milano senza fortuna, mi porti con te, sotto terra o sulla luna”

Tragicomico erotico stomp

A parte il vestito, i capelli, la pelliccia e lo stivale aveva dei problemi anche seri e non ragionava male. Non so se hai presente una puttana ottimista e sinistra, non abbiamo fatto niente, ma son rimasto solo, solo come un deficiente

Erano anni che una donna così affascinante non entrava prepotentemente nella mia vita. Del resto sono anni che io non entro dentro una donna. Saranno almeno un paio, da quando sono stato a New York e ho visitato la Statua della Libertà.

Me la ritrovo al bar, nei corridoi, in sala riunioni, fuori dalla porta, a mensa. Ma soprattutto è nella mia mente. E’ diventato un incubo e insieme un sogno straordinario. Quando meno te l’aspetti lei salta fuori e mi guarda in maniera maliziosa.

Oggi è tutta gialla, scarpe, pantaloni, giacca. Chissà, magari sono io. Magari ho esagerato con il limoncello ieri sera. E’ sempre una sorpresa, sempre imprevedibile, non ci pensi e lei appare. La incontri e ti travolge, ti lascia senza parole. Come quando entri in ascensore e qualcuno ne ha mollata una. Solo molto più gradevole.

Non so dove lavora, non so come si chiama. Ma bramo di conoscerla, non posso più fare a meno di lei, dei suoi occhi languidi, dei suoi sguardi ammiccanti. Occhi che parlano, sguardi che lasciano intendere orizzonti sconosciuti.

Eccola, si avvicina, come se nulla fosse, come sempre, con quell’aria falsamente distratta, siamo vicini, eppure lontani. Le sue mani, le sue mani così sinuose, così eleganti, capaci di prodigi straordinari. Devo essere diretto, devo andare al punto, senza paure, senza timidezze. L’assalirò forse, rimarrà turbata, farà finta di non capire. Ma io devo sapere, Non posso più indugiare devo conoscere la verità. Se è davvero lei quella mi farà quello che nessun altra donna ha fatto per me

Mi scusi, non è che mi rammenderebbe i calzini?

Mai dire mais

L’ultima luna la vide solo un bimbo appena nato aveva occhi tondi e neri e fondi e non piangeva con grandi ali prese la luna tra le mani, tra le mani e volo’ via e volo’ via era l’uomo di domani e volo’ via e volo’ via era l’uomo di domani  (Lucio Dalla – L’ultima Luna)

Silvio dice l’ennesima minchiata in mondovisione, si comincia a vietare lo sciopero (per il bene della democrazia, sia chiaro!) e la gerarchia perde l’ennesima occasione per fare bella figura. Ma sì, bello sto venerdì! In compenso finalmente sembra se la sia piantata di far freddo, magari la pianteranno tutti di rompere…e non piove più il riscaldamento, il buco dell’ozono, no piove, anzi piove troppo, però fa caldo, i ghiacciai poverini, no invece fa freddo, troppo freddo…cambia spesso idea, un po’ come me è meteorologico e un po’ meteoropatico. Molto simpatico, ma poco pratico. Un tipo atipico, come un segnale fonetico. Monovocalico.

Improvvisamente siamo in spiaggia e decidiamo di giocare a racchettoni. Ma i miei sono rotti. Me li ha rotti quel cazzone di Massimo. E non me li ha più ricomprati. Cerchiamo qualcuno che venda racchettoni.

–       Gelataro?

–       Non ho gelati.

–       Bibitaro?

–       Ho finito le bibite.

–       Ma io volevo due racchettoni.

–       Ne ho solo uno.

–       E che ci faccio?

–       Giochi contro il muro.

–       E poi chi vince?

–       Spesso vince il muro.

E infatti il muro è molto spesso e ci si para davanti all’improvviso. Siamo in motorino ora, ma riusciamo a sterzare. E continuiamo per la nostra strada. Stiamo arrivando. Ma lo sapevo che non dovevamo venire in motorino. Sto scomodo. E non so come reggermi. Non ci sono le maniglie. E se ti abbraccio magari divento invadente. Potresti equivocare. Un po’ come in metro. Non so mai dove reggermi. Non mi reggo. Il problema è che anche gli altri non mi reggono più. Questo sogno non porta da nessuna parte. Ma se non porta allora parto. Parto e vado via. Ma è un parto difficile, un cesareo. San Cesareo, Colleferro, Anagni, Fiuggi.

–       No Fiuggi no, vi prego, si mangia troppo e poi la colite…io me ne vado!

–       E qui sorge il dubbio amletico: andiamo o restiamo?

–       Io devo andare, sono oberato.

–       Meglio oberato che obeso.

–       Sono diventato un peso.

–       Netto?

–       No lordo.

–       Meglio lordo che lardo.

–       E dagli, ma è una fissazione la tua.

–       Se mi fisso mi farai fesso?

–       Mai dire mai!

–       No, mai dire mais… nell’insalata…lo odio, mi si infila fra i denti, sta robba gialla, ma che siamo galline che mangiamo il mais?

–       Ne ho basta me ne vado!

–       Mi dice la direzione?

–       Gliela indico con il dito!

–       Il dito medio?

–       In medio stat virtus, come dicono gli inglesi

–       Allora mi dia una zuppa inglese!

–       Ma non aveva chiesto un tiramisù?

–       Ciao Ni! Lo vuoi il tiramisù? L’ho fatto io, con le mie manine.

–       No, grazie, sa, la colite…

–       Mangia, mangia ti fa bene, c’ho messo i savoiardi, mica i pavesini.

–       Sì, lo so, però, la colite…

–       E mentre noi disquisiamo sul mais, arriva il guardiano. Arriva sempre un guardiano, ma questo è grosso ed è vestito come Alberto Sordi e mi dice

–       A regazzì, cell’hai ‘na casa? E và alla casa!

E lui prese le sue cose e scappò via.