Quando ti insegnano a raccontare una storia, quelli bravi, dicono che bisogna rispettare la regola delle 5 W. In inglese, who, what, when, where, why. Nella lingua patria chi, cosa, quando, dove e perché. Se descrivendo un fatto, ti ricordi di raccontare questi 5 elementi dovresti essere in grado di ricostruire un storia nei suoi elementi essenziali. Questa regola, banale, ma allo stesso tempo efficace, è utile per non dimenticare qualche informazione essenziale.
Ma siamo sicuri che sia davvero così? Trenta e più anni dopo, se ci chiedessero di sintetizzare al massimo i nostri ricordi, se ci chiedessero cosa sia rimasto, quale sia stato l’elemento essenziale, cosa diremmo? Quanti di noi si ricordano quello che ci insegnarono al liceo? Oppure del primo amore. Ci ricordiamo i visi, i luoghi, le promesse, magari le canzoni. E poi? Qual è l’elemento essenziale? Ma pensiamo anche alle esperienze brutte, che so, ad una malattia. Ci possiamo ricordare il dolore, la paura e insieme magari l’aiuto di qualcuno, di un amico o anche di un dottore sconosciuto fino a qual momento, che si è trovato ad attraversare la nostra strada e ad accompagnarci in quel frangente. Cos’è l’essenziale?
L’essenziale non è nelle 5 W. Se ci pensiamo a fondo, l’essenziale, ciò che resta nel nostro cuore, nella nostra memoria, non è tanto cosa ci hanno insegnato (chi si ricorda l’aoristo? o la perifrastica attiva? La legge sulla termodinamica o la fenomenologia dello spirito), non ci ricordiamo il nome di quel tal dottore, né tantomeno dove eravamo quando abbiamo dato il primo bacio. Ci ricordiamo però come ci siamo sentiti.
Ci ricordiamo come quel professore di filosofia riusciva a coinvolgerci o come quello di greco riusciva a terrorizzarci. Ci ricodiamo come ci era di conforto la sola presenza di quella dottoressa con le croks rosse aal’ospedale di Tor Vergata. Non ricordiamo certo quello che ci diceva, ma come ce lo diceva. Ci ricordiamo perfettamente come ci facesse sentire in paradiso sentire il nostro nome sulle labbra di quella ragazza di cui forse neanche ricordiamo più di che colore avesse gli occhi.
Perché alla resa dei conti, la cosa fondamentale è il come. Non è il quanto, non è il perché, paradossalmente neanche il chi: l’essenziale è come fai le cose, perché fondamentale è come fai sentire le persone. Quella, alla fine, è l’unica cosa che conta, quella che resta, anche trent’anni dopo. Alla resa dei conti, il come vogliamo essere (amico, compagno, fratello, figlio, padre), il come vogliamo spendere la nostra vita su questa terra, è molto, molto più importante del perché lo vogliamo, o del quanto lo vogliamo. Perfino il come amiamo è più importante del quanto o del perché. Il come fa la differenza.
Il come la racconti fa sempre la differenza, alle 5 W se levi il “come” rimane solo la noia di un fatto accaduto e mal riportato. Concordo assolutamente con ciò che dici! E’ sempre il COME la giusta chiave di lettura
Dice la psicoanalisi che quando si sogna, non e’ importante il fatto del sogno, l’oggetto o le persone che si sognano, ma cio’ che si prova quando si sta sognando quelle cose. Questo da la chiave di comprensione del sogno. Lo stesso accade nella vita, il come ed il cosa.
La termodinamica me la ricordo. L’aorsito no. E, ahimè, mai avuto greco… ma punto sul latino, fa lo stesso?
Il “cosa” è quel che è ed è alla portata di chiunque, ma è il “come” che trasforma la forma in sostanza.
Sono d’accordo, assolutamente! E ognuno racconta a modo proprio, magari la stessa storia, eppure appaiono due racconti differenti… un motivo c’è per forza 😉
Sulla perifrastica attiva ho avuto un sussulto..l’avevo rimossa🙈 Hai ragione, il Come tutta la vita!
Marie Angelou: “Le persone non ricordano cosa hai detto o cosa hai fatto. Ricordano come le hai fatte sentire”.
È una grande verità!
Ciao, Romolo!