Serbo un ricordo

Un ricordo di più di vent’anni fa. Il ricordo di un sentimento, di uno stato d’animo, di un sogno che finalmente avrebbe potuto realizzarsi. C’era questo calciatore, neanche troppo simpatico, aveva giocato nella Roma e già per questo mi aveva lasciato sospettoso. Era un difensore, neanche troppo bravo a difendere, lento, spesso in affanno contro attaccanti veloci. Ma con un sinistro divino. Capace di disegnare traiettorie impossibili, di vedere quello che gli altri potevano solo immaginare. Il pallone che si alzava, superava la barriera e poi scendeva in picchiata, “voli imprevedibili ed ascese velocissime“, come fosse radiocomandato, finiva inevitabilmente sotto l’incrocio dei pali a gonfiare la rete

Il ricordo che voglio serbare dentro di me risale ad una domenica pomeriggio, proprio di questo periodo. 13 dicembre 1998, il giorno prima c’era stato il battesimo di mia figlia, quel giorno allo stadio c’era Lazio Sampdoria. Il sinistro di Sinisa quel giorno era particolarmente caldo: tre goal su punizione, tutti in un unica partita, un record allora e tutt’ora imbattuto. Con mio fratello e il nostro inseparabile compagno di stadio quel giorno, insieme a quelle traiettorie impossibili, avevamo visto la possibilità di un sogno che si poteva realizzare.

Non lo sapevo allora, ma nel giro di qualche mese, il ritorno di un male che sembrava sconfitto si sarebbe portato in cielo la mia mamma e nello stesso tempo la Lazio avrebbe buttato al vento lo scudetto. Ma quel 13 dicembre eravamo entusiasti e increduli di fronte alle parabole visionarie tracciate dal suo sinistro magico: lo scudetto non era più un miraggio irraggiungibile, ma un sogno che poteva diventare realtà.

Non voglio santificarlo ora che non c’è più. Era una persona difficile, un personaggio scomodo, pieno di contraddizioni: con la mamma croata e il papà serbo, capace di giocare nella Roma e nella Lazio, di allenare l’Inter e il Milan, di inneggiare alla tigre Arkan, assassino di innocenti e di dare del negro a Vieirà (“lui mi aveva dato dello zingaro, ma io non mi vergogno di essere zingaro, è lui che si vergogna di essere negro”).

Il suo modo di affrontare la malattia è stato esemplare e probabilmente di esempio per quanti stanno affrontando lo stesso percorso. Ho letto in giro che è stato sconfitto nella partita con il cancro. Da laziale sono abituato alla sconfitta, ma Sinisa non ha perso affatto. La morte l’ha trovato vivo, nonostante la malattia. Per questo ha vinto lui. Perché, pur sembrando sconfitti, quelli come lui vincono alla fine. Infatti, il sogno scudetto svanito in quel triste 99, grazie anche alle sue punizioni, si realizzò l’anno dopo, quando forse nessuno ci credeva più. Ciao Sinisa, indomito guerriero, persona autentica in un mondo di personaggi.

Alcuni credono che il calcio sia una questione di vita o di morte. Non sono d’accordo. Il calcio è molto, molto di più.
(Bill Shankly)

Ritornerò, in mutande da te (parte seconda)

Solo un’altra volta, in questi 53 anni di vita, mi era capitato di non giocare a calcio per 4 mesi. Quando mi ero rotto il perone, mentre giocavo! (cosa che avevo raccontato con dovizia di particolari qui).

C’è voluta una pandemia mondiale per tenermi lontano dai campi e da una delle cose più belle che si possa fare su questa terra. Ma stasera si ricomincia. E come successe l’altra volta, mi sembra di ricominciare a vivere sul serio, come se fino ad oggi ci fosse stata una sorta di sospensione, un intervallo fra un prima e un poi. Ecco, finalmente ora è arrivato il poi. Si volta pagina ed inizia una nuova storia o meglio, un nuovo capitolo della mia storia.

Per quale motivo il calcio, visto, giocato, parlato, abbia tutta questa importanza nella mia vita continua ad essere una cosa che non riesco a spiegare (prima di tutto a me stesso). Ma d’altra parte potremmo spiegare perché ci piace la musica? O perché ci affascinano i colori del tramonto? Forse perché, come tutte le cose che ci appartengono da sempre, non hanno bisogno di avere un motivo per esserci. Sono parte di noi, senza avere la necessità di una spiegazione. E probabilmente senza possibilità di essere compresi da altri (che forse, giustamente, ci considerano mezzi scemi).

Per questo penso che la metafora definitiva l’abbia detta Bill Shankly, allenatore dei Reds di Liverpool fra gli anni 60 e gli anni 70: “alcuni credono che il calcio sia una questione di vita o di morte. Non sono d’accordo. Il calcio è molto, molto di più“.

(il)leggittimi malumori

E’ ovvio che sia arrabbiato per i politici bugiardi, populisti, ladri ed incapaci. Ma la classe politica rispecchia la società civile che la elegge. Con chi te la vuoi prendere?

E’ scontato che sia stufo dell’ignoranza e della stupidità, dell’egoismo e della maleducazione che c’è in giro. La gente si sa, presa singolarmente è fatta per lo più di brave persone: tutti insieme però emergono le colpe e le omissioni, tutti insieme gridiamo Heil Hitler o Barabba. Con chi te la vuoi prendere?

Certo che sono indignato per le terribili disgrazie che capitano senza un motivo, senza una vera ragione. Dovremo attendere la parousia, perché si sa, la giustizia non è di questo mondo. Con chi te la vuoi prendere?

E’ chiaro che mi rattrista vedere quanto spreco di intelligenza, di risorse, di energie ci sia intorno a noi. Non sappiamo dare le giuste priorità alle cose, ci perdiamo nei particolari e a volte ci sfugge l’essenziale. Siamo uomini, creature imperfette. Con chi te la vuoi prendere?

Bisogna avere pazienza. Tanta pazienza e comprensione. Bisogna sdrammatizzare, prendere la vita per il verso giusto, ridimensionare le vicende, viverle con leggerezza, con ironia.

Però non c’è niente da fare. E’ più forte di me. Non esiste nessuna cosa che mi faccia salire il veleno, che mi faccia infuriare, che mi rovini l’umore e le giornate più di questo. Perdere in casa con un goal al 90, dopo che hai attaccato tutta la partita e ti sei mangiato milioni di occasioni. Con chi me la voglio prendere?

Alcuni credono che il calcio sia una questione di vita o di morte. Non sono d’accordo. Il calcio è molto, molto di più.
(Bill Shankly)

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