Scrivo perché

Perché ancora non ho imparato a volare. E neanche a nuotare, se è per questo. Né ad amare, forse, probabilmente, anzi quasi certo. Perché non si finisce mai, né soprattutto si vorrebbe finire. E invece poi, prima o poi, speriamo sempre poi che prima, si finisce sul serio. “Gli uomini costruiscono case perché devono vivere, scrivono perché sanno che devono morire“, me l’avete già sentita dire, è di Pennac ed effettivamente è una delle citazioni più belle sullo scrivere. Ma poi in realtà. come dice giustamente il mio amico Pank (ancora non vi siete iscritti al suo blog? va be’, continuiamo così, facciamoci del male),  “pensiamo sempre che non ci possa succedere niente più che morire, ma mentiamo a noi stessi. E’ perdere quello che siamo che ci fa paura… e in un certo senso ci perdiamo tutti i giorni.”

Ecco allora io scrivo perché penso sia un modo per non perdermi. In senso oggettivo e soggettivo. Scrivo per fissare le cose, le emozioni, i pensieri, in modo che non si perdano, che non mi scivolino via fra le mani e fra le pieghe della mia mente distratta. Ma scrivo anche per non perdere me stesso, per provare a ricordarmi chi sono e perché sono così e non in un’altra maniera.

Scrivo perché non so gridare e nemmeno cantare. Anche se mi sarebbe sempre piaciuto, ma penso sia come il nuotare, se non impari da piccolo è difficile. Ad amare invece si impara giorno per giorno, passo dopo passo, parola dopo parola. Un po’ come lo scrivere. A volte riesce, a volte no, ma non lo puoi forzare. Puoi esercitarti, puoi mettercela tutta, ma se non hai nulla dentro, nulla uscirà fuori.

Scrivo perché non ho abbastanza soldi per viaggiare quanto vorrei, né abbastanza salute per bere vino quanto vorrei. Ci vuole un fisico bestiale. Io ho il fisico di un lanciatore di coriandoli, che pretendete? Ah, avevate pensate che…vi avevo fatto credere che…no, niente da fare, puntate altrove.

Scrivo perché in serate come questa, quando la delusione ti fa dire che hai sbagliato molto (dire tutto mi sembrerebbe esagerato), non ti resta che scrivere (anche perché per piangere non c’è tempo). Non ti resta che scrivere e tirar fuori l’amarezza, sperando che così se ne vada via.

Non so se è quello che si aspettava Zeus: non è così profondo, né così minchione (un giorno però scriveremo 50 sfumature di minchiate, diventeremo ricchi e famosi e poi andremo in televisione a fare la pubblicità a un fumetto. Del resto scusa, se quel gran minchione di Cracco fa la pubblicità alle patatine noi non potremmo fare la pubblicità ai fumetti?) come avrei voluto, ma così mi è uscito. Del resto, se invece di scrivere avessi saputo volare, nuotare o cantare, avrei fatto altro. Ad esempio, se avessi saputo cantare, magari avrei cantato questa

 

Ogni cosa ha il suo prezzo

“Venderò la mia sconfitta a chi ha bisogno di sentirsi forte e come un quadro che sta in soffitta gli parlerò della mia cattiva sorte.”

Questo post è la prosecuzione di quest’altro https://giacani.wordpress.com/2013/09/18/se-non-e-ancora-successo/

Li però la rivoluzione la si faceva in prima persona. Eravamo (siamo…possiamo essere!) noi i soggetti promotori. Qui invece si parlerà di una rivoluzione che si subisce. Le più frequenti, del resto. Solo pochi, bravi e fortunati sono in grado di “fare” le rivoluzione, i più le subiscono. E solo pochi, bravi e fortunati riescono a governare le rivoluzioni che subiscono. Perché, come dice il sommo Pennac, “sul futuro, di una cosa sola siamo certi. Che non sarà come ce l’eravamo immaginato“.

Le rivoluzioni arrivano così, più o meno previste, più o meno annunciate. Arrivano e il più delle volte sconvolgono tutto. 12 anni sono tanti, troppi forse. Arriverà e travolgerà ogni  cosa. Consuetudini, modi di pensare, procedure, convinzioni, abitudini, comodità. Persone.

Ma se l’altra volta dicevo cosa intendo io per fare la rivoluzione, non ho ricette ora su come affrontarla senza esserne travolti. Certo sono curioso, come sempre. Più curioso che spaventato, anche se il buon senso mi dovrebbe mettere in guardia. Viale Europa sembra un formicaio impazzito, e Renzi potrebbe essere il bambino che per divertimento va lì e ci si mette a camminare sopra.

Ma del resto che potremmo fare? Il passato parla per noi e ormai quel che fatto è fatto. Non ho scheletri nell’armadio, ho fatto quello che mi si chiedeva di fare, come un soldato qualsiasi. E se non sono proprio orgoglioso di tutto, almeno una soddisfazione ce l’ho. Con un po’ di orgoglio e un po’ di vanagloria posso ancora guardare chiunque negli occhi e canticchiare sommessamente l’ultimo verso di questa bella canzone di Bennato. E poi sarà quel che sarà!