Parte terza

Non credo nel successo, in chi lo raggiunge e in quelli che lo inseguono, nelle logiche che lo decretano, nei risultati che lo certificano, negli ostacoli che lo fanno svanire. Io credo nella fatica che ci vuole per non perdere il sorriso.

Non credo nel denaro, in quello rubato, in quello sposato, nel fatto che ci renda liberi, nel sogno che ci renda felici, negli sforzi per accumularlo, nelle paure che ce lo portino via. Io credo nelle persone libere dalle vittorie e dalle sconfitte.

Non credo negli amici, in quelli dei social, in quelli che chiamano solo quando gli serve qualcosa, che si dileguano senza motivo, pieni di invidia e di vecchi risentimenti. Io credo in quelli che sudano con me il giovedì sera.

Non credo nella salute, che apprezzi solo quando se ne va, che cerchi di mantenere affidandoti a cure strane, che vorresti preservare smettendo di fare tutto quello che ti piace. Io credo a chi sta bene con se stesso.

Non credo nella carriera, in chi venderebbe la madre per raggiungerla, in chi non si fa scrupoli, che ti fa sentire importante quando non vali nulla, che ti fa perdere di vista quello che conta per davvero. Io credo in quelli che restano, quando converrebbe fuggire e fuggono, quando converrebbe restare.

Non credo negli sconti, nessuno te ne fa, quello che non paghi tu lo paga qualcun altro, in quelli che li vanno cercando, in quelli che pensano di essere furbi con la vita. Io credo alle persone oneste, quando nessuno le guarda.

Non credo nella nostalgia, che fa sembrare bello quello che non lo è mai stato, che avvelena il presente con i fantasmi di quello che era, che non ci fa immaginare un futuro diverso. Io credo in chi dimentica e sa ricominciare.

Non credo nella bellezza, quella effimera, quella costruita, che vorrebbe cancellare i segni del tempo, che illude e maschera la realtà delle cose. Io credo in chi non si vergogna di essere quello che è.

Non credo negli ideali, quelli per cui la gente va a morire, quelli per cui si uccide, quelli che dovrebbero dare significato alle più grandi nefandezze, quelli che danno una verniciata di rispettabilità ai più biechi interessi. Io credo nel carico residuale.

Non credo nei cambiamenti, niente cambia per davvero, niente di serio, niente che conti veramente. Io credo nella luce e nella gentilezza dell’amore mio.

If the sky that we look upon
Should tumble and fall
Or the mountains should crumble to the sea
I won’t cry, I won’t cry
No I won’t shed a tear
Just as long as you stand
Stand by me

Stai vicino a me

Dico subito un’ovvietà. Non esiste l’altra metà della mela. Lo so, lo so, detto da uno che da quasi trentacinque anni sta felicemente insieme ad un’altra persona suona male. Mai come una canzone di Gigi D’Alessio però. E se ha tanto successo lui, perché io no? Ma non divaghiamo e torniamo al punto. E il punto è una fulminante verità che mi ha illuminato l’altro giorno e che neanche Jeeg Robot riuscirebbe a mettere in dubbio. Se vuoi stare vicino a qualcuno ti tocca il posto centrale.

In realtà ci hanno sempre raccontato un sacco di favole. Come accade spesso, si semplifica la realtà. E qual è la semplificazione massima, l’ovvietà più semplice ed immediata? L’antitesi. Io odio le antitesi (questa cosa me l’avete già sentita dire, o meglio, l’avete già letta, ma ora non mi va di cercare il post dove l’avevo scritta). Non esiste il bianco o nero, la doccia o il bagno, guerra o pace, pesce o carne, presepe o albero, Spandau Ballet o Duran Duran, corridoio o finestrino.

A dire il vero esistono, ma non sono fondamentali. Non importa se tu preferisci il posto vicino al finestrino per poter vedere fuori il panorama oppure il corridoio così da poter uscire fuori e sgranchirti le gambe. Non ha la minima importanza. Perché se tu vuoi stare vicino a qualcuno devi stare al centro.

Quel qualcuno non sarà l’altra metà della mela perché noi non siamo mele. Chi vorrebbe essere una mela? Magari una ciliegia, se proprio devo scegliere, ma una mela…e dai su! Starai vicino a quel qualcuno che non è (per fortuna) l’altra metà della mela. Ma è quella per cui non ti peserà perderti il panorama o la passeggiatina. Starai vicino a lei e basta perché è proprio a lei che vuoi stare vicino. E allora sticazzi di corridoio o finestrino.

Quando scende la notte e la terra è scura
E la Luna è l’unica luce che vedremo
No, non avrò paura, io non avrò paura
Almeno finché tu stai, tu stai qui accanto a me

Allora tesoro, tesoro stai accanto a me, oh stai accanto a me
Oh stai, stai accanto a me, stai accanto a me

Se il cielo che guardiamo lassù, dovesse cadere e precipitare
O se le montagne dovessero sbriciolarsi nel mare
Io non piangerò, io non piangerò, no, non spargerò una lacrima,
Almeno finché tu stai, tu stai accanto a me

E tesoro, tesoro, stai accanto a me, oh stai accanto a me
Oh stai adesso, stai accanto a me, stai accanto a me

E tesoro, tesoro, stai accanto a me, oh stai accanto a me

E venne il giorno

E poi venne quel giorno.

