7 Consigli (più 1) propedeutici a diffondere luce e dolcezza

Dopo il post di un paio di settimane fa (quello sulla Missione che ognuno di noi ha su questa terra), ho avuto apprezzamenti da parte di diversi lettori ermeneutici sul diffondere luce e dolcezza (lo spread sweetness and light) che avevo detto essere la mia personale missione. Qualcun’altro, a onor del vero, ha alzato un sopracciglio, magari con una vena di scetticismo. E poi ci sono state e Tiffany, due lettrici ermeneutiche fra le più assidue, che addirittura chiedevano una vademecum per metterlo in pratica. E come potrei non esaudire la richiesta di due giovin donzelle come loro?

Ma più che un vademecum con una lista di regole da seguire, penso sia più utile una serie di consigli per stabilire una disposizione d’animo preliminare, che è una condizione di possibilità indispensabile per partire. Ed ecco quindi un bell’elenco (vi mancava un post di elenchi, dite la verità!) di consigli propedeutici a diffondere luce e dolcezza.

Prima di tutto, per diffondere luce e dolcezza, nel dubbio, è preferibile avere il rimorso per una cosa fatta che il rimpianto per una cosa non fatta. Insomma, bisogna avere il coraggio di intervenire, di buttarsi. Si rischia di essere un po’ invadenti, di farsi gli affari degli altri, di dare consigli non richiesti. Ma è un rischio inevitabile, che va corso.

Per diffondere luce e dolcezza bisogna poi imparare a perdere tempo. Bisogna avere obiettivi certo, ma senza esserne schiavi, bisogna girovagare ed avere il piacere di fermarsi a parlare, ma soprattutto ad ascoltare.

Collegato al precedente, come corollario, per diffondere luce e dolcezza bisogna essere curiosi. Bisogna avere proprio la voglia di sapere, di conoscere i fatti, le circostanze, le motivazioni. La curiosità è una spinta inesauribile, un po’ come la rubrica “lo sapevi che” della Settimana Enigmistica, non è specificatamente rivolta ad un oggetto, ad una persona o ad un argomento. E’ esistenziale!

Per diffondere luce e dolcezza poi non bisogna essere gelosi delle cose, delle persone, ma neanche delle informazioni. Se conosci un buon posto dove andare a mangiare, un luogo che vale la pena visitare, un osteopata che fa massaggi miracolosi, un bar che prepara cocktail favolosi, devi sentire la necessità di pubblicizzarli, devi diventare un megafono, farti passaparola.

Quindi, per diffondere luce e dolcezza bisogna farsi coinvolgere. Bisogna assumere su di sé i problemi, le preoccupazioni, le aspirazioni altrui e farli propri. Trovare lavoro a qualcuno, far incontrare due cuori solitari, essere il punto di incontro fra la domanda e l’offerta, creare collegamenti o almeno fare di tutto per creare le condizioni di possibilità affinché i collegamenti si creino.

Per diffondere luce e dolcezza bisogna imparare a praticare atti di gentilezza a caso. All’inizio non viene mica automatico: far passare avanti qualcuno che ha un carrello più vuoto del tuo, fermarsi a dare la precedenza in macchina a qualcuno che non ce l’ha, salutare gli sconosciuti. Sapete che a volte basta un sorriso?

Per diffondere luce e dolcezza bisogna poi cercare quanto più possibile di fuggire i cretini, i rancorosi e le persone moleste. Nel mio caso (ma non credo solo nel mio) quelli che puzzano. Insomma, tutti quelli che scatenano in voi gli istinti omicidi: forse sarà pleonastico specificarlo, ma l’omicidio mal si sposa con luce e dolcezza. Quindi evitate, fuggite. C’è una grande saggezza e un’altrettanto grande dignità nella fuga.

E infine un ultimo consiglio propedeutico perché in sé per sé non diffonde nulla, ma diventa indispensabile, perché altrimenti, se non lo si segue, si rischia di rovinare qualsiasi altra disposizione d’animo, mandando a monte tutto quello che abbiamo elencato fin ora. Per diffondere luce e dolcezza non ti devi arrabbiare con gli amici. Ma non ti devi arrabbiare neanche con i nemici. Non ti devi arrabbiare con nessuno, così fai prima e non hai dubbi. Come si fa a non arrabbiarsi? Bisogna avere una memoria corta e imparare a dare il giusto peso alle cose. E poi un goccio di quello buono aiuta. Anzi, datemi retta, non lesinate, anche più di un goccio.

La maglia di Anna Frank

Sarebbe bello pensare che si tratti di ignoranza, che quei 4 mentecatti che hanno messo quegli adesivi non sapessero la storia di una quindicenne morta in un campo di concentramento. Sarebbe comodo pensare che si tratti di un fenomeno confinato dentro le curve degli stadi, come se poi i 4 mentecatti negli altri sei giorni della settimana frequentassero oratori e biblioteche, magari servendo alle mense della Caritas. Per qualcuno poi è persino conveniente pensare che i 4 mentecatti in questione non possano che essere laziali, brutti e cattivi per default.

La verità è che le curve degli stadi, quelle di Lazio e Roma come quelle juventine (ricordate gli insulti ai morti di Superga?) o toriniste (il dileggio dei morti dell’Heysel) sono semplicemente la cartina di tornasole per capire a che livello siano arrivati i seminatori di odio. Altro ché ignoranza! I razzisti decerebrati conoscono benissimo la storia e coscientemente inneggiano all’orrore, dileggiano i morti e si vantano di voler distruggere l’avversario. Ma non è un fenomeno da stadio, perché lo si ritrova per le strade, nelle risse del sabato sera, nei barboni picchiati, negli insulti social a Bebe Vio, negli slogan razzisti di alcuni politici, non solo della Lega. Possiamo chiudere tutte le curve del mondo, troveranno altri palcoscenici, maschereranno il loro odio dietro nuovi slogan. Magari lascerebbero in pace la mia Lazio, ma questo temo sarebbe solo l’unico vantaggio.

Per questo non basta neanche più l’impegno giornaliero delle persone comuni: praticare atti di gentilezza a caso resta un imperativo categorico che ognuno di noi dovrebbe prefissarsi nell’arco della giornata. Alla lunga produrrà i suoi effetti, ma nel breve io penso che lo Stato debba cominciare a muoversi, debba cominciare a reprimere sul serio. Certe “opinioni” non possono essere più tollerate. Il 28 ottobre si avvicina, vogliamo far passare per goliardica anche la marcia su Roma? Vogliamo continuare a pensare che siano solo quei quattro poveri mentecatti di cui sopra? Sono certamente mentecatti, ma temo non siano più solamente in quattro e probabilmente, continuando a sminuire il fenomeno, o peggio a strumentalizzarlo, ce li ritroveremo in Parlamento, come già succede in Germania o in Austria.

E poi a partire da subito, il bonus cultura per i diciottenni lo impiegherei per una visita a Birkenau obbligatoria per tutte le ultime classi dei licei: non puoi fare la maturità se non sei stato una volta lì. Forse qualcosa comincerebbe a cambiare.