Morire per Danzica

Vale la pena morire per Danzica? Così si chiedevano i politici francesi nel settembre del 39. Qualche mese dopo i tedeschi marciarono su Parigi e la occuparono per quattro anni. La situazione non è proprio la stessa, ma certo la storia sembra divertirsi a riproporre situazioni analoghe, percorsi già battuti, scenari già visti.

E noi oggi cosa siamo disposti a fare per Kiev? Al di là delle dichiarazioni di disapprovazione, al di là dei 5 minuti di ritardo delle partite di serie A (immagino Putin roso dalla rabbia e dal timore dopo aver saputo che Salernitana Bologna cominciava alle 15,05 invece che alle 15….). Con l’uso delle armi non si risolvono le dispute internazionali: lo dimostra l’Afghanistan, lo dimostra la questione palestinese, la storia è piena di esempi da citare al proposito. La guerra è solo “un gran giro de quatrini“, come diceva saggiamente Trilussa, sulla pelle della povera gente. Allora che fare? I valori della libertà e dell’autodeterminazione dei popoli vanno affermati in tutti i modi e con tutti i mezzi, tranne quello.

Ma i mezzi e i modi utilizzati devono essere efficaci, altrimenti si limitano ad una solidarietà pelosa, l’indignazione a comando. Mettere sanzioni e poi escludere l’unica sanzione che conta, che senso ha? Chiudere i rubinetti del gas, quella sarebbe l’unica vera azione efficace. Certo, questo significherebbe chiudere i riscaldamenti delle case, farsi il bagno con l’acqua bollita, lasciare ferma la macchina: siamo pronti a farlo per un giorno, una settimana, un mese? Siamo propensi a metterci davvero qualcosa del nostro per affarmare quei valori? Siamo disposti, non dico a morire, ma almeno a pagare in prima persona per difendere Danzica, Kiev e qualsiasi altro piccolo della storia? Altrimenti stiamo zitti e per favore, almeno evitiamo il “Je suis qualchecosa” e le bandiere ucraine sui nostri profili di FB.