Il giorno in cui tutto era diverso. Quel giorno di novembre quando le formiche cominciarono un po’ ad alterarsi. Con quel caldo che faceva loro continuavano a sgobbare, facendosi un notevole fondoschiena, mentre quelle donnine allegre delle cicale continuavano a cantare a squarciagola, neanche fosse piena estate. Eh che cazzo Lafontaine! Ma mica vale così! A questo punto, noi avremmo dovuto starcene tranquille a bere e a trombare al calduccio dei nostri formicai e quelle peripatetiche delle cicale avrebbero dovuto essere già belle che schiattate…allora? Dobbiamo scioperare anche noi? Dobbiamo scendere in piazza? Bloccare la città come fossimo blechebloc? Guarda che non ci mettiamo niente, eh! Tanto il passamontagna nero neanche ci serve! Scesero in piazza miliardi di formiche, secondo la questura però erano centinaia di milioni.

A quel punto davvero qualcosa sembrava diverso. Ma era una sensazione sbagliata. Non c’era qualcosa di diverso. Era tutto completamente diverso. Gli uomini che avevano ordinato le guerre, si decisero ad ordinare delle pizze. Di vari gusti e le inviarono ai quattro angoli del mondo conosciuto, sfamando più di cinque miliardi di persone. Ad un certo punto la birra cominciò a scarseggiare e i più sfortunati finirono la pizza con la gazzosa. Ma tutti erano abbastanza contenti lo stesso. I poveri diventarono ricchi e i ricchi diventarono poveri. E tutti quanti insieme cominciarono a cantare “Che confusione, sarà perché ti amo”.

I politici smisero di rubare e i ladri smisero di fare politica. Perfino Berlusconi sembrava una brava persona: non raccontava barzellette, non faceva cucù e non si tingeva i capelli. Canticchiando “ho visto la mia fine sul tuo viso”, decise di ritirarsi su un’isoletta del pacifico, non prima di aver dichiarato il proprio amore per una culona inchiavabile. Era veramente tutto diverso. Tutti sembravano più simpatici. Persino i romanisti.

E pure la signorina Rottermeier smise per un po’ di sfracassare i minchioni alla povera Heidi, anzi, decise di accettare le advances del nonno della bambina ed insieme fuggirono per una notte d’amore in un romantico alberghetto alla periferia di Alassio. I bambini cominciarono ad insegnare ai grandi come si fa a giocare. Ma non alla play station, se no che diverso era? I bambini insegnarono ai grandi a giocare a nascondino, a chiapparella e quelli più arditi provarono anche a spiegare i rudimenti del subbuteo. Con alterne fortune però.

Alcune fanciulle, a detta di molti un po’ bruttarelle, trovarono marito. Più che bruttarelle, per la precisione l’espressione usata per definirle fu “brutte come un rutto d’oca”. Ad usarla fu un uomo di colore, che parlava con un forte accento pisano. Fra le pagine chiare e le pagine scure l’uomo cercava in tutti i modi di comprare vere borse di Fendy da impellicciate signore di mezza età, che però non volevano darle via. Le borse, che avevate capito? Non ne volevano sapere, finché lui tirò fuori uno scudo. Non quello spaziale di Goldrake, no! Un’autentica banconota da cinquemilalire e con quello si portò a casa tutto.

I ciechi vedevano e i sordi sentivano, i muti intonavano canti tirolesi e qualcuno giurò di aver visto anche una partita fra arbitri e guardalinee, dove i tifosi avversari, invece di insultarsi da una curva all’altra cominciarono una gigantesca partita a nomicosecittà. A scuola era obbligatorio iniziare le lezioni cantando tutti insieme Stand by me. I vecchi smisero di morire. E questo forse fu l’aspetto più bello.

Venne quel giorno e tutti lo ricordammo a lungo. Quello fu il problema, lo ricordammo e allora non ci insegnò nulla. Perché invece di ricordare il passato sarebbe meglio inseguire il futuro. Un futuro in cui davvero tutto potrebbe essere diverso.

Quando scende la notte e la terra è scura
E la Luna è l’unica luce che vedremo
No, non avrò paura, io non avrò paura
Almeno finché tu stai, tu stai qui accanto a me

Allora tesoro, tesoro stai accanto a me, oh stai accanto a me
Oh stai, stai accanto a me, stai accanto a me

Se il cielo che guardiamo lassù, dovesse cadere e precipitare
O se le montagne dovessero sbriciolarsi nel mare
Io non piangerò, io non piangerò, no, non spargerò una lacrima,
Almeno finché tu stai, tu stai accanto a me

E tesoro, tesoro, stai accanto a me, oh stai accanto a me
Oh stai adesso, stai accanto a me, stai accanto a me

E tesoro, tesoro, stai accanto a me, oh stai accanto a me