Il bambino e la legenda

Il calcio è la più seria delle cose futili. O la più futile delle cose serie. Eppure o forse “e proprio per questo” (vista la natura minchiona del blog), spesso mi avete sentito nominare il calcio ed in particolare la Lazio come se invece fosse una cosa importante. Io non so se sai importante o no, sta di fatto che nulla riesce a cambiare il mio umore più dei risultati  domenicali della mia squadra. Ed il fatto di sapere che quaesta cosa sia del tutto irrazionale ed irragionevole, inutile ed inopportuna, non cambia di una virgola la questione. Anzi, il fatto di saperlo mi innervosisce ancora di più. Mi fa arrabbiare con me stesso e questo peggiora ancora di più il mio umore, soprattutto quando è nero a causa di una sconfitta. Perché tra l’altro questa cosa è soprattutto negativa. Mi arrabbio enormemente di più per una sconfitta di quanto non gioisca per una vittoria.

E allora? Allora niente. Ognuno è fatto com’è fatto. Conosco gente che colleziona trenini elettrici e non sta mica tanto meglio. Essere tifoso della Lazio ha tutta una serie di significati che fanno parte di quello che sono e che non c’entrano ormai nulla col calcio e con i risultati domenicali. Ho amici carissimi della Roma, detesto profondamente il tifo organizzato della curva della Lazio, ma anche questo non c’entra nulla. Essere della Lazio significa essere minoranza, significa essere indifferenti alle mode e ai risultati concreti, amare la bellezza del celeste e l’eleganza dell’aquila. Se non siete nati e vissuti qui non credo sia facile capire.

L’altra settimana un colpo di vento ha staccato lo sportello del mobiletto della caldaia che cadendo giù ha bucato il tendone al piano terra. Fortunatamente ho una copertura assicurativa per i danni contro terzi, scrivo all’assicurazione e mi risponde un certo Massimo Maestrelli. “Ma tu sei il figlio di Tommaso?” e stiamo un’ora al telefono a parlare della Lazio di ieri, di oggi,  delle (poche) grandi gioie di questi anni, dei figli e del calcio che non c’è più. Torno fanciullo di fronte alla legenda, sto parlando con il figlio del mio mito assoluto, l’allenatore dello scudetto del 74, un gentiluomo prestato al calcio, scomparso prematuramente solo un paio d’anni dopo. Ovviamente mi dimentico dello sportello e del tendone, ma soprattutto sono felice come un bambino. Come un goal, meglio di un goal. Tutto il resto conta poco.

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9 thoughts on “Il bambino e la legenda

  1. Ti capisco bene, anche se con il calcio non mi emoziono così tanto. Anzi, sono molto freddo in merito. Ma se rapportiamo il tutto alla musica, mi calo nei tuoi panni (te li ridò stirati, ovvio).

  2. Non c’è mica nulla di male a farsi influenzare dai risultati domenicali,io però ora rischio il carcere.

  3. Prima ero piu tifosa… Quando si pensava veramente a calcio e squadre… Ora si pensa troppo a soldi e potere…
    Comunque pure la lupacchiotta è elegante…
    Ma come ha fatto a staccarsi il coperchio della caldaia mo?!

  4. Sono Juventino, ma mi perdonerai. Però ti capisco. Tuttavia più che i risultati, del calcio detesto le cosiddette tifoserie organizzate. Tutte, dovrebbero sparire dagli spalti.

  5. Stessi dilemmi e stesa irritazione con me stesso per queste piccole depressioni… in fondo immotivate…

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