Grey’s Vergata

A Seattle piove. Spesso. E fa pure freddo mi sa.

A Roma c’è il sole. Quasi sempre. E comincia a fare caldo.

Le cose positive però si fermano qui.

Al Seattle Grace arrivano le ambulanza piene di malati che vengono accolti direttamente sul piazzale da medici e infermieri che in quattro e quatr’otto li visitano, li ricoverano e li curano senza dargli tempo neanche di capire dove sono.

Papà è stato sei giorni all’astanteria del Pronto Soccorso di Tor Vergata, in mezzo a tossici, malati di mente e delinquenti con guardie di scorta al seguito. Poi finalmente gli hanno dato un letto in un reparto.

Al Seattle Grace i medici hanno a disposizione macchinari perfetti, sono in contatto con tutti gli ospedali degli Stati Uniti. Le stanze dei pazienti sono fantasmagoriche, piene di confort per i malati e gli ospiti.

A Tor Vergata, nella stanza che bontà loro sono riusciti a tirar fuori, durante la prima settimana c’era la serranda rotta e il telecomando della tv funzionava quando gli pareva a lui.

Al Seattle Grace i parenti dei malati parlano tranquillamente con il capo Webber, responsabile medico dell’ospedale.

A Tor Vergata se riesci a parlare con uno specializzando di turno che forse, fra gli altri, segue il paziente che interessa a te, ti sembra di aver vinto a Win for Life!

I medici del Seattle Grace sono belli, bellissimi! E quando non sono belli come Meredith o Shephard, sono tipi che hanno fatto almeno una guerra in Iraq (Owen e la Altman), oppure hanno personalità spiccate come Cristina Yang.

I medici di Tor Vergata ce la mettono tutta, questo non gli si può negare.

Insomma, cari dottori che devo dirvi? Siete disorganizzati, sotto dimensionati, probabilmente anche mal pagati, pretendere che siate cortesi e disponibili forse è troppo. Speriamo almeno sappiate fare il vostro lavoro.

Forse avrò visto troppi episodi di Grey’s Anatomy. Però, osservandovi in questi giorni un dubbio mi assale: ma non sarà che, rispetto a loro, trombate troppo poco?