Scusi lei, si ama un po’?

Ma noi ci vogliamo bene? Questa domanda mi veniva in mente ripensando a Maradona. All’assurdo dibattito che si è scatenato dopo la sua morte, sulla valutazione del personaggio, sulle sue scelte autolesionistiche, che insieme ad un posto nell’Olimpo delle stelle assoluto, gli hanno dato anche una vita piena di guai. E’ vero, i geni e gli artisti dovrebbero interessare per quello che hanno saputo esprimere, per quello che hanno lasciato al futuro, per le emozioni che hanno suscitato, con uno spartito, con un pennello in mano o con una palla fra i piedi. Però è indubbio che se si fosse voluto un po’ più bene, avrebbe fatto altre scelte.

E partendo da lui, allargando il discorso, mi tornava in mente quello che ci hanno insegnato fin da bambini: da sempre mi è stato detto che è molto più importante quello che si è, rispetto a quello che si ha. Avere o essere, prima ancora di diventare un libro di successo di Fromm, è stata l’alternativa più chiara per separare i giudizi basati sull’autenticità, da quelli che invece si lasciano condizionare dall’esteriorità.

Puoi avere tutte le ricchezze del mondo, gli abiti più alla moda, le macchine che fanno status symbol, i gioielli più preziosi, ma se sei una persona gretta, meschina, maleducata, nulla potrà far cambiare il giudizio degli altri. Ed è giusto individuare nell’essere, nelle caratteristiche di quello che siamo, il centro di noi, ciò che davvero ci qualifica. D’altra parte non è neanche così semplice separare i due aspetti: una persona con un bel conto in banca, proveniente da una famiglia benestante, avrà più possibilità di sviluppare le proprie doti, avrà accesso con maggiore facilità ad un’istruzione che lo aiuterà anche a diventare ricco di essere, oltre che di avere.

E’ corretto quindi valutare le persone per quello che sono? Perché alla fine, lasciando da parte Maradona e tutti i geni che hanno sfidato il tempo con le loro opere, mi convinco sempre di più che l’essenziale non è l’avere, ma nemmeno l’essere, le proprie doti o capacità. Quello che davvero ci qualifica in maniera determinante sono le nostre scelte. Se fosse possibile una riduzione ai minimi termini dell’esistenza, tolte le doti naturali, tolto quello che abbiamo costruito intorno a noi, quello che resta, ciò che dimostra in modo chiaro chi siamo davvero, sono le alternative che scegliamo, le opzioni che facciamo diventare realtà, i sì, i no, i silenzi, le decisioni. Abbiamo voluto bene? Ancora di più, ci siamo voluti bene?

Alla fine non importa quante cose abbiamo e nemmeno le capacità o i talenti naturali: noi siamo le nostre scelte. In altre parole, nel bene o nel male, siamo quello che scegliamo di essere.

Buon Natale a tutti i viaggiatori ermeneutici!